| “I DECADUTI” DI GIUSEPPE ALETTI
Recensione di LORELLA ROSATI
Giuseppe Aletti è uno scrittore moderno. In questo suo libro, “I DECADUTI”, tratta il degrado della società, con l’ansia di apparire a tutti i costi, dell’avere e non dell’essere, del difficile equilibrio tra la vita e la morte. Quest’ultimo tema si evince dal suo componimento dedicato a Cesare Pavese “…aspettiamo silenziosi il Gorgo”. Come non pensare a “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” dello scrittore piemontese morto suicida?
L’autore possiede uno stile ricco di metafore, similitudini e sinestesie. Utilizza il verso libero, evita i cliché, i luoghi comuni e i termini troppo abusati.
È ermetico, scarno, scevro di particolari, ma i suoi versi colpiscono il lettore pur nelle loro essenzialità.
Leggiamo la poesia UOMO: “Siamo panni / su fili estesi” Con due versi il poeta ci stupisce. Ci fa riflettere sulla precarietà dell’esistenza.
Meravigliare: questo è l’approdo di Aletti e ritengo che ci riesca perfettamente, anche grazie ad un linguaggio comune e ricercato al tempo stesso. “L’immoto divenire…” “Mi estinguo nella parola…”
Il lettore è animato dalla curiositas. Scopre, verso dopo verso, un autore versatile, critico e colto. Alcuni riferimenti a Paul Verlaine, Charles Bukowski oltre che a Pavese fanno comprendere come lo scritto del poeta non sia casuale, ma frutto di ponderazione e di substrato culturale non indifferenti.
Per concludere direi che, in una società corrotta priva di sentimenti, per Aletti l’unica fonte di guarigione è la poesia. Egli afferma “Sei una malattia che, ignorata, urli la tua presenza”.
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