| Cos'è uno “scatto”? Guardando sul vocabolario apprendiamo numerosi significati attribuiti a questo termine: il movimento veloce di un pezzo meccanico, un'accelerazione rapida, un gesto brusco e nervoso, un balzo, un salto di qualità, e chi più ne ha più ne metta. Gli “Scatti” di Izabella sono invece, a mio avviso, più simili a fotogrammi, momenti di vita, istantanee dell'esistenza, frammenti interiori di sensazioni, amore ed odio, paure, gioie e dolori. Tra le sue pagine è possibile ritrovare tutte le sfaccettature dell'animo umano, come testimoniano alcune delle liriche il cui titolo richiama proprio i sentimenti più primordiali e naturali dell'essere senziente: “la rabbia”, “la timidezza”, “la lussuria”, “il desiderio” o “la malinconia”. E forse proprio quest'ultima, la malinconia, rappresenta meglio l'animo dell'autrice e dei suoi componimenti, tutti volti a mettere a nudo, senza timore ne pudore, quel cuore che palpita nel petto di ognuno di noi, fatto di ricerca dell'impossibile, di delusioni, di speranze infrante, di salite e discese. Un'esistenza a senso unico, come afferma lei stessa in “fu ieri soltanto”, dove si nasce “nel calore estivo” pieno di “mille promesse” e “beltà”, di “fiducia nel prossimo” e “sorrisi materni”, “in cerca di stelle” e rubando ai girasoli “l'aurora di un sorriso”. Ma poi si finisce “abbandonata”, e in quel momento “silenziosamente muore il tuo cuore” e non puoi che guardare la tua vita come in uno specchio rotto, raccogliendo i frantumi di una “vita rovesciata”. Quando la vita crolla in pezzi, quando ti rendi conto della realtà, non puoi che recitare, interpretare una parte in quella grande sceneggiatura che è l'esistenza. Sono molti, all'interno delle strofe di Izabella, i richiami al teatro come il “sipario”, dove continua la “commedia divina” e si rimane “ad aspettare l'applauso” e “sul palco” dove si attende l'”Atto finale”. Il suo personaggio è tutto al femminile, una donna o forse una bambina, che cammina scalza sul sentiero della vita, un “sentiero di sangue” sul quale “ogni passo trema” posando il piede “sui cristalli di vetro”.
Una visione malinconica ma realistica, perchè la vita è sofferenza e delusione e la poesia non può che raccontare la verità: qualcosa di molto vicino al “male di vivere” descritto da Montale ma anche ai “poeti maledetti” del tardo romanticismo. Da qui una considerazione... chi è il poeta di Izabella Teresa Kostka? È un personaggio che vorrebbe amare la vita ma è costretto, forse, ad odiarla proprio per il fatto di averla vissuta e di essersi scontrato con la realtà. Lei stessa ci dice che si tratta di un “poeta maledetto”, con le “ali rotte”, “il cuore di ghiaccio”, “in cerca di vita” e di “ricordi persi”, che “vive di notte”, “tra i cerchi di fumo”, un vampiro per il quale il giorno non può che essere una “prigione spietata”: versi agghiaccianti, i suoi, ma veri, privi di perbenismo ed ipocrisia, che lasciano attoniti per la loro sincerità.
Cristiano Papeschi, Viterbo 2015
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