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Rispondono: GIORGIO FALETTI, LAWRENCE BLOCK, VINCENZO CERAMI, MICHAEL CUNNIGHAM
GIORGIO FALETTI
«In realtà io scrivo da sempre. Ho cominciato come autore di testi comici, e mi sono occupato personalmente della parte letteraria delle mie canzoni.
Poi un giorno un mio amico giornalista ha letto i racconti che scrivevo e mi ha spronato a cercare un editore. Per quanto strano possa apparire, pur essendo un personaggio pubblico non è stato per nulla semplice riuscire a trovare un editore disposto a darmi credito, anzi la mia popolarità mi ha parecchio ostacolato in quanto molti hanno cercato di dissuadermi dal mio proposito, suggerendomi invece di scrivere un libro meno impegnativo.
Sono stati molti che vedendo in me solo un comico non mi reputavano in grado di riuscire a scrivere testi che avessero una validità artistica: “Sei un comico, fa il comico” è stato il commento più diffuso.
Non mi sono arreso e sono approdato alla Baldini Castoldi Dalai. L’editore ha letto i miei racconti e gli sono piaciuti, ma mi ha consigliato di scrivere un romanzo anziché tentare di proporre dei racconti. Gli ho dato ascolto e così è nato “Io Uccido”».
LAWRENCE BLOCK
«Ho cominciato a scrivere fin da giovanissimo e sul perché, beh, non c’è un perché ci si avvicina alla scrittura, è una cosa che si fa e basta.
Riguardo alla scelta del thriller, quella è stata una casualità. Avevo 19 anni e studiavo lingua e letteratura inglese nel college di Yellow Springs, in Ohio, e inviai alcuni racconti a una rivista letteraria come la vostra. Ne scelsero uno e me lo pubblicarono. Così si può dire che sia nata la mia carriera di scrittore.
In realtà quando ho cominciato a scrivere, non avevo una chiara idea del genere che mi avrebbe dato fortuna, e non ero orientato in maniera tassativa verso il thriller.
Però ho sempre subito la fascinazione delle crime fictions, soprattutto per il fatto che trovo questo filone narrativo molto ampio, una specie di contenitore nel quale si può trovare di tutto.
In realtà più che un genere, la narrativa gialla è una scusa per parlare dell’animo umano.
Nel momento in cui si comincia ad entrare nella psicologia dei protagonisti, si ha la chiave di volta per poter affrontare le tematiche inerenti il sentire dell’uomo, ma anche la possibilità di discutere della società, come fanno molti altri autori contemporanei, di politica, di ambiente.
Insomma la crime fiction è una fiction, una finzione letteraria: la bravura di un autore sta nel saper utilizzare i moduli narrativi per trasfigurarli».
VINCENZO CERAMI
«Io ho iniziato piccolissimo, spinto dal bisogno di voler comunicare con il mio insegnante di lettere, che era Pier Paolo Pasolini. Quando lui ci assegnava i temi liberi in classe, io scrivevo racconti che lo facessero ridere perché sapevo che a lui piacevano, visto che stava poco bene -è stato anche cieco per un po’ di tempo- ed era molto timido. Così lui ha iniziato ad accorgersi di me. Poi col tempo ho cominciato a capire che scrivere non è altro che raccontarsi attraverso il linguaggio, ma non direttamente come quando si scrive un diario, ma raccontarsi raccontando gli altri. È necessario che io mi metta in scena, per vedere le cose di me che hanno anche gli altri, in modo che loro possano percepire il mio messaggio e riconoscersi».
MICHAEL CUNNIGHAM
«Ho iniziato a scrivere in college, allorché mi resi conto di non avere la stoffa necessaria per fare il pittore. Del resto, non ero nemmeno certo di possedere il talento per fare lo scrittore, ma, ad un certo punto realizzai che il problema fondamentale -vale a dire come creare qualcosa sulla carta che assomigliasse alla vita per mezzo della scrittura- era infinitamente importante per me, come non lo era mai stato il dipingere. Mi sono sempre chiesto, fin da allora, se il “talento” non abbia almeno un po’ a che fare con un misterioso e inesauribile interesse per un’inclinazione a portata di mano».
(Articolo a cura della redazione, pubblicato su Orizzonti n. 33)
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