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Info sull'Opera
Autore:
Tommaso Campanella
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

La Citta del Sole ( Seconda parte,4 )

di Tommaso Campanella

GENOVESE: E s’aiutano con preghiere al cielo e con odori e confortanti della
testa e cose acide ed allegrezze e brodi grassi, sparsi di fiori di farina. Nel
condir le vivande non han pari: pongono macis, mele, butiro e con aromati assai, che ti confortano gradevolmente. Non beveno annevato, come i Napolitani, neanche caldo, come li Chinesi, perché non han bisogno d’aiutarsi contra l’umori grossi in favor del natio calore, ma lo confortano con aglio pesto ed aceto, serpillo, menta, basilico, l’estate e nella stanchezza; né contra il soverchio calor dell’aromati aumentato, perché non escono di regola. Hanno pur un secreto di rinovar la vita ogni sette anni, senza afflizione, con bell’arte.
OSPITALARIO: Non hai ancora detto delle scienze e degli offiziali.
GENOVESE: Sì, ma poiché sei tanto curioso, ti dirò più. Ogni nova luna e ogni
opposizione sua fanno consiglio dopo il sacrifizio; e qui entrano tutti di venti
anni in suso, e si dimanda ad ognuno che cosa manca alla città, e chi offiziale
è buono e chi è tristo. Dopo ogn’otto dì, si congregano tutti l’offiziali, che
son il Sole, Pon, Sin, Mor; e ognun di questi ha tre offiziali sotto di sé, che
son tredici, e ognun di questi tre altri, che fan tutti quaranta; e quelli han
l’offizi dell’arti convenienti a loro, il Potestà della milizia, il Sapienza
delle scienze, il Amore del vitto, generazione e vestito ed educazione; e li
mastri d’ogni squadra, cioè caporioni, decurioni, centurioni sì delle donne come
degli uomini. E si ragiona di quel che bisogna al publico, e si eleggon gli
offiziali, pria nominati in consiglio grande. Dopo ogni di fa consiglio Sole e
li tre prencipi delle cose occorrenti, e confirmano e conciano quel che si è
trattato nell’elezione e gli altri bisogni. Non usano sorti, se non quando son
dubbi in modo che non sanno a qual parte pendere. Questi offiziali si mutano
secondo la volontà del popolo inchina, ma li quattro primi no, se non quando
essi stessi, per consiglio fatto tra loro, cedono a chi veggono saper più di
loro e aver più purgato ingegno; e son tanto docili e buoni, che volentieri
cedeno a chi più sa e imparano da quelli; ma questo è di rado assai.
Li capi principali delle scienze son soggetti al Sapienza, altri che il
Metafisico, che è esso Sole, che a tutte le scienze comanda, come architetto, e ha vergogna ignorare cosa alcuna al modo umano. Sotto a lui sta il Grammatico, il Logico, il Fisico, il Medico, il Politico, l’Economico, il Morale,
l’Astronomo, l’Astrologo, il Geometra, il Cosmografo, il Musico, il Prospettivo,
l’Aritmetico, il Poeta, l’Oratore, il Pittore, il Scultore. Sotto Amore sta il
Genitario, l’Educatore, il Vestiario, l’Agricola, l’Armentario, il Pastore, il
Cicurario, il Gran Coquinario. Sotto Potestà il Stratagemmario, il Campione, il
Ferrario, l’Armario, l’Argentario, il Monetario, l’Ingegnero, Mastro spia,
Mastro cavallarizzo, il Gladiatore, l’Artegliero, il Frombolario, il
Giustiziero. E tutti questi han li particolari artefici soggetti.
Or qui hai da sapere che ognun è giudicato da quello dell’arte sua; talché ogni
capo dell’arte è giudice, e punisce d’esilio, di frusta, di vituperio, di non
mangiar in mensa commune, di non andar in chiesa, non parlar alle donne. Ma
quando occorre caso ingiurioso, l’omicidio si punisce con morte, e occhio per
occhio e naso per naso si paga per la pena della pariglia, quando è caso
pensato. Quando è rissa subitanea si mitiga la sentenza, ma non dal giudice,
perché condanna subito secondo la legge, ma dalli tre prencipi. E s’appella pure al Metafisico per grazia, non per giustizia, e quello può far la grazia. Non
tengono carcere, se non per qualche ribello nemico un torrione. Non si scrive
processo, ma in presenza del giudice e del Potestà si dice il pro e il contra; e
subito si condanna dal giudice; e poi dal Potestà, se s’appella, il sequente dì
si condanna; e poi dal Sole il terzo dì si condanna, o s’aggrazia dopo molti dì
con consenso del popolo. E nessuno può morire, se tutto il popolo a man
commune non l’uccide;ché boia non hanno, ma tutti lo lapidano o brugiano, facendo che esso si leghi la polvere per morir subito. E tutti piangono e pregano Dio, che plachi l’ira sua, dolendosi che sian venuti a resecare un membro infetto del corpo della republica; e fanno di modo che esso stesso accetti la sentenza, e disputano con lui fin tanto che esso, convinto, dica che la merita; ma quando è caso contra la libertà o contra Dio o contra gli offiziali maggiori, senza misericordia si esequisce. Questi soli si puniscono con morte; e quel che more ha da dire tutte le cause perché non deve morire, e li peccati degli altri e dell’offiziali, dicendo quelli meritano peggio; e se vince, lo mandano in esilio e purgano la città con preghiere e sacrifizi e ammende; ma non però travagliano li nominati.
Li falli di fragilità e d’ignoranza si puniscono solo con vitupèri, e con farlo
imparare a contenersi, e quell’arte in cui peccò, o altra, e si trattano in modo
che paion l’un membro dell’altro.
Qui è da sapere che se un peccatore, senza aspettar accusa, va da sé
all’offiziali accusandosi e dimandando ammenda, lo liberano dalla pena
dell’occulto peccato e la commutano mentre non fu accusato.
Si guardano assai dalla calunnia per non patir la medesima pena. E perché sempre stanno accompagnati quasi, ci vuole cinque testimoni a convincere; se non, si libera col giuramento il reo. Ma se due altre volte è accusato da dui o tre testimoni, al doppio paga la pena.
Le leggi son pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla porta del
tempio, cioè nelle colonne, nelle quali ci son scritte tutte le quiddità delle
cose in breve: che cosa è Dio, che cosa è angelo, che cosa è mondo, stella,
uomo, ecc., con gran sale, e d’ogni virtù la diffinizione. E li giudici d’ogni
virtù hanno la sedia in quel luoco, quando giudicano, e dicono:—Ecco, tu
peccasti contra questa diffinizione: leggi—; e così poi lo condanna o
d’ingratitudine o di pigrizia o d’ignoranza; e le condanne son certe vere
medicine, più che pene, e di soavità grande.
OSPITALARIO: Or dire ti bisogna delli sacerdoti e sacrifizi e credenza loro.
GENOVESE: Sommo sacerdote è Sole; e tutti gli offiziali son sacerdoti, parlando delli capi, e offizio loro è purgar le conscienze. Talché tutti si confessano a quelli, ed essi imparano che sorti di peccati regnano. E si confessano alli tre maggiori tanto li peccati proprii, quanto li strani in genere, senza nominare li peccatori, e li tre poi si confessano al Sole. Il quale conosce che sorti di errori corrono e sovviene alli bisogni della città e fa a Dio sacrifizio e orazioni, a cui esso confessa li peccati suoi e di tutto il popolo pubblicamente in su l’altare, ogni volta che sia necessario per amendarli, senza nominar alcuno.
E così assolve il popolo, ammonendo che si guardi di quelli errori, e
confessa i suoi in pubblico e poi fa sacrifizio a Dio, che voglia assolvere
tutta la città e ammaestrarla e difenderla. Il sacrifizio è questo, che dimanda
al popolo chi si vol sacrificare per li suoi membri, e così un di quelli più
buoni si sacrifica. E ‘l sacerdote lo pone sopra una tavola, che è tenuta da
quattro funi, che stanno a quattro girelle della cupola, e, fatta l’orazione a
Dio, che riceva quel sacrifizio nobile e voluntario umano (non di bestie
involuntarie, come fanno i Gentili), fa tirar le funi; e quello saglie in alto
alla cupoletta e qui si mette in orazione; e li si dà da magnare parcamente,
sino a tanto che la città è espiata; ed esso con orazioni e digiuni prega Dio,
che riceva il pronto sacrifizio suo; e così, dopo venti o trenta giorni, placata
l’ira di Dio, torna a basso per le parti di fuore o si fa sacerdote; e questo è
sempre onorato e ben voluto, perché esso si dà per morto, ma Dio non vuol che mora.
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