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Opere pubblicate: 19994
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GENOVESE: E s’aiutano con preghiere al cielo e con odori e confortanti della
testa e cose acide ed allegrezze e brodi grassi, sparsi di fiori di farina. Nel condir le vivande non han pari: pongono macis, mele, butiro e con aromati assai, che ti confortano gradevolmente. Non beveno annevato, come i Napolitani, neanche caldo, come li Chinesi, perché non han bisogno d’aiutarsi contra l’umori grossi in favor del natio calore, ma lo confortano con aglio pesto ed aceto, serpillo, menta, basilico, l’estate e nella stanchezza; né contra il soverchio calor dell’aromati aumentato, perché non escono di regola. Hanno pur un secreto di rinovar la vita ogni sette anni, senza afflizione, con bell’arte. OSPITALARIO: Non hai ancora detto delle scienze e degli offiziali. GENOVESE: Sì, ma poiché sei tanto curioso, ti dirò più. Ogni nova luna e ogni opposizione sua fanno consiglio dopo il sacrifizio; e qui entrano tutti di venti anni in suso, e si dimanda ad ognuno che cosa manca alla città, e chi offiziale è buono e chi è tristo. Dopo ogn’otto dì, si congregano tutti l’offiziali, che son il Sole, Pon, Sin, Mor; e ognun di questi ha tre offiziali sotto di sé, che son tredici, e ognun di questi tre altri, che fan tutti quaranta; e quelli han l’offizi dell’arti convenienti a loro, il Potestà della milizia, il Sapienza delle scienze, il Amore del vitto, generazione e vestito ed educazione; e li mastri d’ogni squadra, cioè caporioni, decurioni, centurioni sì delle donne come degli uomini. E si ragiona di quel che bisogna al publico, e si eleggon gli offiziali, pria nominati in consiglio grande. Dopo ogni di fa consiglio Sole e li tre prencipi delle cose occorrenti, e confirmano e conciano quel che si è trattato nell’elezione e gli altri bisogni. Non usano sorti, se non quando son dubbi in modo che non sanno a qual parte pendere. Questi offiziali si mutano secondo la volontà del popolo inchina, ma li quattro primi no, se non quando essi stessi, per consiglio fatto tra loro, cedono a chi veggono saper più di loro e aver più purgato ingegno; e son tanto docili e buoni, che volentieri cedeno a chi più sa e imparano da quelli; ma questo è di rado assai. Li capi principali delle scienze son soggetti al Sapienza, altri che il Metafisico, che è esso Sole, che a tutte le scienze comanda, come architetto, e ha vergogna ignorare cosa alcuna al modo umano. Sotto a lui sta il Grammatico, il Logico, il Fisico, il Medico, il Politico, l’Economico, il Morale, l’Astronomo, l’Astrologo, il Geometra, il Cosmografo, il Musico, il Prospettivo, l’Aritmetico, il Poeta, l’Oratore, il Pittore, il Scultore. Sotto Amore sta il Genitario, l’Educatore, il Vestiario, l’Agricola, l’Armentario, il Pastore, il Cicurario, il Gran Coquinario. Sotto Potestà il Stratagemmario, il Campione, il Ferrario, l’Armario, l’Argentario, il Monetario, l’Ingegnero, Mastro spia, Mastro cavallarizzo, il Gladiatore, l’Artegliero, il Frombolario, il Giustiziero. E tutti questi han li particolari artefici soggetti. Or qui hai da sapere che ognun è giudicato da quello dell’arte sua; talché ogni capo dell’arte è giudice, e punisce d’esilio, di frusta, di vituperio, di non mangiar in mensa commune, di non andar in chiesa, non parlar alle donne. Ma quando occorre caso ingiurioso, l’omicidio si punisce con morte, e occhio per occhio e naso per naso si paga per la pena della pariglia, quando è caso pensato. Quando è rissa subitanea si mitiga la sentenza, ma non dal giudice, perché condanna subito secondo la legge, ma dalli tre prencipi. E s’appella pure al Metafisico per grazia, non per giustizia, e quello può far la grazia. Non tengono carcere, se non per qualche ribello nemico un torrione. Non si scrive processo, ma in presenza del giudice e del Potestà si dice il pro e il contra; e subito si condanna dal giudice; e poi dal Potestà, se s’appella, il sequente dì si condanna; e poi dal Sole il terzo dì si condanna, o s’aggrazia dopo molti dì con consenso del popolo. E nessuno può morire, se tutto il popolo a man commune non l’uccide;ché boia non hanno, ma tutti lo lapidano o brugiano, facendo che esso si leghi la polvere per morir subito. E tutti piangono e pregano Dio, che plachi l’ira sua, dolendosi che sian venuti a resecare un membro infetto del corpo della republica; e fanno di modo che esso stesso accetti la sentenza, e disputano con lui fin tanto che esso, convinto, dica che la merita; ma quando è caso contra la libertà o contra Dio o contra gli offiziali maggiori, senza misericordia si esequisce. Questi soli si puniscono con morte; e quel che more ha da dire tutte le cause perché non deve morire, e li peccati degli altri e dell’offiziali, dicendo quelli meritano peggio; e se vince, lo mandano in esilio e purgano la città con preghiere e sacrifizi e ammende; ma non però travagliano li nominati. Li falli di fragilità e d’ignoranza si puniscono solo con vitupèri, e con farlo imparare a contenersi, e quell’arte in cui peccò, o altra, e si trattano in modo che paion l’un membro dell’altro. Qui è da sapere che se un peccatore, senza aspettar accusa, va da sé all’offiziali accusandosi e dimandando ammenda, lo liberano dalla pena dell’occulto peccato e la commutano mentre non fu accusato. Si guardano assai dalla calunnia per non patir la medesima pena. E perché sempre stanno accompagnati quasi, ci vuole cinque testimoni a convincere; se non, si libera col giuramento il reo. Ma se due altre volte è accusato da dui o tre testimoni, al doppio paga la pena. Le leggi son pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla porta del tempio, cioè nelle colonne, nelle quali ci son scritte tutte le quiddità delle cose in breve: che cosa è Dio, che cosa è angelo, che cosa è mondo, stella, uomo, ecc., con gran sale, e d’ogni virtù la diffinizione. E li giudici d’ogni virtù hanno la sedia in quel luoco, quando giudicano, e dicono:—Ecco, tu peccasti contra questa diffinizione: leggi—; e così poi lo condanna o d’ingratitudine o di pigrizia o d’ignoranza; e le condanne son certe vere medicine, più che pene, e di soavità grande. OSPITALARIO: Or dire ti bisogna delli sacerdoti e sacrifizi e credenza loro. GENOVESE: Sommo sacerdote è Sole; e tutti gli offiziali son sacerdoti, parlando delli capi, e offizio loro è purgar le conscienze. Talché tutti si confessano a quelli, ed essi imparano che sorti di peccati regnano. E si confessano alli tre maggiori tanto li peccati proprii, quanto li strani in genere, senza nominare li peccatori, e li tre poi si confessano al Sole. Il quale conosce che sorti di errori corrono e sovviene alli bisogni della città e fa a Dio sacrifizio e orazioni, a cui esso confessa li peccati suoi e di tutto il popolo pubblicamente in su l’altare, ogni volta che sia necessario per amendarli, senza nominar alcuno. E così assolve il popolo, ammonendo che si guardi di quelli errori, e confessa i suoi in pubblico e poi fa sacrifizio a Dio, che voglia assolvere tutta la città e ammaestrarla e difenderla. Il sacrifizio è questo, che dimanda al popolo chi si vol sacrificare per li suoi membri, e così un di quelli più buoni si sacrifica. E ‘l sacerdote lo pone sopra una tavola, che è tenuta da quattro funi, che stanno a quattro girelle della cupola, e, fatta l’orazione a Dio, che riceva quel sacrifizio nobile e voluntario umano (non di bestie involuntarie, come fanno i Gentili), fa tirar le funi; e quello saglie in alto alla cupoletta e qui si mette in orazione; e li si dà da magnare parcamente, sino a tanto che la città è espiata; ed esso con orazioni e digiuni prega Dio, che riceva il pronto sacrifizio suo; e così, dopo venti o trenta giorni, placata l’ira di Dio, torna a basso per le parti di fuore o si fa sacerdote; e questo è sempre onorato e ben voluto, perché esso si dà per morto, ma Dio non vuol che mora.
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