| E’ un po’ come la saudade brasiliana, il “Maldafrica” di Lucia Ciferri, questo sentimento così autentico e struggente, una sorta di nostalgia e malinconia per qualcosa che si è perso ma vive nel ricordo.
Un termine difficile da tradurre letteralmente, proprio come “Maldafrica”, vocabolo unico (per questo il titolo non ha spazi né apostrofi) per il quale non esistono sinonimi.
L’opera, pubblicata nella collana “I Diamanti della Narrativa” dell’Aletti editore, è un ricordo a cuore aperto, fatto di bellezza che sta negli occhi di chi guarda, pienezza, amore e di un sogno ad occhi aperti. «L’idea di scrivere questo romanzo – racconta l’autrice, nata a Roma, dove vive – viene proprio dalla gratitudine che ho provato ogni volta che ho messo piede in Africa, il poter godere di quei colori, del respiro profondo di una terra sconosciuta; aver avuto l’opportunità di beneficiare di tanta bellezza selvaggia mi ha fatto sentire una persona privilegiata». Prima, erano solo delle sensazioni chiuse nel cuore e nel cassetto, poi, diventano ricordi resi indelebili grazie alla penna, che diventa lo strumento per fuoriuscire dalla gabbia del dovere e del pragmatismo matematico; per esternare e condividere desideri e sogni in una società sempre meno idealista. E Lucia ha fatto dell’arte l’essenza della sua vita. Con la scrittura, ma anche con la danza e il teatro. Discipline accomunate dal senso di libertà e da un unico linguaggio, quello delle emozioni, dove ritrovare quella parte, a volte, tenuta nascosta ma che forma la coscienza interiore. E poi c’è il viaggio, quello verso nuove parti del mondo, come l’Africa, e quello verso la scoperta di se stessi, che è senza fine. «Certo – confessa l’autrice – spesso è necessario lasciare la propria comfort zone, mettersi in gioco, rischiare, cadere, soffrire. Ma che sarebbe la nostra esistenza se non ci fossero questi momenti altalenanti? Viaggiare è un po’ curiosare oltre il nostro orizzonte».
Quella di “#Maldafrica” è una storia semplice, espressa con un linguaggio altrettanto genuino. «Ho cercato di scrivere come vorrei leggere, senza troppi giri di parole, usando una terminologia comune, andando dritta al punto. Gli intellettuali storceranno sicuramente il naso ma io ritengo che, se vogliamo che la cultura arrivi a tutti, dobbiamo renderla fruibile per tutti». Per Lucia è difficile chiudere gli occhi e pensare ad un solo ricordo del suo viaggio in Africa. Riaffiorano alla memoria il deserto, con la sua infinita varietà di sfaccettature; le acque del Nilo; la lingua di terra della Costa d’Avorio, con i colori dei tramonti e gli odori dei mercati; la magnificenza dell’Oceano. Ma più di ogni cosa gli occhi della gente, quegli sguardi, fieri, profondi. «La dignità e l’ospitalità delle persone semplici – racconta Lucia – è una ricchezza che abbiamo perso nel nostro quotidiano rincorrere un progresso che in realtà ci sta facendo regredire».
Nella scrittura, realtà e fantasia sono l’una il completamento dell’altra. Che le storie siano vere o frutto di pura fantasia c’è sempre un riflesso di ciò che viene vissuto. L’opera è un concentrato di stati d’animo, colori e sfumature. Una nostalgia leggera che accarezza senza ferire, una malinconia che non fa male; è quella sensazione di pienezza nella bellezza che, solo per averne fatto parte, continua a colorare la vita anche quando ormai quella meravigliosa terra è lontana. Ma è, soprattutto, sana leggerezza, che non è superficialità, ma scoprire le emozioni più nascoste della nostra anima, senza paura di mostrarsi fragili e vulnerabili. «Sarebbe bello se, scorrendo le parole che si rincorrono, il lettore potesse, anche per un solo istante, ritrovarsi a passeggiare in quel paradiso e sentire le vibrazioni che tanta meraviglia suscita».
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