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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Intervista a Clementina Principe, che presenta ai lettori “Maschere e altre storie”.

di Rassegna Stampa


👉 Intervista a Clementina Principe, che presenta ai lettori “Maschere e altre storie”.


D. – Partiamo proprio dal titolo, come mai “Maschere e altre storie”. Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
R. – Ci sono due punti salienti nel #libro stesso che portano alla comprensione del titolo, il primo è nella citazione di #AldaMerini, la grande poetessa del Novecento, che apre la scrittura ”L’unica maschera concessa nella vita è nascondere il proprio dolore dietro a un sorriso per non perdere la propria dignità!”. Ogni giorno indossiamo delle maschere per proteggerci e per nascondere i nostri stati d’animo, anche quella del sorriso quando vorremmo solo piangere.
Esistono tuttavia altre maschere, nell’ambito della violenza e della negatività dalle quali tentiamo di fuggire. Nel folclore giapponese gli Oni, personaggi popolari dell’arte, della letteratura e del teatro, raffigurati in copertina, sono portatori di disastri e rappresentano segni premonitori dell’inconscio. Un terzo punto da non tralasciare infine, sempre all’interno della cultura giapponese, è l’interpretazione in senso lato di cosa simboleggiano le maschere, esse rappresentano gli antenati, e, se indossate da individui iniziati, hanno capacità di renderli presenti.
Anche nella cultura occidentale ci rifugiamo in una sorta di simile spiritualità quando, nei momenti critici, ci rivolgiamo, per intermediazione, alle anime dei defunti perché ci accompagnino con benevolenza nel nostro percorso terreno.
Quindi la #maschera può rappresentare uno spirito, un antenato, una divinità, una protezione, ma è in sintesi un altro volto dell’essere umano ed espressione di ambiguità e contraddizione, fasi di passaggio dell’anima che emergono anche nelle storie qui narrate.

D. – Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
R. – Il #racconto della realtà è stato determinante per la nascita del libro e ben si è espresso al riguardo il critico letterario che ne ha recensito il testo, indicando che “nella vicenda, anche se originata da un rapporto personale, ha parte determinante lo stato di lontananza, considerato ma non esasperato, in termini di realtà”.

D. – La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
R. – I valori della famiglia in primo luogo e anche il dramma esistenziale di persone emarginate socialmente, di tutte le vittime della violenza, delle guerre, che non devono essere dimenticati, perché mentre i primi sono il filo conduttore delle generazioni e l’anello di congiunzione tra passato e presente, la perdita di dignità o della libertà fisica e di pensiero degli altri annulla il faticoso cammino intrapreso dall’uomo fin dagli albori della civiltà.

D. – A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “Maschere e altre storie”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
R. – Li ricondurrei al sentimento cristiano della “pietas” che esprime l’insieme dei doveri che l’uomo ha sia verso il prossimo che verso tutti coloro che ci hanno accompagnato anche solo per un breve tratto della nostra vita, quali i genitori o un compagno che ci abbiano lasciato troppo presto.

D. – Quali sono le sue fonti d’ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
R. – Considero Italo Calvino il mio maestro spirituale, colui che, oltre ad aprirmi gli orizzonti sconfinati del mondo delle favole quale guida alla lettura del mondo reale in cui viviamo, ha anche sciolto i nodi interpretativi che avviluppavano la mia facoltà di discernimento, annullata in molte situazioni dal flusso dei sentimenti, quando la incomunicabilità e il silenzio pregiudicavano la riuscita delle relazioni interpersonali.
Grande fonte d’ispirazione nella mia formazione culturale sono stati anche gli scritti di Khalil Gibran che non ha tralasciato di affrontare i grandi temi dell’amore per i figli, della complessità dei vincoli del matrimonio unitamente ad altri assunti ancora sorprendentemente attuali.

D. – Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
R. – Posso senz’altro dire che la musica ha avuto la funzione di completare il mio pensiero, in quanto ogni volta che facevo ricorso in particolare alla mia vena poetica per esprimere le emozioni del momento nasceva in me il bisogno di arricchire il mio scritto con le note di brani che in qualche modo fossero pertinenti al testo che avevo appena creato.
Credo che questa tendenza sia stata originata dalla mia lunga collaborazione con una rubrica di Radio Lugano, “Carte e Spartiti”, che mandava in onda i miei racconti alternati a brani di musica classica.

D. – Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
R. – Ovviamente la mia preferenza va a tutti gli scrittori che, come me, hanno privilegiato i viaggi nel mondo dei sentimenti a partire da Charles Bukowski, che sull’amore ha stigmatizzato il suo pensiero nella frase iconica “Amore è una sigaretta col filtro ficcata in bocca e accesa dalla parte sbagliata”. Bukowski è entrato nella cultura di massa come scrittore ribelle, in opposizione a tutti gli stereotipi del suo tempo, ai pregiudizi e alla mediocrità intellettuale. Ha anche detto sulla tristezza che una delle funzioni principali di questo stato d’animo consiste proprio nel segnalare alle persone che ci sono accanto sentimentalmente il bisogno della loro vicinanza, del loro sostegno, aiuto o conforto nei momenti di smarrimento.
In sintesi sono attratta da autori che hanno avuto il coraggio di rompere le regole perbeniste e patriarcali, di andare controcorrente.
A questo filone si collega anche la scrittrice britannica Virginia Woolf, elemento di riferimento dell’Avanguardia modernista del XX secolo e portavoce delle battaglie sociali in favore della parità dei sessi e dell’emancipazione femminile. Per questa scrittrice tormentata, alla quale era toccato vivere in un mondo di uomini, l’esigenza di sovvertire gli equilibri sociali del suo tempo era racchiusa nella sintesi del suo pensiero “Una donna deve avere soldi e una stanza suoi propri se vuole scrivere romanzi”. Quale miglior contributo alla sua causa?

D. – Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
R. – Non potrei non preferire il libro cartaceo, anche se sono consapevole che il futuro della lettura e della letteratura risiede nello sviluppo del mondo digitale.
Tuttavia le mie origini “letterarie” provengono da episodi legati al periodo della formazione liceale e al rapporto emotivo con il mio professore d’italiano.
Riporto un episodio esplicativo dell’affezione che mi legava indistintamente a tutti i #libri che trasportavo faticosamente ogni giorno da casa al liceo e viceversa. Il professore una mattina, arrivando in classe, chiese se avevamo preparato con scrupolosità la lezione di quel giorno, che consisteva nella dissertazione su un brano di letteratura complesso e articolato in varie pagine dell’antologia che stavamo esaminando. Nessuno ebbe il coraggio di rispondere alla sua domanda, perché nessuno aveva avuto modo di farlo nel poco spazio di tempo che avevamo avuto a disposizione nel breve intervallo tra una e l’altra delle sue lezioni. Ricordo che per rompere quell’imbarazzo ingiustificato mi alzai, presi il libro con me e mi diressi verso la cattedra, poggiai il volume sul ripiano e guardai il professore diritto negli occhi, poi aprii il testo imbarazzante e cominciai a sfogliare delicatamente una pagina dietro l’altra fino alla fine del compito assegnato, con delicatezza, quasi sfiorando la scrittura perché, nonostante tutto, nessuna parola andasse perduta. Vede professore, chiesi infine, come avremmo potuto assimilare in così poco tempo tutto quello che questo brano doveva trasmetterci, in maniera approfondita, perché lasciasse un segno dentro di noi? Il professore mi guardò e mi sorrise, rimandandomi al mio posto.
Seppi più tardi che le carezze che avevo dispensato all’antologia lo avevano colpito nel profondo e lo avevano rassicurato sull’amore per la letteratura che egli stesso tentava di ispirarci.

D. – Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro?
R. – Ad ogni presentazione di un mio nuovo libro mi viene chiesto cosa mi abbia spinto a scriverlo ed io fornisco ogni volta delle motivazioni varie perché alla nascita delle mie opere hanno sempre contribuito fattori imponderabili, anche se legati tra loro da un denominatore comune, la libertà. Sarebbe più semplice dire che scrivere è un’esigenza liberatoria che sento fin dall’adolescenza, o ancora che scrivere dà libero corso ai pensieri e usare, per rispondere, le parole di Cartesio “cogito ergo sum”, penso dunque sono, perché questa formula esprime la piena certezza dell’essere umano della propria esistenza, senza aggiungere altro.
In tal caso, tuttavia, non sarei esaustiva delle vere ragioni che mi spingono ad accettare la sfida, che immancabilmente mi si pone, davanti a un foglio bianco da riempire. E’ innegabile che poter esprimere il proprio pensiero e le proprie opinioni, anche se scomode, è una delle libertà irrinunciabili dell’essere pensante e che la dignità è ad essa legata a doppio filo, ma esiste nel mio intimo un’altra motivazione recondita alla scrittura.
Ho sempre cercato nelle righe di ogni mio libro, e particolarmente in questo, la ragione ultima delle cose e di acquisire la leggerezza dell’essere, irraggiungibile per Kundera, che decreta a causa dell’unicità della vita e della mancanza di un termine di paragone l’impossibilità di conoscere se le scelte che facciamo siano giuste o sbagliate. Nella prima parte del libro in particolare, in quanto autobiografica, mi sono posta delle domande e ho trattato a fondo il tema della pesantezza esistenziale.

D. – Un motivo per cui lei comprerebbe “Maschere ed altre storie”, se non lo avesse scritto.
R. – Uno dei #racconti “Maschere”, che dà anche il titolo al libro, contiene un messaggio salvifico di speranza e l’indicazione di come arrivare alla catarsi, e quindi alla liberazione da esperienze traumatizzanti, facendo riaffiorare alla propria coscienza gli eventi responsabili di situazioni conflittuali irrisolte per poi rimuoverle dal subconscio. Freud insegna e qui la scrittura sostituisce la psicoterapia moderna.

D. – Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
R. – Sì, ho iniziato a scrivere il mio prossimo libro, che apparterrà al genere della letteratura di viaggio, la cosiddetta scrittura odeporica, che non conterrà soltanto memorie, riflessioni e momenti legati a un viaggio, ma il viaggio sarà ancora una volta e al tempo stesso nel mondo dei sentimenti, che rimane il tema ricorrente e privilegiato dei miei libri.
Naturalmente non trascurerò la parte relativa al travel journaling , vero e proprio, che comunque ho già sperimentato in un mio precedente libro “Halma”, il romanzo che rappresenta in alcune pagine un vero e proprio diario del viaggio in transiberiana da me compiuto durante una pausa di riflessione.
Per alcuni il viaggio si pone come testimonianza autobiografica, come accettabilità del diverso e dell’inconsueto, fra reale e fantastico, tra verità e meraviglia.
Per me essenzialmente, e vorrei fare un motto di queste parole, “Viaggiare non è fuggire dalla propria realtà, ma esplorazione di altri mondi e i libri ci aiutano a scoprirli”.

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