| 👉 Intervista a Giuseppe Failla che presenta ai lettori il romanzo “Chiaro oscuro”
Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Chiaro oscuro”. Quali sono gli argomenti ricorrenti o fondamentali che tratta in questo volume?
Risposta - Penso che in ciascuno di noi coabitino aspetti controversi della personalità che, a seconda delle circostanze o delle angolature prospettiche, si presentano chiari od oscuri. D’altra parte, il Bianco o il Nero non sono assoluti e immodificabili né tutto è Bene o Male. Malgrado io abbia esasperato nel libro il contrasto tra le due entità, talvolta in modo un po' manicheo, credo che sia sempre dominante il Grigio con le sue molteplici sfumature in perenne evoluzione cromatica e temporale.
L’argomento ricorrente in buona parte della mia produzione letteraria e centrale anche in quest’ultimo libro, è la lotta per la difesa della Vita e della sua qualità, quando la Vita stessa è minacciata da malattie gravi, spesso a prognosi molto severa. Lotta che coinvolge non solo il paziente e il suo medico, ma anche i familiari e tutte le persone che, a qualsiasi titolo, sono vicine fisicamente e/o spiritualmente alla persona malata.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Risposta - Ho esercitato la professione di medico oncologo per oltre cinquant’anni, vivendo quotidianamente accanto alla sofferenza di molti, tantissimi pazienti. Nelle persone sensibili, questo non può non lasciare un ‘impronta indelebile. Quando ho appeso al chiodo il camice, le vite di tanti Pazienti, di cui sono stato nel contempo testimone e deuteroagonista, si sono presentate in massa nella mia mente e hanno richiesto ancora attenzione. Questa volta non più sugli aspetti squisitamente clinici ma sulle loro problematiche esistenziali, la bellezza e la femminilità violate, le aspirazioni di successo e di carriera ridimensionate o annullate, il distacco progressivo dagli interessi prima e infine drammaticamente dagli affetti. Io ho trasferito queste dinamiche sulla carta, coniugando la passione per la narrativa alla mia esperienza di medico.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Risposta - Ho voluto portare la mia testimonianza della vita in corsia, soffermandomi sulla sofferenza indotta dalla malattia e, spesso, anche dalle cure. Voglio dire che il bisturi, le radiazioni, i farmaci guariscono o migliorano la qualità della vita o ritardano la morte. Ma talvolta aggiungono sofferenze al malato, condizionandone le scelte dopo l’evento morboso acuto, inducendo danni psicologici di difficile rimozione. Alle richieste di aiuto fisico, psicologico ed anche spirituale i medici ma non solo, la Società tutta, devono dare adeguate risposte. Lo fanno? Spesso, ma non sempre e non dovunque.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “Chiaro Oscuro”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore, come li descriverebbe?
Risposta - Una pagina a me particolarmente cara è quella che riguarda un momento della cura di Giuliana, la giovane co-protagonista del libro. Giorgio, il suo medico, le si avvicina per controllare la flebo che veicola i farmaci antitumorali. Cominciano a parlare di tanti argomenti e ne affrontano uno difficile e complesso: la Fede religiosa, la sua importanza quale supporto terapeutico. Giorgio confida alla sua paziente il suo agnosticismo, contribuendo così a definire quel rapporto Medico- paziente come orizzontale, paritetico, uno scambio di idee, impressioni, emozioni tra l’uomo in camice e quello in pigiama. Eliminando cioè il paradigma di rapporto verticale, tra un soggetto emittente ed uno ricevente.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Risposta - Anzitutto le opere della psicologa svizzera, naturalizzata USA, Elisabetta Kubler Ross che ha molto studiato le dinamiche psicologiche dei pazienti oncologici. Poi le opere narrative dei russi, Tolstoj e Dostoevskij, quindi Steinbeck, Hemingway, Caldwell, amati già dai tempi del liceo.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Risposta - Influenzato, no! Tuttavia, a me pare che alcune opere di Caravaggio siano orientate in analogia a sottolineare il dolore dell’Uomo. Esse mi abbiano emozionato come, per esempio, la Medusa, Giuditta e Oloferne, il martirio di San Pietro, perfino il Ragazzo morso dal ramarro.
Domanda - Oltre a quello trattato dal Suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Risposta - Il genere poliziesco, in genere. Soprattutto quelli in cui i protagonisti non sono dei Superman, ma persone zeppe di problemi, con molti difetti di cui sono perfettamente consapevoli ,profondamente convinti della necessità di emendarsi ma incapaci di mettere in atto tali propositi.
Domanda - Preferisce il libro cartaceo o quello digitale?
Risposta - Il cartaceo! Amo la carta stampata, il suo odore, il rumore che sento quando ne sfoglio le pagine. Amo il libro non solo per il suo eventuale contenuto ma anche come oggetto.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro?
Risposta - Man mano che scrivevo, i vari personaggi sono usciti da una sorta di limbo pre-narrativo ed hanno assunto caratteristiche che ne delineavano meglio il loro essere “persone”. Da quel momento e mi è accaduto tante altre volte, i personaggi si sono impadroniti della mia mano ed è stato come se creassero da soli il loro percorso.
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