| “Appena prima della campagna” di Diego Figini.
Andare o restare? L’eterno dilemma delle nuove generazioni
“Appena prima della campagna” è un romanzo ambientato nei primi anni ’80, in cui l’autore, Diego Figini, descrive una realtà agricola, che tendenzialmente, non sa rimanere a passo coi tempi, ma da cui, alcuni, trovano la forza di staccarsi, per andare a scoprire il mondo fuori. L’opera è pubblicata nella collana “I Diamanti della Narrativa” dell’Aletti editore. Siamo, precisamente, nel 1981, a Vignole, un piccolo centro sull’Appenino piemontese; il bar rappresenta il luogo principale di ritrovo e di svago. Oltre a quello, c’è il lavoro in campagna o nelle piccole industrie dei paraggi. Molti riescono ad accontentarsi. Qualcuno invece, decide di non rassegnarsi. Così, c’è chi fugge lontano, imbarcandosi su di una nave, e chi resiste, inventando continuamente delle burle. Chi assiste ad un miracolo e chi, del lavoro, fa l’unica ragione di vita. Tutto questo, mentre un gruppo di ragazzi cresce, anno dopo anno, immaginando una vita diversa da quella dei loro genitori. Amicizia, egoismo, avidità e purezza d’animo, nostalgia e scelte di vita, all’apparenza incomprensibili: “Appena Prima della Campagna” racconta tutte queste storie di paese, tuffandosi nella magia della campagna e delle sue stagioni.
«Il titolo dell’opera - spiega l’autore, nato a Novi Ligure nel 1970, operaio nel settore del riciclo dei rifiuti, che vive a Vignole Borbera (in provincia di Alessandria) - indica una sorta di linea immaginaria, un confine tra chi ha scelto di rimanere a vivere nel paese e, quindi, si è fatto coinvolgere dalla campagna, e chi si è fermato appena prima, decidendo di andarsene, scegliendo un futuro lontano e soprattutto dal tipo di vita diverso da quello del paese».
“Appena Prima della Campagna” si articola in diversi episodi, in cui i personaggi si alternano nei ruoli, facendo ora da protagonista, ora da comprimario. Sono i più giovani a dover scegliere tra una realtà sempre più globalizzata e la campagna, legata a quei valori di un tempo, anche se, forse, a volte severi e dettati dal pregiudizio. Un dubbio amletico che, ancora oggi, attanaglia le nuove generazioni: andar via da una terra che spesso offre poco e in cui bisogna lottare anche solo per i propri diritti, oppure essere resilienti e rimanere. «Penso che riuscire a lasciarsi tutto alle spalle - afferma Figini, autore di diverse opere - e cercare un posto dove farsi una nuova vita, per un giovane, sia più facile. Al contrario, rimanere e lottare per cercare di far cambiare le cose, richiede una resilienza, che non tutti possiedono». La narrazione segue uno stile creativo, semplice e confidenziale, con molti dialoghi e riflessioni, accostate a descrizioni più o meno particolareggiate, a seconda dell’importanza del soggetto. Nella scrittura, realtà e fantasia s’intrecciano in egual misura. Le storie sono quasi tutte realmente accadute, mentre i personaggi e le loro descrizioni, sia fisiche che caratteriali, sono sempre inventate.
«La globalizzazione, ma già il consumismo - afferma l’autore - aveva fatto in modo di stravolgere le abitudini e, di conseguenza, il modo di vivere degli italiani. Oggi, in pieno neoliberismo, assistiamo ad un’ulteriore perdita di valori, a favore di un individualismo, sfrenato al punto di far mancare, in molti casi, la solidarietà e la compassione. Qualità queste, che un tempo legavano gli italiani, cosa ancor più accentuata nei centri piccoli come Vignole, dove ci si conosceva tutti per soprannome e le persone erano un tassello importante della comunità e non si negavano agli altri». Infine, quando chiediamo a Diego cosa sia rimasto di quella realtà descritta nel suo libro e quali siano gli “effetti collaterali” del progresso, risponde così: «purtroppo, non è rimasto praticamente nulla. Non solo per la campagna coltivata che, in questi decenni, è stata sostituita da un’edificazione sfrenata, che ha stravolto la fisionomia del paese, ma anche nelle persone che vivono, ragionano e, di conseguenza, si comportano diversamente da allora. Ad esempio, il dialetto vignolese è scomparso».
Federica Grisolia
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