| 👉 Intervista a Giancarlo Frisoni, che presenta ai lettori il libro “Io non coloro le lacrime”
Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Io non coloro le lacrime”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Risposta - Il titolo è la metafora dell’essere sé stessi e non di apparire per quello che non si è. Le lacrime sono una delle cose più vere. Suggeriscono l’essenza dell’uomo, la sua coscienza, la sua vera natura. Ma tante volte si cerca di cambiare loro colore, di assolverle, giustificarle, collocarle in una diversa verità, per mostrarsi meno fragili o meno deboli. Questo tempo in particolare, è fatto di stereotipi che si cerca di perseguire ad ogni costo, mitigando spesso la propria identità. Gli argomenti che tratto, il filo conduttore di tutte le mie forme d’arte (pittura, scrittura, fotografia e poesia) è quell’universo palpabile che nessuno conosce, quella forza che ci fa alzare ogni mattina e ci fa andare avanti. È la vita, il cercare un equilibrio, un senso o una risposta ai suoi interrogativi. Quel registro dove misurare le parole, le emozioni, il dolore, il tempo. Soprattutto quello passato che in me torna costante, e anche se sembra non faccia più male non è così. In questa raccolta prende forma e spazio, perché il tempo ha un valore, è una esplorazione che diventa frammentazione di semplici quotidianità, quindi memoria.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Risposta - La scrittura è stata ed è, il mezzo per giungere al fine. Alla realtà appunto, quella passata che già è memoria e tocca a noi salvarla, a quella che invece va raccontata affinché non vada perduta. Raccontare è sempre qualcosa che va oltre quello che si dice, qualcosa che trasforma in parole le emozioni e le affida agli altri e al tempo. Un viaggio che mi rappresenta, a volte a mezza voce, o a toni forti, nel paradigma di una geografia viva di luoghi e sentimenti, spesso e quasi sempre personali, a volte comuni.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Risposta - Tutto quello che il tempo ha allevato e forgiato in me. Quel mondo contadino dal quale provengo, i suoi tanti valori sopiti. Quelli ho sentito il bisogna di salvare, perché sono diventati il nervo vivo della mia vita e della poesia. Così la poesia si è fatta gioia, aria, dolore, disagio, sofferenza, ragione. Una ragione che però non esorcizza il sapere di essere uomo di terra e sua preda, il cammino verso quel frantoio feroce che macina giorni su giorni instancabile, e uno ad uno ci aspetta, ci chiama, ci prende. Noi siamo la vita e la morte, possiamo solo provare a lasciare un segno per non andare perduti.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “Io non coloro le lacrime”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Risposta - Io lavoro molto con metafore. Quando per un input qualsiasi si profila qualcosa da raccontare in poesia, inizia la ricerca delle parole. Sono giorni di parole in transito, parole da sottomettere e incanalare, vestire di carezze o pugni, farle volare o seppellire. Gli episodi che ricordo sono legati a scritti che mi hanno fatto sentire particolarmente soddisfatto, dove forma e contenuto si sono espressi nell’equilibrio che volevo. Iniziando dal testo della montagna che altro non è che la metafora degli irraggiungibili sogni, e una volta accettati i propri limiti si trasforma in una tenera immagine di bambino (pag.11). O l’irriconoscibile cambiamento intorno che fa rimpiangere i tempi del dolore (pag.13). L’instancabile speranza che torna a guarire anche il passato (pag.14). L’incomunicabilità e il bisogno d’amore (pag.17-18). Il coraggio di non ammettere il proprio smarrimento (pag.19). La chiusura dell’aggrapparsi al ricordo senza prospettive (pag.26-27). La bellezza delle cose vere (pag.30). I dialoghi con mio padre e mia madre (pag.36-42-47). Il bisogno di toccare il passato (pag.43). Quello di un posto dove sentirmi sicuro (pag.45). La consapevolezza di una difficile realtà e di un difficile amore (51-52). L’attesa di qualcosa che in fondo si sa, la speranza di ritrovarsi, nel presente oppure nel passato (pag.55-58).
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Risposta - Come ho già detto, racconto la vita, quindi penso che fonte d’ispirazione più grande e più vera faccia fatica ad esistere. Un bacino profondo intriso di fatti, di terra, momenti, quindi di gioia, dolore, sensazioni, segreti, passato, sogni, desideri. Sono questi i bianchi e i neri che compongono la tastiera della mia ispirazione, della mia poesia, sono la musica della vita. A me piace leggere, e leggere di tutto, perché anche nella più banale rivista può esserci qualcosa che merita e porta a ragionare, magari in negativo ma pur sempre a ragionare. Gli autori che per primi hanno lasciato in me una traccia, sono stati già dai tempi della scuola Calvino e la Deledda, poi l’innamoramento per Pavese nel quale pareva mi specchiassi. Il Montale di “Ossi di seppia” fino al suo ermetismo finale, l’amore smisurato della Merini, i più contemporanei Milo De Angelis o Franco Arminio. Per non scordare i poeti dialettali della mia Romagna, come Giustiniano Villa il capostipite, e il più contemporaneo Raffaello Baldini.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Risposta - Io vengo dalla pittura. La pittura è stata la prima forma d’arte con la quale mi sono espresso. E tante regole imparate le ho riversate nella scrittura perché la valenza è la stessa, come la campitura, gli spazi, il contenuto, la prospettiva. E la forma in primis, quella che ti contraddistingue, ti fa riconoscere, se si riesce a trovare una personalità. Quella è sicuramente la cosa più difficile, perché trovare uno stile individuale è frutto di tanto lavoro ed esperienza, tanto pensiero e passione, sofferenza, dedizione, insistenza. Nella poesia infatti, anche se ne ho scritte fin dall’adolescenza, non trovavo un orientamento nel quale il discorso asciugasse tutto all’essenza, dove poche parole fossero una trama, un concetto di coscienza o di esistenza, anche dove e quando possono apparire insulse e addirittura contradittorie. Come nella pittura infine, ho scelto di non mettere titoli ai miei testi, per non fuorviare il lettore. Al lettore deve arrivare qualcosa che lo emozioni e lo accomuni in un linguaggio universale, perché la percezione cambia a secondo delle origini, della cultura, del senso di appartenenza di ognuno di noi.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Risposta - Pavese mi ha da sempre molto emozionato, di lui penso di aver letto tutto. Ma anche la narrativa legata ad eventi realmente accaduti. “La storia” della Morante, “Un uomo” della Fallaci, “Se questo è un uomo” di Levi, e tanti altri di questo genere, hanno sicuramente contribuito a una costruzione della mia personalità, anche letteraria. Una letteratura che mi coinvolge e mi emoziona per il solo fatto che è stata storia accaduta, raccontata poi dalla penna di grandi scrittori. Mi coinvolgono meni i classici, i così detti “mattoni” di migliaia di pagine. Si può dire tanto anche con poco, la poesia ne è l’esempio lampante.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Risposta - Cartaceo forever! Un libro è qualcosa di vivo, da toccare Qualcosa da accarezzare, che piange, grida, vince, perde, esulta. Che lo si mette a dormire nella sua scansia e gli si tengono gli occhi sopra come a un figlio. Qualcosa che quando ti prende non ti fa dormire perché vuole essere letto tutto d’un fiato. Ho libri sdruciti dal tempo e dalle dita, pagine macchiate da aloni di lacrime, parole e frasi stampate dentro il cervello. Tutto questo nello schermo di un computer non è possibile, arriva tutto più freddo e distante, c’è un vetro di mezzo, le parole si possono vedere, leggere, ma non sentire addosso, toccare come fossero pelle di chi le ha scritte.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Risposta - Sicuramente più profondo e viscerale. Ho ritrovato la bellezza delle parole, il loro suono, la loro forza. Una scrittura diversa da quella dei miei racconti, dei miei romanzi, o da quella che accompagna i miei libri fotografici. Ho scoperto e trovato il ricordo di me, la mia adolescenza. I sogni, i segreti, la voglia di futuro, gli sbagli, i disagi. Come potermi correggere e completare davanti a uno specchio. Mi sono accorto che non si può costringere il pensiero, ma farlo volare. Così gli ho ridato vita senza remore o incertezze, trovando una forza sconosciuta che ha mosso l’universo riversato nel libro : le paure, le ombre deposte, i rami di memorie che in un certo senso ho salvato. E loro hanno liberato me.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Io non coloro le lacrime”, se non lo avesse scritto.
Risposta - La prima cosa che mi avvicinerebbe al libro sarebbe la curiosità del titolo. E l’immagine di copertina, una foto significativa che rievoca un mondo umile e dignitoso. Poi, sfogliandolo e rubando con gli occhi qualche frase, penso rimarrei colpito da quel farsi portare in viaggio dalle parole, da testi che vogliono essere capiti e cercano risposte. La voce di un nuovo poeta merita sempre una possibilità, a volte i mutamenti stanno nelle semplici cose.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Risposta - Ora sto lavorando ad un libro fotografico, dove le storie saranno accompagnate da racconti anche drammatici. Ho appena finito di scrivere uno spettacolo teatrale sulla violenza nei confronti delle donne, e sto preparando una mostra dove presenterò per la prima volta insieme opere fotografiche e pittoriche. E quando sono di vena giusta, sto scrivendo una serie di racconti leggeri e ridanciani di personaggi e storie eccentriche della mia terra. Non tralasciando però la poesia. Quella oramai accompagna il mio pur sempre meraviglioso senso della vita.
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