| 🔹Intervista a WILLIAM N. MARRAS, che presenta ai lettori il libro “Spektre. Fantasmi in Afghanistan” (Aletti Editore)
- Partiamo proprio dal titolo, come mai “Spektre. Fantasmi in Afghanistan”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Il titolo nasce durante la stesura del romanzo che parla, appunto, della squadra Spektre. Descrivendo questi uomini ed informandomi su quelli come loro ho capito che sono realmente dei Fantasmi. Operano in teatri di guerra e in nazioni nelle quali non dovrebbero essere, se “cadono” vengono archiviati come turisti scomparsi o mai esistiti, fanno cadere governi e lasciano i meriti ad altri, da loro può dipendere lo scoppio o meno di una guerra ma nessuno sa chi siano e, in questo caso, la Spektre era una squadra di fantasmi in Afghanistan. Da qui, il titolo.
Gli argomenti fondamentali sono innanzitutto far sapere al mondo che cosa succede in certi posti del pianeta, cose di cui nessuno parla. In secondo luogo voglio ribadire e promuovere l’importanza della difesa degli innocenti e dei più deboli. Ho voluto definire molto chiaramente la differenza tra “cattivi giusti” e cattivi e basta. I membri della Spektre erano i cattivi giusti, prendevano un cattivo e gli scatenavano contro tutta la loro ferocia per proteggere gli innocenti. Non meno importante, ho voluto descrivere un altro lato di questi guerrieri, quello umano. Quello dove provano emozioni come paura, fatica e anche amore verso le loro famiglie a casa.
- Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
E’ stato tutto terribilmente reale. Ho descritto passo a passo tutto ciò che mi è stato riportato. Ci ho messo quattro anni per scriverlo e mi sono immedesimato nel protagonista al punto che ho iniziato a vivere come lui. Ho quasi rischiato di giocarmi la relazione con mia moglie. Sono arrivato a non riuscire più a dormire la notte per più di due o tre ore di fila, facevo i suoi incubi, avevo le sue paure. Ero stanco, stremato verso la fine del romanzo. Ero diventato freddo, inespressivo molte volte. Per scrivere e sciogliermi sorseggiavo liquore e alcuni passaggi li ho scritti piangendo così bevevo ancora, proprio come Lui. Mi sembrava di aver vissuto la sua storia e in parte è come se l’avessi provata sulla mia pelle, un po’ credo, come un attore entra nel suo personaggio.
Il libro l’ho terminato due anni fa e mi ci è voluto più di un anno per tornare in me. E’ stata un’esperienza bellissima, che mi ha portato a costruire con mia moglie due dormitori per orfani in Tanzania.
- La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Due cose: intanto credo che se non lasciamo un’impronta su questo mondo, entro davvero pochi anni dalla nostra dipartita l’unico ricordo che rimarrà di noi sarà una vecchia foto dimenticata sul fondo di un cassetto a casa di un qualche nipote, se ne avremo. Quindi ciò che voglio custodire è innanzitutto la memoria del mio passaggio qui. E in secondo luogo, forse per lo stesso motivo, ho voluto conservare anche la memoria di questi uomini e dei sacrifici che hanno compiuto per salvare quelle centinaia di bambini.
-A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “Spektre. Fantasmi in Afghanistan” se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Per me la stesura di questo romanzo è stato come un unico episodio, un fondamentale paragrafo della mia vita dove sono stato felice, divertito, triste, arrabbiato, stremato ma avevo bisogno che questo libro nascesse. Quando arrivavo sul punto di buttare via tutto, andavo davanti allo specchio per guardarmi dritto negli occhi distrutti e mi dicevo che non potevo assolutamente arrendermi. Mi ricordavo che il sacrificio di oggi, avrebbe portato il mio romanzo in tutto il mondo domani. E lo farà.
-Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
La risposta a questa domanda m’imbarazza esattamente quanto mi rende orgoglioso del lavoro svolto. Fino a prima di terminare questo romanzo, l’unico libro che lessi risale ai tempi della quinta elementare. Che lessi anche di mala voglia perché obbligato. Nonostante ciò ho vinto un concorso che porta il mio libro tra i migliori della Vostra casa editrice, pensate cosa potrei fare ora che sto terminando di leggere il quattordicesimo di quest’anno... Posso quindi confermare che durante la creazione del mio #romanzo, l’unica fonte d’ispirazione per la mia formazione riguardante questo settore, sia stato unicamente io. Mentre ad oggi, con molti più libri e artisti scoperti, senza dubbio Ken Follet mi darà una grossa spinta verso l’alto.
-Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua #scrittura?
Più che influenzato, direi disinibito. La musica. Nelle parti più cruciali del romanzo cercavo la musica che immaginavo ci sarebbe stata nella scena fosse stato un film, per poterla descrivere nel mondo più coinvolgente possibile e per riuscire ad incidere quelle precise emozioni nel lettore.
-Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Trovo estremamente interessanti l’avventura e i testi sulla crescita personale. Questi ultimi li trovo indispensabili in quanto avere il giusto equilibrio tra corpo e mente credo sia fondamentale per chiunque ma soprattutto per chi vuole conquistare il mondo, come me.
-Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Trovo meraviglioso voltare una pagina e sentire il profumo della carta. Scelgo il cartaceo pur comprendendo la comodità del digitale.
-Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro?
E’ stato difficile miscelare #amore, un pizzico d’#erotismo, #guerra e #mistero. Ci sono stati momenti in cui mi sembrava di farlo da tutta la vita ed altri, ovviamente, un po’ più difficili. In generale è stato ottimo, ho cercato di mantenere una scrittura alla portata di tutti, anziani, giovani, donne e uomini. Credo di esserci riuscito in maniera piuttosto naturale. Diciamo che la battaglia più grande l’ho combattuta dentro di me e non sulla tastiera.
-Un motivo per cui lei comprerebbe “Spektre. Fantasmi in Afghanistan”, se non lo avesse scritto.
Senza dubbio sarei ammaliato dalla copertina. Ho voluto una copertina viva, accesa, con una mano vera, la mia, che esprima fiducia in chi la guarda proprio perché spiccasse tra gli altri. E poi lo comprerei per scoprire “l’intimità” di guerrieri fuori dal comune, guerrieri che crediamo siano macchine e non uomini. Passerei dal non saperne nulla, al conoscerne uno come se avessi vissuto quelle esperienze proprio al suo fianco.
-Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Assolutamente sì, certo! Ho appena iniziato. Ne ho già scritti altri due nella mia mente e il prossimo sarà il sequel di quest’ultimo. Nel romanzo ho appositamente tralasciato un piccolo particolare quasi invisibile che aprirà la porta al secondo capitolo e posso solo anticipare che sarà ambientato in Congo. Dopo di ché, la storia che mi è stato chiesto di raccontare al mondo sarà terminata ma ho intenzione di dare personalmente vita a nuove avventure della Spektre. Credo proprio lo meritino e se di loro ce ne fosse qualcuno ancora in vita, voglio sappiano che il loro nome, sarà diventato leggenda.
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