| Venerdì 16 settembre, presso la libreria Feltrinelli, tre poeti a confronto:
Gianluca Alberti, Matteo Zattoni e Stefano Maldini.
La città di Forlì si conferma luogo attivo per la poesia, con un vivace fermento che nel tempo ha coinvolto più generazioni. Venerdì 16 settembre si è tenuto uno speciale appuntamento poetico, presso la libreria Feltrinelli, a partire dalle ore 16:30, dal titolo «Poeti in dialogo», che ha visto protagonisti i poeti forlivesi Gianluca Alberti e Matteo Zattoni e il cesenate Stefano Maldini. Gli autori, con percorsi poetici peculiari e di interesse nazionale, si sono raccontati durante l’incontro moderato da Manuela Racci, nota professoressa di filosofia e storia, conferenziera nonché biblioterapeuta, recente vincitrice di premi letterari per il libro Raccontami di Dante e Beatrice, tra cui «Il Pegasus» e il Premio Internazionale «Spoleto Festival Art».
Un’occasione di confronto, che ha evidenziato le specificità dei tre percorsi poetici, anche attraverso le rispettive opere, soffermandosi in particolare sull’ultima pubblicazione di ciascuno. Sono emerse tre voci nitide, sì distinte, ma al tempo stesso unite dalla ricchezza espressiva di un linguaggio poetico maturo, in grado di coinvolgere il lettore senza ricadere nel malinconico “solipsismo”, che purtroppo caratterizza tante opere contemporanee.
Alberti, classe 1980, si è presentato attraverso la raccolta poetica In limine, espressione latina che significa «sulla soglia» e ben descrive l’intento del libro edito da Aletti: un vero e proprio spartiacque rispetto alle pubblicazioni precedenti dell’autore.
«In limine – dice Alberti – sta per “all’entrata”, “sulla soglia” di ciò che ancora mi aspetta, come se tutto il mio passato fosse una preparazione al mio futuro. Ho iniziato a pensare a questa pubblicazione al compimento dei miei 40 anni, proprio perché sento che questi anni rappresentano la vera svolta tra ciò che ho vissuto finora e ciò che la vita mi riserverà d’ora in poi». Il libro è dunque un modo per lasciarsi alle spalle il passato e guardare avanti. Un cambiamento avvenuto, da novizio a professionista della parola, che si riflette anche nel linguaggio rinnovato. Come ravvisa il critico letterario Davide Argnani, ci troviamo di fronte alla «Poesia nuda e cruda, per il segno netto del linguaggio e per il sintagma, la sostanza del dire, inciso con stilo e coltello. Versi di alto e puro spessore stilistico».
«In questa nuova raccolta di poesie, forse finalmente degne di tale nome - si legge nel retro di copertina - a fianco alle nuove composizioni, l'autore riprende in mano molte di quelle già pubblicate e le rimaneggia alla luce degli insegnamenti di un buon maestro: il poeta editore Giuseppe Aletti, che le pubblica».
Nuova tappa nel percorso letterario di Matteo Zattoni è il libro I figli che non tornano, edito da Pequod nel 2021 e sua quarta pubblicazione di poesia, che esce a distanza di dodici anni dal precedente libro del 2009. È un’opera ambiziosa che, per struttura e tematiche, assume anche una importante valenza storico-sociologica. Uno spessore evidenziato anche dal critico Maurizio Cucchi che usa parole di elogio nella postfazione del libro: «Zattoni è venuto sempre più definendo la sua personalità, oggi matura, di poeta sensibilmente attento al reale – scrive Cucchi –, ma soprattutto aperto a coglierne il senso più autentico e complesso, nei più sottili strati sottostanti, come è del resto compito della poesia».
Concepita come un romanzo in versi, l’opera si articola in tre parti: in ciascuna di esse vengono presentati uno stadio della vita e la specifica generazione di riferimento. Dal capitolo «Lo slancio dell’inizio», che affronta l’età turbolenta dell’adolescenza e si associa alla generazione dei figli nati tra gli anni ’70 e ’80, si passa al capitolo successivo «I figli che non tornano», che dà il titolo al libro ed è incentrato sulla vecchiaia, sulla scomparsa dei nonni. Qui è la generazione nata agli inizi del Novecento ad emergere, quella che ha conosciuto da vicino gli orrori di due guerre mondiali, rievocati nei versi. Una sezione specifica è rivolta anche al mutato rapporto tra padri e figli, dove i primi sono sempre più fragili e spauriti a misura che i secondi diventano più adulti e indipendenti.
La terza parte, «Ultimi giorni», è dedicata infine all’età di mezzo degli zii materni e di un’amica di famiglia; una generazione nata tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso che va scomparendo.
Deserto bianco è il libro di Stefano Maldini, per Raffaelli Editore, che ha fatto da apripista alla discussione sulla poetica dell’autore, mutata nelle nuove poesie, dove si avverte spesso il senso di vuoto. «Un libro duro, faticoso, vero, impavido. Anche scomodo per chi sogna la vita, il mondo e l’amore solo a colori – scrive il critico Gianfranco Lauretano. Ma sembra che Maldini abbia la parola giusta per attraversare anche questa curva oscura del tempo. La sua ispirazione ha trovato ancora uno stile calibrato, essenziale, quasi calcolato, coerente col resto del percorso e acuito ulteriormente». E conclude con una suggestiva, encomiastica descrizione: «Le sue parole sono briciole cadute dal tavolo e ricomposte in pane, il volo delle ultime foglie scosse dall’albero il cui stormire continua a far sovvenire l’eterno».
L’appuntamento è stato anche una sfida sul ruolo della poesia nella società contemporanea; arte duratura e stimolo all’approfondimento, capace di rappresentare il reale e la sua complessità, la poesia fa da contraltare a un mondo effimero e consumistico, che fagocita oggi ciò che non avrà più importanza domani.
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