| Pubblicata da #AlettiEditore nella collana Gli Emersi, Fiori di luce è la prima raccolta poetica di Giuseppina Dibitonto, docente di lettere presso il Liceo Scientifico Statale Ignazio Vian di Bracciano e viterbese d’origini. Fresca di una recente segnalazione di merito al Premio Internazionale Mario Luzi, Giuseppina Dibitonto propone in quest’opera intima e personale un ritratto dell’anima sua, frammentata e scomposta non solo nelle varie liriche che la compongono, ma in particolare nei sette macrotemi in cui queste sono raccolte. Ogni sezione è introdotta da una citazione letteraria che serve da introduzione e da momento di riflessione per il lettore, che si prende una piccola pausa e torna a riflettere sui grandi temi che caratterizzano la poetica della autrice, dove la poesia diventa esperienza di vita e prodotto di essa.
Quello che colpisce di questi componimenti non è tanto la forma o gli stilemi, che si mantengono generalmente sobri e ben comprensibili, anche se con qualche piacevole guizzo di forma, ma il notevole lavoro concettuale, volto a mettere su carta sentimenti, emozioni, idee, ricordi, che tutti noi, almeno una volta, abbiamo provato, proponendo un autentico percorso di vita tra amore, morte e stati emozionali. Giuseppina Dibitonto si ritrova a scrivere una poesia di stampo prettamente esistenzialista, ponendo come protagonista il suo bagaglio interiore passato e presente, proiettandosi volendo anche nel futuro.
La genesi poetica inizia con una crisi: l’autrice si trova di fronte ad un incontro inatteso, di cui il lettore non sa nulla, un incontro che presuppone forse il ritrovo di una persona inaspettata o il ritorno nella mente della autrice di certi pensieri ed idee, come desideri o estremi rimpianti. Le liriche sono tutte estremamente personali, non si abbandona mai la prima persona singolare. Fiori di luce sembra il diario poetico di un incontro inaspettato, di cui impariamo sempre di più a mano a mano che la lettura prosegue, essendo portati alla luce vari momenti della vita della poetessa. Prima la mente vive intense emozioni e sensazioni, anche contrastanti, causate da questo incontro inaspettato, sopraggiungono poi i ricordi e i pensieri, i desideri, le illusioni, i rimorsi che gettano la autrice nella sofferenza e nel dolore: si passa dunque dalla percezione sensibile alla riflessione tragica della mente. Finalmente sappiamo qualcosa: il dramma della autrice è un dramma sostanzialmente amoroso, quello di un amore proibito, fatto di baci rubati, di abbracci non dati, di amplessi ostacolati. È difficile accettare che ci sia stato una sorta di ritorno alle origini, perché ormai quel capitolo era ritenuto chiuso, ma no: il vaso di pandora della poetessa è pronto per essere riaperto e , come questo accade, ne escono fuori tutti i ricordi più profondi, un insieme di fasci di luce che devono essere catturati dalla mente e tradotti in parole, in fiumi di parole da imprimere su carta. La prima fase dell’opera di Giuseppina Dibitonto riguarda prevalentemente lo sconvolgimento dei sentimenti in una prospettiva irrazionale, che andrà a placarsi solo in seguito, in momenti di lucidità che porteranno la poetessa alla salvezza e alla elevazione.
Il percorso di salvezza poetica architettato da Giuseppina Dibitonto non si compone però solo di ricordi e di amori, di morte e di rinascita, perché tutti questi piccoli eventi singoli non sono altro che fasci di luce, non sono altro che i raggi del sole che attraversano il fitto fogliame di un bosco, illuminando e rendendo ben visibile i piccolissimi ed impercettibili grammi di polvere. Unitamente a questo ci sono i due elementi maggiormente caratterizzanti delle liriche e abbastanza comuni a tutte: la natura e la luce, l’irraggiamento. Ad introdurre quasi ogni lirica c’è infatti l’elemento naturale, quasi sempre confinato ai primi versi o alle prime strofe, senza che esso sia eccessivamente invadente, perché serve da ideale introduzione, mostrando l’alterazione di uno stato naturale primigenio in un mondo devastato, disadorno, che l’autrice non riconosce più come suo, in cui non sa più come muoversi e come destreggiarsi. Dunque parte tutto dalla natura e dalla sua malinconica contemplazione, dalla sua osservazione sconsolata. Ella è lì, sempre, a consolare l’animo dell’uomo anche nei momenti peggiori, e l’autrice può tuffarsi sempre nella natura, una grande madre ideale, calda ed accogliente, non giudicante, ma solo amante dei propri figli. Nei confronti dell’immensità della natura si sente piccola e minuta, si sente piena di amore e di sentimenti, da essa si lascia attraversare e si lascia guardare, come se la immensità del tutto dovesse avvolgerla. In questa prospettiva si incastona la poetica della salvezza della autrice, che, tesa alla semplicità della natura, pare voler tornare ad uno stato di tranquillità primordiale, più che abbandonarsi al turbinio folle ed irrazionale dei sentimenti e delle emozioni.
Altro elemento fortemente caratterizzante della poetica di Giuseppina Dibitonto è la presenza della luce, di raggi di luce: nelle liriche infatti è costantemente presente una terminologia legata a tale ambito semantico. La luce non a caso ha un forte valore simbolico: la stessa raccolta si chiama Fiori di luce, compaiono qua e là nella raccolta anche delle fotografie. L’autrice , dunque, oltre alla natura, deve prediligere anche questa forma d’arte, la quale riesce a catturare la luce che si rifrange sulle cose e che così le fa apparire nei nostri ricordi, il che è evidentissimo anche nel titolo, che si compone delle due tematiche chiave dell’opera , la natura e la fotografia, che, catturando i fasci di luce, genera il ricordo. La raccolta poetica ed ogni componimento in sé mirano a catturare un aspetto della natura, anche quella umana, e a farne una fotografia, farne un’istantanea di emozioni e sensazioni, che vogliono uscire e essere comprese dal lettore, sensazioni ed emozioni che vogliono esplodere e che per l’autrice sono delle piccole micce che popolano la sua vita quotidiana. L’autrice ragiona dunque per foto, per immagini, che solo in un secondo momento diventano concetto e formula del pensiero. È una vita passata nel ricordo, nella rievocazione di qualcosa che è successo o nella speranza che qualcosa che verrà. Il vivere per immagini, vivere nei ricordi, non il vivere necessariamente nel presente: un approccio malinconico alla vita di tutti i giorni, ma estremamente vivido, perché tutti ragioniamo per immagini e non per concetti preconfezionati, e qui l’autrice se ne accorge, ne fa oggetto della sua meditazione e del suo pensiero, interiorizza e poi traspone su carta, come nel voler seminare in un campo i semi e i frammenti della sua memoria, le sue fotografie: perché la vita è un raccolto, avrebbe detto Agnès Varda.
Questo intimo affetto per la luce si riflette non solo nel titolo, ma anche nella dedica iniziale, fatta ai propri figli. Simbolica la differenza anche con il titolo, che allude probabilmente a dei ricordi, o comunque a qualcosa che viene captato e rielaborato: nella dedica infatti la luce captata dai figli deve essere illuminante, essi devono essere dei fari. Si esprime qui l’affetto e l’attaccamento dell’autrice per i propri ragazzi, coloro che devono farle strada ed essere la sua guida, in un mondo che si inizia a non capire più e che viene anzi trovato spoglio e disadorno, privo di contenuti e di valori, forse privo anche di un certo formalismo che possa mascherare la sua sostanziale ed essenziale vuotezza. Così è definito il mondo nella brevissima premessa. Ma allora all’uomo cosa rimane? All’uomo rimangono quei raggi di luce, quelle immagini, quelle istantanee della vita propria e di quella degli altri, della natura e delle emozioni, tutte luci che deve essere capace di catturare nella mente e trasformare in fotografie, se vuole sopravvivere. Ma il più delle volte è difficile destreggiarsi tra tutte queste fotografie, perché la mente si trova nella confusione irrazionale dei sentimenti: a questo servirebbero i figli, altre luci che gettano luce sul sentiero da percorrere. Che l’autrice, arrivata ad una certa età, abbia bisogno di fare dei bilanci?
Attraverso il suo #poetare e la ricerca di emozioni e di luci, la poetessa prova a cogliere quel che le rimane in questo mondo per iniziare a ricordare: la sua mente e i suoi ricordi sono inizialmente bipartiti: un sorriso e una lacrima. Questo è quello che rimane di una realtà non compresa nella sua totalità, non più amata: essi sono i ricordi della autrice, che devono essere trasformati nei fiori di luce. Ecco la dichiarazione programmatica e poetica: il compito della poetessa è capire ed interpretare la realtà davanti ai suoi occhi, ovvero riempire quei ricordi di significato, renderli completi, rendendo quei fasci di luce delle immagini vivide e vive dei suoi ricordi, trasformandole in una dolce melodia che possa aiutare a staccare dal reale, per portarla a guardare la sua vita dall’alto, facendone un bilancio.
#StefanoMarta
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