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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Intervista ad ANNAMARIA DISANTO, che presenta ai lettori il romanzo “ACCADE PIN UN’ORA CHE IN CENT’ANNI” ( Aletti Editore )

di Rassegna Stampa

✔️Intervista ad ANNAMARIA DISANTO, che presenta ai lettori il romanzo “ACCADE PIÙ IN UN’ORA CHE IN CENT’ANNI” (Aletti Editore)

Il romanzo ha vinto il premio di merito ""Fonte di Ippocrene" per il premio letterario "Le nove Muse"

Domanda- Partiamo proprio dal titolo, come mai “Accade più in un’ora che in cent’anni”? Quali sono gli argomenti ricorrenti , o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Risposta - Il casuale incontro tra il dottor Eugenio, medico ultranovantenne, e la giornalista Chiara, ex compagna di scuola della figlia di Eugenio, si trasforma per entrambi in una imperdibile occasione per fare chiarezza sulle rispettive storie di vita.
I ricordi degli anni di guerra, attraversati da Eugenio con benevola e dolorosa ironia, rappresentano per Chiara la partenza per un inatteso viaggio interiore.
Credo che, nelle cose più belle che ci accadono nella vita, “il caso”, se afferrato al volo, può più della ragione e si trasforma in una imperdibile opportunità.
E così, nella casualità di un incontro, possiamo scoprire l’energia, la gioia di fare e di sentirci vivi. All’improvviso emerge con stupore il desiderio di conoscere e di amare.
È vero pure, e mettiamolo in conto, che attraverso “il caso” possiamo scoprire anche l’incapacità di muoverci e di scrollarci di dosso il peso della cappa di pensieri così ingombranti da paralizzare i nostri passi. Ad ogni modo è l’inizio di un avventuroso percorso.
L’incontro inevitabile con uncinanti sofferenze che, grazie ai ricordi, ci ritroviamo ad attraversare , per farci trasportare verso uno sconosciuto “oltre”, può introdurci ad un possibile rinnovamento.
Nell’accettare l’impossibilità di renderci immuni dall’imprevedibile, abbiamo l’occasione di fare della fragilità il nostro punto di forza e scoprire il piacere di strapazzarci un po’.
L’irruzione potente del “caso”, ci piaccia o no, può contraddire la scelta di tante nostre consolidate opinioni, scombussolare certezze e convinzioni, costringendoci a rivederle.
I protagonisti siamo sempre noi, ma con un rinnovato atteggiamento interiore se, con salutare umiltà, ci affidiamo ad una nuova regia. Non siamo soli, ed anche se la nostra non sarà una storia a lieto fine, comunque sia, avrà avuto un senso.

Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Risposta - La realtà storica ha inciso moltissimo nella scrittura.
Per la città di #Bari, ci fu una cesura profonda con il bombardamento del 2 dicembre del ’43. Niente fu più come prima, dopo quella sciagurata notte e dei giorni che ne seguirono.
La situazione era complessa. Il porto di Bari era sovraffollato. Oltre quaranta navi si accalcavano traboccanti di gente e carichi di vario genere. L’improvviso devastante attacco effettuato dalla aviazione tedesca affondò diciassette navi alleate cariche di munizioni , armi, carburanti e viveri per rifornire le truppe britanniche.
Tra personale militare e navale si contarono più di mille vittime. Nella popolazione barese, oltre duecento furono gli scomparsi.
Purtroppo, la tragedia era solo all’inizio, anche per molti dei naufraghi tratti in salvo dalle acque del porto. Una delle navi esplose, infatti, la americana John Harvey, nella stiva trasportava un migliaio di bombe cariche di iprite, un gas letale che dava lesioni vescicolari molto estese.
Impiegato durante la prima guerra mondiale, causando sterminate carneficine, lo sterminio era stato tale da arrivare alla decisione unanime di vietarne l’uso nella seconda guerra mondiale.
Ecco perché i tedeschi non dovevano saperne nulla. Altrimenti, a loro volta, si sarebbero sentiti autorizzati ad usarlo contro gli alleati. La cosa doveva rimanere assolutamente segreta.
“Most secret”. Massima segretezza, si legge nei documenti finalmente desecretati, trascorsi i trent’anni.
A seguito della esplosione della Harvey, il gas liquido si era riversato in mare, mescolandosi al petrolio fuoriuscito da un oleodotto colpito da una delle bombe. Il risultato fu una miscela micidiale che aveva formato una pellicola galleggiante sull’acqua.
I corpi dei marinai ne furono impregnati inesorabilmente, presi com’erano a cercare di salvarsi dall’annegamento. I medici non riuscivano a darsi delle spiegazioni plausibili. Per via della segretezza, erano costretti a muoversi alla cieca, incappando in una sciagurata serie di errori, omissioni e negligenze varie.
Tanti pazienti, senza ferite evidenti, almeno in apparenza, soffrivano terribilmente di nausee, vomito, lacrimazione agli occhi, eccessivo calore fisico nel corpo e negli arti, sino a morire disperati tra atroci dolori. Perché?

Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Risposta - Rispondo con le efficaci parole di #Pasolini,ventunenne, in una lettera all’amico Franco Farolfi (1943). “La #guerra non mi è mai sembrata tanto schifosamente orribile come ora: ma non si è mai pensato cos’è una vita umana?”.
Ancora oggi la domanda resta sempre viva, aperta come una ferita. Nessuna considerazione della vita umana.
Quando, inattesi avvenimenti, come quello del #2dicembre43, ci portano a vedere la morte da vicino, niente sarà più come prima, e proprio a partire da essi sarà possibile un nuovo inizio.
Nell’affidarsi ai ricordi del dottor Eugenio, in Chiara si è andato a ricreare uno spazio nuovo, speciale, dove tutto poteva accadere.
È stata la forza del racconto onesto e disincantato di un uomo anziano. Per lei un sogno “magico” impregnato di vita vissuta.
Chiara viene a scoprire che le nostre fantasie, comunque radicate nella realtà, talvolta non arrivano nemmeno ad immaginare le follie di cui la realtà è impastata.
Ciò che rende verosimile questa storia è la compassionevole memoria di Eugenio, la sua capacità di osservare il passato con sguardo critico ma comprensivo, leggendolo attraverso la indomabile ribellione di un ragazzo.
La spietata crudezza dei resoconti costringeranno Chiara a riorganizzare ed approfondire il suo usuale modo di vivere.

Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “Accade più in un’ora che in cent’anni”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Risposta - Nel corso delle chiacchierate con Eugenio, che sempre più le infondono calma e coraggio, Chiara all’improvviso ricorda e riesce a dare un significato al termine #UBUNTU, scoperto durante un viaggio in Sud Africa. Ne parla Nelson Mandela.
Nella tradizione e cultura africana, presso le tribù xhosa –zulu, la lode più grande che si può fare ad una persona è riconoscerle una qualità meravigliosa: l’UBUNTU.
L’UBUNTU ha a che fare con il modo in cui consideriamo gli altri e vediamo noi stessi.
UBUNTU è un desiderio di #pace, un’esortazione a sostenerci e ad aiutarci reciprocamente. È inevitabile sentirsi feriti quando gli altri sono a loro volta feriti ed umiliati.
Le persone che possiedono l’UBUNTU sono affabili e disponibili. Il loro atteggiamento è amichevole e bendisposto perché hanno la consapevolezza di appartenere ad un insieme più grande di loro. UBUNTU è l’umanità che sposta le montagne. UBUNTU mi sembra la chiave di lettura più profonda del libro.
Un ulteriore aspetto riguarda nonna Titta.
Quella tragica notte del 2 dicembre del ’43, dopo il primo boato nonna Titta continuava ad aggirarsi per casa senza affanni, guardandosi attorno con stupita curiosità. Appariva più che mai svanita, e questa era la sua protezione.
Vetri rotti e calcinacci rimbalzati per terra non sembravano scuoterla più di tanto.
Servendosi di un chiodo corse ad appendere un paio di forbici alla porta di casa, assicurandosi che rimanessero ben aperte. Era per impedire l’ingresso delle forze malefiche. Per lo stesso motivo segnò la fronte del nipote Eugenio con una croce, dalle valenze magiche più che cristiane.
Le forbici, appese ad un chiodo, restano aperte per tagliare la lingua di streghe e stregoni, affinché non possano formulare i loro incantesimi, cioè malocchio, maldicenze e malelingue. Sono tradizionalmente un portafortuna, anche perché le forbici aperte sono associate alla croce di Gesù, e dunque segno di protezione divina.
È anche vero che le forbici sono taglienti. Vale a dire separano, spezzano, dando vita ad un ordine nuovo di cose.
Nel mito greco le forbici tagliano il filo della vita degli uomini, separano la vita dalla morte, un istante da un altro.
Eugenio le regalerà a Chiara. Ci si può sentire protetti da un paio di forbici? Ebbene sì. Non è un paradosso. La loro presenza, per Chiara, sarà legata ad accogliere Titta, e con lei la luce, il vento, il profumo di cose buone . Potenza del magico…!

Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Risposta - È difficile fare una cernita tra gli autori che prediligo, essendo da sempre una lettrice disordinatamente onnivora.
Fonte di ispirazione primaria è comunque la curiosità nei confronti dell’animo umano, nelle sue molteplici sfaccettature.
Darei la precedenza alla letteratura sudamericana (G. Garcìa Màrquez, I. Allende, P. Neruda...) e alla letteratura russa (F. Dostoevskij, L. Tolstoi, V. Nabokov...)
Tra gli autori francesi, un ruolo privilegiato l’hanno avuto Simenon, per la acutezza con cui descrive la psicologia dei personaggi, e Simone De Beauvoir per avermi fatto scoprire, con la sua libertà di pensiero, nuovi orizzonti.
Ed infine, tra i tanti autori italiani che trasversalmente mi hanno segnato,mi limito a sottolineare la funzione formativa degli autori siciliani, Pirandello in primis, insieme a G. Tomasi di Lampedusa, L. Sciascia, A. Camilleri, D.Maraini. Mi hanno aiutato ad entrare nelle pieghe più profonde della cultura del sud e di me stessa, svolgendo un ruolo che oggi non esito a definire potenzialmente trasformativo.

Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti , che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Risposta - L’influenza di tanti cantautori italiani, dagli anni ’70 ad oggi, credo sia stata fondamentale. Molti testi sono, a mio avviso, vera e propria poesia senza tempo.

Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Risposta - Sono particolarmente attratta dal genere noir e dalle autobiografie, specie femminili, memoir e reportages di viaggi .

Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Risposta - Il libro cartaceo, senza alcun dubbio.

Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro?
Risposta - È stato un rapporto di crescente curiosità nei confronti dei personaggi, in particolare del dottor Eugenio e di nonna Titta. Mentre prendevano forma, mi sono ritrovata a dialogare con entrambi, come se fossero due persone di famiglia.
È stata una sensazione molto intensa. Alla fine, congedarmi da loro, non è stato facile.

Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Accade più in un’ora che in cent’anni”, se non lo avesse scritto.
Risposta - Perché è un inno alla vita. Nonostante la cruda immersione nella tragicità degli avvenimenti di guerra riportati, i protagonisti non rinunciano mai alla speranza.
La solidarietà, come pietra angolare nella nostra vita, è il filo rosso del romanzo.

Domanda - Ha in progetto di scrivere altre opere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene un’anticipazione?
Risposta - C’è un progetto in corso d’opera, in una fase ancora iniziale. Credo, però, sia prematuro parlarne, anche per scaramanzia….

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