| Intervista a Giuseppe Castrillo, che presenta ai lettori il libro “Recisioni e suture” (Aletti Editore)
Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Recisioni e suture”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Giuseppe Castrillo - Sono uno che non riesce mai a tagliare decisamente con le cose e con le persone e se le taglio, se le recido, poi ho come un pentimento e cerco di suturare la ferita, riannodare i fili dello strappo, dello squarcio.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Giuseppe Castrillo - Direi abbastanza ma non in modo totalizzante. A volte una parola, una situazione, un’immagine reali sono state lo spunto per una riflessione poetica, o per una descrizione in versi che agglutina paesaggio/natura/luoghi a piccoli frammenti di sentimento, di affetti. In altri casi la realtà è debordante, prende la mano, diventa cronaca dei gesti quotidiani, di eventi irreversibili.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Giuseppe Castrillo - Le persone a cui voglio bene e che faccio soffrire e che mi danno, comunque, tanta gioia. Le occasioni di incontro che mi hanno accompagnato, ma soprattutto voglio salvare dall’oblio le mie sconfitte non perché mi possono insegnare ancora qualcosa, ma perché sono le specchio della mia vita. Io sono loro e loro sono me.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “Recisioni e suture”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Giuseppe Castrillo - Se si riferisce ad episodi che mi hanno accompagnato nella redazione del volumetto direi che le segnalazioni per le Antologie della Aletti sono state una spinta notevole per intraprendere quest’esperienza formativa. Se invece gli episodi riguardano la gestazione dei testi, il loro ritrovamento tra carte abbandonate è stato come l’incontro con una persona che non si fa mai vecchia e pure se si fa vecchia continua ad essere bella per la sua saggezza e per i segreti che si porta dentro.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Giuseppe Castrillo - Non faccio una distinzione tra poeti e narratori, ma mi soffermo prima sui poeti. Per l’età che ho non posso fare a meno di dire Montale Quasimodo, più ancora di Ungaretti. Ma continuano ad attrarmi, forse ancora di più, Umberto Saba, Diego Valeri, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Pier Paolo Pasolini. Tra gli stranieri Rilke, Eliot, Ferlinghetti, Dickinson, Edgar Lee Masters, Dylan Thomas, Bob Dylan. Ma soprattutto Dante e non perché siamo nell’anno dantesco, ma perché è un poeta ruvido e dolce insieme, fangoso e filosofico, umile ed alto. Tra i narratori, oltre Boccaccio e Manzoni, credo che mi abbiano molto influenzato, Camus, Tomasi di Lampedusa, Pavese, Kerouac, Fenoglio, Elsa Morante che ho amato a dismisura. Credo che Menzogna e sortilegio, e La Storia siano libri che ti rimangono in testa. Poi scrivo sempre pencolando tra una scrittura barocca e una alla Annie Ernaux cui invidio l’essenzialità e limpidezza.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Giuseppe Castrillo - Credo di dovere molto a Mogol e ai cantautori, soprattutto a Paolo Conte. Di alcuni di loro, qui e là, ho inserito brevi citazioni; da altri ho cercato di prendere la chiave di colloquio col mondo e con la gente e di tradurla in espressioni semplici. Se c’è un’arte che mi ha influenzato questa è la pittura; una corrente artistica, questa è quella dei Macchiaioli, ma amo molto Gioacchino Toma, Carrà, De Chirico e Fontana, e non resisto davanti ai quadri di John Singer Sargent ed Edward Hopper. Nella musica il mio idolo su tutti resta Debussy, ma devo dire che il Jazz e le canzonette, anche quelle stupidamente ritenute banali, mi toccano sempre.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Giuseppe Castrillo - Il racconto. L’icasticità di un racconto ben scritto, che sa diventare una stilettata, una schioppettata, sono il mio ideale di scrittura. Infatti sto scrivendo due romanzi e cerco di impiegare per i capitoli, che si succedono la velocità del racconto e la sorpresa che ogni racconto deve avere. Penso al romanzo breve o racconto lungo “Una questione privata” di Fenoglio.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Giuseppe Castrillo - Che domande! CARTACEO. Come uno preferisce una donna reale e non virtuale, o un uomo reale e non virtuale così è per i libri. Uno se li porta appresso, a spasso, e ogni tanto li contempla dopo averli letti e averli riposti nella sua libreria, sul suo comodino. Anche senza rileggerli.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Giuseppe Castrillo - Ho ripreso in mano poesie che avevo scritto quaranta anni fa e a volte mi sono scoperto troppo gonfio, senza calibratura, soffocato da ciò che provavo. Ho un po' sofferto perché ho dovuto fare molti tagli a molte ciocche di capelli, che un tempo mi sembravano lucenti. Mi sono sentito come un padre che ripone i suoi sogni nel suo bambino e poi deve fare i conti con la riuscita di quei sogni, e deve cercare di uscirne con le ossa meno rotte possibile. La scrittura nel corso degli anni è come un vestito che invecchia e gli aggiustamenti, anche se dolorosi, sono necessari. Ma ciò non vale per i poeti veri. Nessuno mette le mani su Leopardi perché lo trova vecchio. Per uno come me, un piccolo poeta, il dover mettere le mani su ciò che ha scritto significa fare un bagno di umiltà, avere il senso del proprio limite, concepire il dovere di darsi una misura, insomma provare quella distanza da sé di cui parla Paolo Virno, nell’esergo che ho riportato nel mio volumetto di poesie.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Recisioni e suture”, se non lo avesse scritto.
Giuseppe Castrillo - Se avessi letto l’introduzione, anche solo uno stralcio, lo comprerei senza perdere tempo. Io amo il Barocco e il melodramma e amo Napoli. Se non avessi letto l’introduzione lo comprerei per il titolo e sottotitolo. Molto per il sottotitolo. Lo comprerei per capire se il trito sentire dell’autore è anche il mio trito sentire. Lo comprerei ancora perché la stampa del testo mi sembra rapida, facilmente leggibile. Lo comprerei, infine, perché la IV di copertina, anche grazie al breve pensiero di Alberta Marsilio, cattura e richiama alla scoperta di questa vita che sembra un non finito ed anela ancora.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Giuseppe Castrillo - Come le dicevo ho in cantiere diverse cose. Una più accademica che mi viene dai miei trascorsi: un saggio sulla letteratura teatrale del tardo Cinquecento. Poi sto portando avanti due romanzi: uno su di una famiglia di pastori e un altro su un incidente automobilistico, un omicidio stradale, mai scoperto che cambia la vita di chi lo ha commesso. Infine un nuovo quaderno di poesie in italiano e un volumetto di poesie in dialetto pietravairanese. La carne a cuocere è molta ma è stata comprata in circa cinquant’anni di vita. Ora si tratta di cuocerla.
👉 Recisioni e suture. Taccuino del trito sentire
di Giuseppe Castrillo
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