| Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “La donna del treno”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Manuela Potiti - Nel tempo mi è capitato di scrivere diversi racconti brevi con questo titolo. Mi viene in mente il dipinto di una collega che ebbi l’occasione di vedere qualche anno fa e che ritrae appunto una donna in viaggio su di un treno. Quel dipinto mi dette forse lo spunto all’epoca – si tratta di almeno 5 anni fa, adesso siamo nel 2020 – per intraprendere un viaggio in treno appunto, che allora non sapevo di preciso dove mi avrebbe portato. In Germania, in cerca di un vecchio amore, che ovviamente non ritrovai. Ero destinata ad altro ed ero anche molto arrabbiata: riscoprire l’amore per la vita e la scrittura. In particolare la poesia.
Argomenti ricorrenti o fondamentali? Il bisogno di elevarsi espresso tramite il verbo rastremarsi, che ritorna più volte. Il desiderio di essere veramente credente e fiduciosa, rastremata come il campanile di una chiesa. E gli ospedali, sì gli ospedali, che, in un’epoca fortemente nichilista come la nostra, sembrano essere diventati le chiese del nuovo millennio.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Manuela Potiti - Ha inciso, certamente e soprattutto una forma di rancore verso un passato molto doloroso, che spero di avere superato. Ma il libro “La donna del treno” è soprattutto un libro onirico, distopico e scritto sotto l’influsso del mio daimon, ossia la necessità impellente di trasferire su carta il mio pensiero. Infatti è un libro scritto di getto e senza correzioni. Una sorta di flusso ininterrotto del pensiero.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Manuela Potiti - Non vorrei che venisse conservato il rancore. Ma una sorta di curiosità di fede e la spinta verso l’alto che la protagonista cerca di darsi attraverso la parola scritta.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “La donna del treno”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Manuela Potiti - È strano, di tutto il libro, l’unico episodio che mi viene in mente per il piacere che mi suscita e che vorrei conservare è quello in cui parlo di un modo di fare l’amore con il pensiero. Chi leggerà il testo lo ritroverà facilmente. Ecco, quella occasione che è descritta nel libro ha del quasi miracoloso. Per il resto conserverei tutto: ogni riga è legata indissolubilmente a quella seguente senza soluzione di continuità.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Manuela Potiti - Ci sono tanti autori che reputo fondamentali. Tanti ne ho letti, soprattutto poeti. Tante cose ho tralasciato o dimenticato. Ma alcuni sono impressi nella mia vita, come Merini, Bukowski, Battiato. Sono veramente affascinata dalla follia umana quando bella, quando non dolorosa. Ho letto molto di Bukowski, ma ciò che più di tutto mi fa pensare che sia un buon maestro è il suo sorriso a cuore aperto. Amo il misticismo di Alda Merini e i testi di Franco Battiato.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Manuela Potiti - Amo la biodanza. La pratico quando posso, essa scioglie le emozioni, apre il cuore. Una volta ebbi l’opportunità di partecipare ad un Festival Internazionale con i migliori maestri di questa disciplina venuti da tutto il mondo. Fu un’esperienza unica, commovente ed indimenticabile. Della pittura mi piace la sperimentazione, il libero pensiero trasfuso su tela. In questo eccelle a mio avviso il pittore lucchese Fabrizio Barsotti che molto generosamente ha donato i suoi acquerelli per “La donna del treno”.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Manuela Potiti -Riesco difficilmente a concentrarmi su romanzi lunghi purtroppo. Ma in ogni modo mi reputo fortunata poiché il genere che prediligo non è la prosa ma la poesia.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Manuela Potiti - Amo sicuramente il libro di carta, meno il genere digitale. Amo sfogliare la carta e sentirne il profumo, circondarmi di tutti i miei libri.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Manuela Potiti - Ho scritto questo libro in due tranches su un quaderno a penna ed in tutta velocità, avevo bisogno di esprimermi, di raccontare quelle cose. Poi lo ho ricopiato su pc senza modifiche.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “La donna del treno”, se non lo avesse scritto.
Manuela Potiti - Per curiosità. Perché è un libro folle e fortemente anomalo. Che contiene comunque un messaggio, sta al lettore scoprirlo!
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Manuela Potiti - Sto scrivendo una storia organizzata in flashback. Penso di intitolarla “La guerra di Anna”. Racconta la guerra che una donna ha intrapreso per affrancarsi dalla mancanza di libertà che è prima di tutto nel suo modo di pensare.
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