| Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Dimensioni aurorali” Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Nicola Feruglio - Anzitutto l’idea che l’interiorità d’un uomo non possa essere contenuta nella sua esistenza, per cui la mente non può far altro che traboccare dal corpo, esattamente come la coscienza non può far altro che traboccare dalla sua dimensione corporale. Per dirla con i versi di Allen Ginsberg: “l’interno del cranio vasto come l’esterno”, “la mente è spazio esterno”. Da qui nasce quell’ossessione per “l’inizio delle cose”, per la loro “auroralità” e le loro molteplici dimensioni. Credo sia questa la pulsione che mi spinge a evocare con il verso quella “mistica immediatezza” che precede la separazione tra conoscente e conosciuto, tra il soggetto e il mondo. “Brama di contatto” la definiva il filosofo Plotino. Pulsione verso “l’intero” che si disvela solo per infinite sovrapposizioni, analogie e iper-connessioni, molto al di là della barriera egoica e storicista. Quell’intero che rende ogni forma di vita un fenomeno non-locale, evocabile solo poetando.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Nicola Feruglio - Il rapporto tra realtà e scrittura è una “vexata quaestio”. Credo che lo scrivere (come forma di linguaggio) non possa essere inteso come uno strumento per esprimere la realtà, ma debba essere inteso come parte intrinseca della realtà. La realtà è plasmata dai linguaggi che adottiamo per raccontarla. Per questo allineandomi con il Wittgenstein del Tractatus, ritengo che il linguaggio sia la calcomania del mondo. Provo quindi una certa soddisfazione nel sostenere che linguaggio e realtà sono interdipendenti e quindi difficilmente distinguibili! Non importa se si scrive di terre visitate solo con l’immaginazione o di vicende quotidiane dall’apparente ordinarietà, perché si scrive sempre e comunque della propria realtà: poetica miscela di osservato/osservatore.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Nicola Feruglio - Molto! Nel saggio intitolato “Cosmoempatia” pubblicato tre anni fa, ho sostenuto che per intrattenere un’autentica relazione con sé stessi (auto-on), sia necessario esercitarsi in quello che nel saggio definisco “esercizio di reminiscenza empatica”. Mi riferisco a una coraggiosa rivisitazione dei propri vissuti attraverso la descrizione di tutti quegli incroci tra “segni diurni” e “sogni notturni” che inaspettatamente tradiscono sconcertanti ricorrenze e corrispondenze, per le quali la nostra vita attraversa una trasfigurazione simbolica che non disvela ciò che è, ma ciò verso cui si protende. Attraverso la raccolta Dimensioni aurorali ho potuto e rivisitare ricordi pre-esistenziali e dolori personali quanto altrui, la cui sublimazione mi ha concesso di partorire forme e idee che hanno ampliato il mio orizzonte spirituale. La biografia di un uomo è un indicatore di senso verso un non-luogo che per tutta la vita ci richiama a sé.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “Dimensioni aurorali” se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Nicola Feruglio - Uno di essi è certamente quando feci leggere a mia madre la poesia “I gemelli della mia preesistenza”, chiedendole se era d’accordo che la pubblicassi nella raccolta Dimensioni aurorali. Glielo chiesi perché la poesia narra di un “mare di dolore” che lei nel 1970 ha attraversato e sublimato. Vicenda sulla quale fin da piccolo ho poetato con la mente e poi alla fine anche con la scrittura. Mia madre fu contenta che venisse pubblicata. Di questa vicenda e della sua narrazione poetica fa menzione il critico Giuseppe Aletti nella prefazione del libro. Credo che un “dolore sublimato” sia un “patrimonio immateriale”, un “giardino sempre in fiore”, un “mistero luminescente” che vada tanto cantato quanto rispettato. L’altro episodio è quando scrissi la poesia “L’onomaturgo” (poesia finalista al Concorso Il Federiciano 2019), ricordo che componendola sprofondai in una riflessione senza via d’uscita riguardo la grande responsabilità che implica scegliere le parole da dire e da scrivere. Una responsabilità che appartiene ad ogni essere umano, gravida di bellezza e di rispecchiamenti senza i quali difficilmente ci accorgiamo d’esserci.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Nicola Feruglio - Sono molti. Anzitutto devo moltissimo al contesto familiare, sono nato in una casa di collezionisti di musica e amanti della letteratura, come scrissi nel saggio Cosmoempatia, “l’università era a casa mia!”. Poi ritengo siano state decisive le esperienze di studio della moderna gnoseologia realizzate in Spagna alla fine degli anni novanta e poi le esperienze come presidente di Antropologia Terzo Millennio in Italia e Argentina. Se poi dovessi indicare quattro autori che in quest’arco temporale sono stati fonte inesauribile d’ispirazione, senza indugi vanno citati: il poeta Gregory Corso (al quale è dedicata una poesia presente nella raccolta), Carl Gustav Jung (i cui testi mi consentirono di sconfinare oltre i limiti della ricerca accademica), Pier Paolo Pasolini (anzitutto per la sua disperata ricerca di una purezza antropologica) e poi il saggista sudamericano Samael Aun Weor (fondatore della moderna gnoseologia, punto di raccordo tra neo-sciamanesimo e fisica quantistica).
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Nicola Feruglio - Fino a metà degli anni novanta mi sono occupato di pittura e di installazioni artistiche; ho realizzato mostre personali e collettive e per due anni ho studiato all’Accademia di Belle arti di Venezia. Diede particolare attenzione agli artisti tedeschi della Neuen Wilden e alla Transavanguardia italiana. Credo che tutte queste esperienze estetiche mi abbiano consentito di frequentare assiduamente l’immaginazione (il mens insita omnibus di Giordano Bruno), intesa come diversa dalla fantasia; immaginazione intesa come azione epigenetica in grado di incrementare la realtà. Kantianamente parlando, l’immaginazione cosciente fa sì che il mondo della fattualità sia superato dal mondo delle possibilità.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Nicola Feruglio - Tutti, perché credo nel trans-genericità letteraria.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Nicola Feruglio - Assolutamente entrambi!
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Nicola Feruglio - Comporre un testo e vivere consapevolmente il suo “farsi” è immensamente più soddisfacente e rivelatorio di vederlo completato e editato. Mentre si compone un’opera si permane in uno stato febbrile e contemplativo, generando infinite divagazioni-ramificazioni per ulteriori idee e opere che prepotentemente bussano alla porta del nostro linguaggio. Il farsi di un’opera si traduce sempre in uno squarcio per ulteriori e future fatiche letterarie. Pasolini nel Pianto della scavatrice scrisse: “Solo l’amare, solo il conoscere conta, non l’aver amato, non l’aver conosciuto”. Parafrasandolo, si può dire che scrivere è sempre meglio di aver scritto. Quando si scrive si vive “in curvatura”!
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Dimensioni aurorali” se non lo avesse scritto.
Nicola Feruglio - Per via della bellissima copertina realizzata dai grafici della Aletti Editore, per via della preziosa prefazione scritta del poeta, critico e editore Giuseppe Aletti; e in ultimo per via del suo titolo... evocante quel fondamento ontologico verso il quale ogni creatura umana consapevolmente o meno è diretta.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Nicola Feruglio - È già pronta per le stampe un’altra raccolta di poesie dal titolo “Fin dove giunge il canto dell’iperboreo”, con la prefazione di Hafez Haidar, scrittore e docente che non ha bisogno di presentazioni. Il testo poetico verrà pubblicato nella collana I diamanti della poesia a cura della Aletti Editore. Il materiale poetico di “Fin dove giunge il canto dell’iperboreo” è ispirato e dedicato alla spiritualità iperborea, dalle cui viscere sorse la filosofia greca; misteriosa tradizione antropologica nella quale ho ritrovato le ragioni seminali di quella “mistica immediatezza” e di quella “auroralità” che ho citato rispondendo alla prima domanda di quest’intervista.
Autore: Nicola Feruglio
Titolo: Dimensioni aurorali
Editore: Aletti
Collana "Poeti in Transito - Poesia"
pp. 64 €12.00
ISBN 978-88-591-6188-2
Il libro è disponibile anche in versione e-book
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