| SE È IL QUOTIDIANO AD ESSERE POESIA
Considerazioni su Il tratto indelebile di una matita di Massimo Passeri
Recensione di Marco Testi
Già dal titolo della recente prova poetica di Massimo Passeri, l’antica e frequentatissima figura retorica dell’Oxymoron conosce una robusta ripresa. Il tratto indelebile di una matita (Aletti, 2020) è infatti una ben congegnata sintesi della inevitabile ricerca di punti di consistenza nella parimenti inevitabile fuga del tempo che sembra trascinarsi dietro affetti, ricordi, presenze una volta ritenute inestinguibili. La salvezza nel tempo ma anche dal tempo. Quel sottile, quasi invisibile agli altri (e talvolta anche alla nostra indifferenza) segno di matita che sembra scomparire di fronte alle coloratissime affermazioni di prendi tutto e scappa, sogna tutto quello che vuoi, e ottienilo adesso, del doman non v’è certezza, puoi avere molto di più, desidera, e in grande. E che invece è l’unica traccia che rimane dentro il nostro essere più autentico. Raramente un titolo ha saputo così adeguatamente sintetizzare le note basilari del suo contenuto senza cadere nell’illustrazione o nella spiegazione impoetica. Perché la sintesi è il dono del verso di Passeri, grazie anche alle inevitabili, e talvolta inconsce riprese, ormai strutturate nella memoria involontaria di chi ha respirato, non solo scolasticamente, le atmosfere ermetiche o ermetizzanti.
Verso breve, perciò, con la prevalenza della paratassi rispetto alla complessità sintattica, enunciazione compressa nello svolgersi dei versi raramente suddivisi in stanze, come accade nella lirica “In inverno”: qui sono presenti i temi della città e delle sue consuetudini, della aspirazione alla comunione con la dimensione visiva del “dipingere di notte”, l’uso non infrequente dell’ipallage -“con le braccia assonate” ad esempio- per definire meglio lo stato d’animo e l’immagine stessa di quell’attimo, come esso si presenta nelle profondità della psiche, il rincorrersi di sogno e realtà, e soprattutto, una dimensione non comune a tanta poesia contemporanea: la capacità di inserire positivamente l’impoetica noia all’interno della umana condizione affettiva, tentando di sfuggire alle sirene dell’idealismo amoroso, quello che si scagliava contro contro ogni inevitabile, banale, quotidianità. Come se quella banale quotidianità non fosse parte del vivere insieme. Il tentativo coraggioso del poeta è quello di recuperare quei momenti, perché rimuoverli significa solo procrastinare il redde rationem della inevitabile, temporanea sparizione dei momenti magici del rapporto a due.
Nella povertà delle mie mani,
aver dipinto di colori il quadro
sulla tela rimasta bianca,
ridere della noia
e impiccare il poeta all’albero della vita.
Si sarà notata la presenza dissonante di un termine come “impiccare” in un quadro apparentemente, pur se malinconicamente, improntato ad un certo delicato impressionismo visivo. Quel termine disforico (secondo la nomenclatura strutturalista), fatto di labiali esplosive, velari dure e raddoppiate, sembra apparentemente fuori posto in una poesia in cui i termini sono lessicalmente e acusticamente leggeri e delicati. Ma non è un caso: quel termine così isolato e così negativo e minaccioso ha il compito di scuotere l’attenzione del lettore e di portarlo lontano dal quadretto idilliaco del sogno -non della realtà- di un amore tutto vezzi e promesse di eternità. Impiccare il poeta all’albero della vita vuol dire costringere la poesia del rapporto a due a fare i conti con i momenti per cui in genere ci si lascia, quelli più prosaici: la noia, appunto, la malinconia, il desiderio di essere soli, la non accettazione della quotidianità, perché non era quella che avevamo tanto vagheggiato nei nostri (davvero nostri? O magari indotti da una visione del mondo costruita su un romantico, utopico momento magico che dovrebbe durare per sempre?) sogni d’amore.
Questa raccolta segna una frattura con una cospicua parte della poesia d’oggi. È un avviso ai naviganti di rovesciare il quadro dell’idillio e ricominciare a dipingerne (non a caso l’isotopia della pittura torna spesso in questa silloge) un altro con i colori della apparente banalità, del pranzo in cui si ha poco o niente da dirsi, della mancanza proprio della poesia in alcuni momenti della vita. Dobbiamo, sembra dire il poeta, ricominciare proprio da lì, dai momenti no, dalla possibilità del tedio, della ripetitività. Dalla vita vera, in poche e impoetiche parole.
L’attesa è una delle altre facce di Il tratto indelebile, a patto di leggerne la sottile malinconia di chi ha conosciuto il poi, la realizzazione, e poi di nuovo la mancanza e di nuovo la speranza. Non una conoscenza immediatamente biografica, perché la poesia, la poesia vera, non è mai unicamente individuale, ma ha nel suo statuto la capacità di portare alla luce gli aspetti nascosti e collettivi (il che non vuol dire immediatamente visibili e coscienti), come accade in “Non mi tradire”, dove “il fiore della vita” sembra addormentato nella neve dell’oblio, della fine; eppure proprio la natura ci offre la prova che nulla si perde, nel ciclo di rinascite occultate dall’apparente silenzio del bosco.
Il terzo elemento significativo del volume è il tempo, soprattutto in una lirica, “Mai è tempo” che ricorda molto la sottile ironia di Michel Quoist quando narra poeticamente le scuse degli uomini che incontrandosi non si fermano mai a parlare perché dicono di non avere tempo . Eppure il tempo dell’incontro è uno dei più preziosi nella nostra vita. Contro la tentazione a fare del tempo un programma personalizzato scorrono i versi di Passeri, che ammoniscono, senza che sembri, a fare tesoro di un tempo che muta continuamente e spesso si tramuta in rimpianto o in speranza sempre procrastinata che alla fine ci rende ciechi di fronte alle reali occasioni che il destino, non la nostra sola, mitizzata volontà, ci pone di fronte all’improvviso.
Su questi tre motivi soprattutto si fonda la poetica di Il tratto indelebile di un matita, con il merito di riportare la quotidianità, il sentimento della perdita e quello del nuovo inizio, le paure di chi ha passato la tempesta e non si arrende, di chi ha compreso la necessità -che va oltre i nostri voleri- dell’indicibile regno del tempo cui siamo più o meno consapevolmente sottomessi. Il che francamente non appare poco in un momento storico in cui dominano il piacere a tutti i costi e la fretta di cambiare quando appaia la minima incrinatura in un rapporto fatto di apparenze. Una poetica in cui finalmente la quotidianità viene riscoperta nella sua eroica verità.
La scheda informativa del libro "Il tratto indelebile di una matita" di Massimo Passeri sul sito della Aletti Editore http://www.alettieditore.it/emersi/2020/passeri.html
Seguici su Facebook
www.facebook.com/alettieditore
e su Twitter
www.twitter.com/alettieditore
Visita il nostro Canale Youtube
www.youtube.com/alettieditorechannel |