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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

Intervista ad Antonietta Dembech, che presenta ai lettori il libro “Fra Terra e Cielo” - Aletti Editore

di Rassegna Stampa

DOMANDA 1 - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Fra terra e cielo”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?

ANTONIETTA DEMBECH - In cielo mi sorprendo in tale segno: nella mente non ho più frastuono di quello che mi accade, non dispero di me. Potrei somigliare ad uno che si mostri impaziente ad entrare in un luogo ove non dover dar sfogo alle proprie paure, alle proprie angosce, alle proprie ansie. Finalmente posso permettermi di essere a me, di osservarmi in modo pacato.
Bello, poter mirare a questo!
Ecco! Se qualcuno stesse ascoltando i miei pensieri potrebbe sottolinearmi la gioiosità di questa esclamazione con la quale, evvia, non potrei sulla terra darmene esultanza.
Sulla terra la realtà mi sfugge insieme alle emozioni più belle ed io sono nelle condizioni di sentire che il mio letto non è il mio letto! Nemmeno mio, è il mio sonno!
Le pareti, gli spazi della mia dimora, esse guarda, poi, non c’entrano nulla con me! Solo le mie lacrime mi appartengono.
Nella città in cui io vivo, io mi sento come strania in terra lontana.
Nei versi della poesia «Un sognifico mio sogno» mi rivolgo alla mia “zolla ignuda” con sì fatta veemenza: «O geode di un pianeta, un’altra vita avrei voluto! Da tempo m’interdici l’acqua e il fuoco».
Eh…beh! me, in esilio, mi ci han mandato gli eventi, i quali si sono ordinati nel senso di una verità che nasce dolore ed attraversa la mia mente, i miei sensi, il mio cuore. Vivo troppo da vicino una realtà che mi tiene lontano per lavoro dai miei figli. L’uno è un bimbo di 10 anni, l’altra una ragazzina di sedici. Sono lontana da loro mille miglia e capisco che ho bisogno di averli davanti agli occhi e non soltanto in cuore. Avrei da tuffarmi nei loro giovani anni, quelli di mò o mai più.
«O mai più», noi mai più, ohibò, avremo a rispecchiarci, mamma e figlioletti, nel vero dei nostri giorni.
Non coscienza, non anima, non cuore ha la terra. In essa non prendibile è il nostro esistere. Di questo vi son solo i segni di un sogno.
Chiudere gli occhi e vedersi leggeri come sorretti da grandi ali fra le regioni dell’aria: liberi e sereni a godere l’umano, il fresco, il riposante in un cielo nel quale noi guardiamo a questa, a quell’altra cosa eseguita in modo speciale con idee, mondo, tutto.
È concetto questo che fa eco ai versi di una mia composizione poetica intitolata «Il mio respiro». In essi ci si avvede che io ansi fervidamente affinché qualcuno vada «Là su per i cieli» e si snodi in volo per ogni spazio e spigolo del mondo a dare natura nuova. Ne riprendo il pensiero in versi che mi agganciano all’altra domanda: la scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblìo del tempo con questo libro.


DOMANDA 2 - Quanto la realtà ha inciso sulla scrittura?

ANTONIETTA DEMBECH - Quanto abbia inciso la realtà nella scrittura dei miei versi è in larga misura dovuto ai miei sensi, quelli in fondo in fondo alla radice della mia infelicità.
Causa mali tanto è il mio mancato legame coi bambini, direi miei allievi, così nominati all’epoca in cui io sarei stata la loro giovane maestra.
Un vincolo da sogno il quale s’immillava di cose belle: costellate dei tanti punti luminosi alla loro esistenza, avida di tutto. Sì, ecco! Ove fosse stato necessario io sarei stata nell’addetta qualità di dotta ad istruire i miei discepoli. Pronta, in ogni momento del mondo a brillare per loro come d’azzurri astri, fecondi di forme serene ed armoniose. Però non fu cosa ed io per l’ennesima volta franavo nel buio della mia esistenza.
Sì, ecco! Non so che una cosa. I bei momenti, quelli persi con i miei allievi, hanno dato agilità di tocco alla mia mano nel fare versi. Indi quest’ultima è andata dall’una all’altra pagina a riscrivere i miei sentimenti. Se ne fa giure sapiente la mia Musa che mi aiuta e mi rincuora. Diversamente sarebbe con sé sola, sola, risentita ed incompresa.


DOMANDA 3 - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo libro?

ANTONIETTA DEMBECH - Con la poesia «Mondo nuovo» ho dato valore al mio pensiero intorno a cosa da valutare nel tempo. Il pensiero m’insegue in qualcosa di grave che si leva al mondo: è un urlo di disdegno gridato dai giusti e dai buoni della terra: “La nostra libertà è nel legaccio. I licet, le pratiche, i consensi empiono gli spazi e i tempi alla fissità dei mutamenti. Ne sono segregate le forme – Esse cadono nel vuoto. Il mutato resta invariato e non fiorisce del suo vero incalzato com’è da leggi che non si possono cambiare. “È un cattivo progetto quello che non si può mutare”. Ciò dice un motto latino. È una sentenza nella quale prende sostanza e forma, a cento mille, l’idea che una intelligenza ordinatrice possa muovere storia e sorte. Nella poesia «Mondo nuovo» mentre scrivo m’ascolto e bacio i miei pensieri in una romanza aperta ai sogni. Questi ultimi siano fedeli alle animucce dei piccini nel rendere loro un mondo nuovo, libero, rinnovato.


DOMANDA 4 - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “Tra terra e cielo”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore, come li descriverebbe?

ANTONIETTA DEMBECH - Gli episodi da isolare li ritrovo nei miei versi in cui le mie parole esprimono la brama di cambiamento nella nostra società.
Le poesie sono: “Il mondo che va in fumo”, “Mondo nuovo”, “Lupinella dei prati”, “Il tuo respiro”, “Un mondo senza identità”.
In quest’ultima vi sono un nonno e un nipote che discutono intorno alla grandezza della vita. [...] Spiega il nonno al ragazzo che nella vita bisogna si vada leali, bravi, compatti “per sentieri finemente umani”. Giammai bisogna procedere con la sapienza gelida di disonesti faccendieri celati dietro l’uscio, immersi nel denaro, inclini al disimpegno d’ogni bene. Cosicché è facile che torni “in festa il giorno dei millenni dai presagi grevi” i quali fanno pensare allo sconfinar del male. Un male che matura ai piedi di una storia che continua da sempre ed è colma di anni traboccanti di malefatte d’ogni genere, tutte perpetrate ai danni della nostra divina Italia e del mondo. Questo concetto ha adunato la mia voce di poetessa in versi di una mia poesia “Lupinella dei prati” ove pongo l’accento sullo stato pernicioso della nostra Patria la quale va perdendo le sue forze, ad eccezione di un lumicino presso, presso alla fine. Svilita, ohimè, dall’avarizia lercia di una roccia “decomposta nei suoi coltivi, orlata del suo mal sin nei suoi vichi”.
La roccia, nel mio poetare sta a configurare la casta disonesta dei governanti e dei tanti briganti [...] Li si vede ringhiare fra i denti affinché sia dato loro il “loro”. Se ne ha veduta stante in questo periodo di emergenza da virus planetario, durante il quale le pensioni d’oro restano ove sono. Si eleva al cielo, ahimè, il grido disperato dei tantissimi poveracci. Son certa, mi vien di dire, che ai miei versi nessuno farà caso. Sono una poetessa che ha le mani provate al tasto del buon senso. Eh… via, snervati sono i polsi nello svariarsi fra idee d’amore, giustizia, dignità. Non v’è niuno che m’ascolta. Niuno ha da domandarmi.


DOMANDA 5 - Quali sono le sue fonti d’ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?

ANTONIETTA DEMBECH - Io leggo i racconti del Novecento, e poesie anche. Leggo e dedurrei di essere molto presa dalla lettura e non fisso, come io vorrei, nella mente il titolo del romanzo o della poesia. Ad esempio l’opera di Italo Svevo ritengo sia di Pirandello e viceversa. L’unico scrittore di cui non dimentico il nome e cognome è Massimo Bontempelli. Di lui leggo, prima di iniziare un mio componimento poetico, le quasi quattro pagine del racconto: «Avventura Deserta» ovvero «L’ultimo dei romantici». Magari c’entrano tutti e due i motivi.


DOMANDA 6 - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?

ANTONIETTA DEMBECH - La mia fede letteraria mi pone ad apprezzare gli artisti che scrivono poesie, racconti ma sapendo per esperienza personale che dietro ogni lavoro si nascondono ore ed ore di vera fatica, considero che ogni disciplina artistica meriti attenzione.
In special modo m’avvince il fluettare sulle punte delle dita dei ballerini di danza classica. Il loro stile, per me, fa tutt’uno con gli effetti di libertà caldeggiati da me nei miei versi. V’è sciala di essa nella composizione del poeta Ardengo Soffici. Ve n’è da resurrezione mentre egli, rimescolando i colori del mattino e dei sogni, s’innalza ad alta quota, col suo aereo, per un incipit vita nova.
Una creazione autentica e definitiva la quale gli permette di poter dormire, cantare e nel mio caso dimenticare la storia di un amaro destino.
Si capisce che in me si riflette la di lui procurata ammirazione per il mondo multicolore in cui si lancia. Io a 6207 metri sarei felice senza alcun pensiero di ritorno.
E voilà, io a 6207 metri in un vol plané di serenità.


DOMANDA 7 - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?

ANTONIETTA DEMBECH - Oltre al mio genere letterario, prediligo la narrativa. Mi piace leggere i racconti, non i romanzi gialli, e non quelli dell’horror. Amo tantissimo le fiabe e alla mia nipotina di otto anni ne racconto sempre qualcuna. Sono novelle che invento là per là. A volergliele ripetere non potrei, dato che non le ricordo. Mi riprometto di fissarle su fogli di quaderno e non lo faccio mai. Vorrei leggerle le fiabe raccolte e trascritte da Italo Calvino di cui ho un volume ma lei non vuole.


DOMANDA 8 - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?

ANTONIETTA DEMBECH - Mi piace il libro cartaceo. Non riesco ad assuefarmi a quello digitale. Il libro mi lascia meditare. Giro la pagina e mi soffermo a pensare a cosa ho letto nella pagina precedente. Non vado avanti se prima non constato se è giusta la cogitazione avvenuta nella mia mente intorno a ciò che ho letto.


DOMANDA 9 - Qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro?

ANTONIETTA DEMBECH - Ho avuto sempre tanta passione per ciò che scrivevo. Passione pura e vera commozione. Ho scritto la poesia «Sulla punta delle dita» piangendo. I versi parlano di una bimba morta in mare per sfuggire ai colpi di fucili da guerra. È un fatto veramente accaduto.
Ho provato tanta malinconia e tanta mestizia mentre scrivevo «Mondo nuovo». Nella poesia mostro dispiacere per il fatto che mai s’instaura nella nostra società, per il bene di tutti, un significativo cambiamento.
Ho sofferto tanto scrivendo della morte di mio fratello: un uomo che come lui ve ne sono pochi al mondo. Quando il prete gli fece il discorso di addio in chiesa, fra le altre parole belle dedicatogli, disse: “Tonino sta già fra i buoni”.
Tutti i giorni leggo la mia poesia “Più dolce di una lacrima”. Trovo in ogni parola dei versi una verità lancinante che mi fa soffrire. Leggo e soffro, soffro e leggo e per me è uguale che confidare il mio dolore ad un’altra persona dalla quale m’aspetto solidarietà.
Scrivere queste pagine del libro per me è stato un sogno, avveratosi con la complicità morale dei miei due figliuoli. Li ho avuti sempre nel cuore mentre componevo i miei versi.


DOMANDA 10 - Un motivo per cui comprerebbe “Fra terra e cielo”, se non l’avesse scritto.

ANTONIETTA DEMBECH - Comprerei il libro “Fra terra e cielo” scritto da un altro autore perché interessata a capire il significato del titolo. Mi lascerei prendere dall’avvincente desiderio d’indagine intorno alla denominazione medesima. (Ben intendo! Io vedo nella scritta “Fra terra e cielo” la mia vita).
L’altro motivo per cui lo comprerei è perché farei dono di pensiero ad una poetessa la cui arte svaria nell’intimo dei suoi versi in cui il vivo sempre si sente.


DOMANDA 11 - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?

ANTONIETTA DEMBECH - Oltre ai miei testi poetici, per i quali ho ottenuto premi letterali e per cui mi sono posta all’attenzione della critica divenendo autrice di un libro “Fra terra e cielo”, ho scritto un romanzo nell’anno 1992 che tengo chiuso nel cassetto. Il tema fondamentale è quello della violenza, fisica o psichica, subita dai tanti bambini e adolescenti, soprattutto di sesso femminile che drammatizza e segna per tutta la vita. Credo di aver fatto un buon lavoro. [...] Le mie pagine sono rimaste ascose assieme al mio sogno che pur vorrei realizzare dandone un seguito, com’è accaduto con le mie poesie.


Collana "Poeti in Transito"
pp.72 €12.00
ISBN 978-88-591-6531-6
Il libro è disponibile anche in versione e-book

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