| Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai "Casi penali". Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Alessandro D'Elia - L’idea di “Casi penali” viene dalla noia di dover leggere sempre gli stessi esempi sul medesimo libro di testo di diritto penale, letto e riletto per ripetere lo stesso esame. In risposta a tali soliti esempi, ho pensato di inventare casi paradossali prendendo spunto dai nomi nel diritto usatissimi di Tizio e Caio, e sono partito una poesia dopo l’altra.
Il concetto del libro deriva da una frustrazione, di uno studente che proprio non ha successo negli studi, e l’opera trasuda rabbia e delusione verso una classe dirigente non attenta ai bisogni dei singoli tra gli studenti, e ritenuta pure non al passo coi tempi e a sua volta oppositoria e contrastante. Il senso dell’opera è da ricercare nella provocatorietà di mettere Tizio e Caio in situazioni drammatiche, astiose, o paradossali, presentate in una modalità irriverente. Si rileva e si contrasta un sistema universitario percepito come antiquato e non stimolante, chiudendosi nella sicurezza della propria identità e cultura.
Può essere visto, Casi penali, anche come una serie di esempi contrapposti alla seriosità dei libri e dell’ambiente universitario, molto più semplicemente. Una espressione del sentimento studentesco sia di noia che di voglia di essere partecipe, una volontà dello studente di prendere parte al mondo dell’espressione e della cultura, dell’impegno, con un piccolo atto di distinzione.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Alessandro D'Elia - Diciamo che il testo è stato scritto da uno studente, uno studente non troppo integrato con il mondo universitario, uno studente che ha sempre vissuto in periferia e di questa ha assimilato tendenze e insofferenze. È anche l’insofferenza ad aver originato questo libro, e nell’ambito di questo si possono notare, per esempio, espressioni o prospettive originarie della popolarità periferica romana. Per esempio nella poesia ambientata in Cina, Tizio “rifila” le bacchette a Caio. Il termine “rifilare” usato in tal modo è comune e può essere riscontrato nel linguaggio usato a Roma popolarmente, in ambienti giovanili e non. La realtà in questo libro emerge così, come espressione dell’identità di me che sono l’autore, e che mi trovo a scrivere nella frustrazione di non riuscire in un ambiente in cui, tra l’altro, non mi vedo ben integrato.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Alessandro D'Elia - In una dimensione personale, ciò che ho salvato è innanzi tutto la mia passione e la mia determinazione in un periodo che è stato piuttosto negativo. Ciò che è salva è la mia positività di quei momenti infelici, dove l’idea di scrivere quest’opera mi ravvivava e mi rendeva ottimista o meno scoraggiato. Ora c’è una testimonianza tangibile di quel periodo, ed è qualcosa di bello, di concreto e producente.
Ad un livello più generale, invece, riflettendo mi rendo conto che quest’opera è lo scritto di uno studente, che come tanti magari da sempre ironizza o dissacra durante lo studio o le lezioni. Si tratta però di un libro completo, finito e definito, determinato da simile atteggiamento. Dunque credo si possa dire che rappresenti come una legittimazione, una concretizzazione, di un punto di vista che mai trova cotanta espressione, quello di qualsiasi studente, di ogni livello, che si metta, anche in classe, per esempio a scherzare, fare battute su materie, parole o argomenti. È uscito questo libro che materializza la leggerezza e la sagace simpatia, anche la strafottenza, di molti studenti.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro "Casi penali", se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Alessandro D'Elia - Non è facile trovare dei momenti che io ricordi con gioia, relativi al periodo di stesura di questo libro. Non per il libro in sé ma perché è stato scritto durante un periodo nero in cui le soddisfazioni universitarie erano lontane, non riuscivo a superare mai un esame al primo tentativo. In un sentire frustrato e rancoroso che pervadeva il mio animo, l’unica nota positiva era il libro stesso, che io pensavo sarebbe stato la mia riscossa, e la soddisfazione di riuscire in tale progetto autonomo era qualcosa per cui mi sentivo valido e orgoglioso.
In sala lettura aggiungevo pezzi ed esso prendeva forma, e anche se stavo molto indietro con gli esami, alzandomi per andare via guardavo gli altri studenti con orgoglio e soddisfazione.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Alessandro D'Elia - Per quanto riguarda il mio indirizzo culturale e formativo, mi tengo saldo a un altro periodo della mia vita, che è quello in cui avevo dai diciassette ai venti anni. In quel periodo amavo scrittori che per me rappresentavano un’idea di trasgressione, di rompere gli schemi, di modificare i canoni. Con tale spirito leggevo con enorme interesse Kerouac e Bukowski, Henry Miller, ma anche Baudelaire.
Ero un avido lettore e questi autori mi ispiravano, sembrava mi dettassero una via, rappresentavano per me una ragione e un appoggio artistico, di approccio con l’esistenza e la realtà.
Leggevo tanto e quindi, oltre a tali autori narranti di viaggio come di sesso, improvvisanti e letterariamente blasfemi, prestavo attenzione a tutto ciò che mi capitava, leggevo ogni libro che potevo rimediare e, inoltre, mi affidavo anche ai classici di cui sentivo parlare al liceo. Mi appassionava Shakespeare, il suo stile totalmente poetico, mi incantava la sua eleganza.
Ora sono un po’ cresciuto, nel senso che pur non avendo realizzato tutti i sogni di quei giorni, non me ne rammarico perché capisco meglio la complessità della vita che, piena di piccole cose cui stare attenti, ci impedisce grandi realizzazioni, o realizzazioni immediate. È così che resto facilmente ancorato a quei tempi, l’indole mia non è cambiata, e cerco di approfondire la letteratura statunitense e, come prima, espando i miei interessi verso i generi più diversi, ho capito che mi piace il fantastico come il romanzo storico, amo leggere anche se lo faccio più lentamente, e mi rendo conto, e faccio in modo, che quegli anni non siano finiti, i miei sogni sono accesi e io sono vivo e attivo.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Alessandro D'Elia - Tonando al mio periodo di riferimento, devo dire che in quegli anni avvenne un passaggio: dall’ascoltare con interesse hip hop italiano passai alla conoscenza auditiva della musica rock, precisamente hard rock e metal.
Credo che tali generi così profondamente diversi abbiano spesso in comune la modalità diretta dei testi e delle sonorità. Ritengo che tale ricerca di una parola diretta che esprima un messaggio spesso anticonvenzionale, unita alla lettura di un altrettanto diretto Bukowski o Henry Miller, abbia inciso fortemente alla formazione della mia identità artistica, e possano le due arti aver contribuito alla stessa, insieme ad avermi ispirato e intrattenuto.
Da qui i miei versi con una parola che può essere un nome, una congiunzione o una preposizione, o immagini particolarmente concrete, dirette o immediate, espresse con poche battute.
Ora ascolto molta meno musica e le mie conoscenze sono quasi le stesse da molto tempo, ma vedo che il genere hip hop in Italia ha avuto uno sviluppo notevole, comprensivo di sottogeneri, che seppur ritenuti eccessivi e vanagloriosi, credo rappresentino l’espressione musicale odierna della società, così come ogni decennio o ventennio ne produce inevitabilmente, e in questo senso mi richiama come fosse figlia di ciò che ascoltavo e al tempo stesso per prestare l’orecchio alla voce artistica dell’oggi.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Alessandro D'Elia - Intanto non credo che "Casi penali" possa ritenersi appartenente a un particolare genere letterario, sennonché, sognando, io immagino che tale opera abbia un tale successo da annoverare numerosi seguaci, scrittori di altre opere con all’interno i casi di Tizio e Caio, che darebbero vita a un filone, un nuovo genere, che, sempre nel sogno, definirei “Tizicaismo”. Ma sono fantasticherie.
Oltre a quest’opera scrivo poesie mentre guardo lo sport alla TV, e le poesie sul calcio darebbero vita a una loro generalità che chiamerei “Calcismo”. Amo fornire di parole le impressioni e i sentimenti che si vivono grazie allo sport per mezzo della televisione.
Nello scrivere poi amo inventare, inventare ambienti che nella realtà non esistono e all’interno di questi porre personaggi che cercano se stessi nel cercare qualcosa.
L’invenzione di luoghi e fatti irreali mi fa sentire libero nel produrre scrittura, non vincolato dalla realtà, e forse si potrebbe dire che ciò sia di genere fantastico, ma in realtà non ho ancora scritto di elfi e draghi.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Alessandro D'Elia - Io uso esclusivamente il formato cartaceo, cui sono fortemente legato, e ritengo che sia meglio un libro che ci dia il contatto con la carta, le pagine, la copertina. Anche comprarlo in libreria tra una vasta scelta e indecisione di spessori e copertine, credo sia una esperienza difficilmente sostituibile.
Tuttavia ritengo, come ho appreso, che l’ebook possa essere comodo per chi ha abitudini diverse, o problemi di spazio o di tempo per l’acquisto, o altro. Non sono chiuso al progresso tecnologico e per molti il formato digitale può rappresentare una specie di salvezza, in termini di convenienza pratica.
Mi sono ricreduto sugli strumenti tecnologici moderni per via di facebook: ero restio, inizialmente, a iscrivermi, ritenevo che rappresentasse la fine dei rapporti sociali e la deriva di una società di apparenza e ipocrisia. Infine mi sono iscritto per la necessità di ristabilire dei contatti, e oggi ne sono molto soddisfatto, per l’uso che ne faccio.
Voglio esprimere un’idea in merito: se ci sono, nella nostra vita, degli interessi che potremmo definire secondari, che non ne determinano la valenza o il senso, ma che pensiamo sempre che un giorno forse li coltiveremo, ecco che su facebook ci sono pagine per ogni argomento o materia. Così si può mettere “mi piace” su qualsiasi cosa che possa interessarci, che non abbiamo tempo per approfondire, ed ecco che, di tanto in tanto, un piccolo post contribuirà a darci un’infarinatura su quell’argomento, e rimettendo in tasca il telefono siamo propensi a un’esistenza più varia, più partecipe. Così facebook mi è molto d’aiuto.
Al tempo stesso, chiaramente, si devono ignorare molti post e commenti meno interessanti o espressivi. Questo è un aspetto, ogni esperienza può essere vista con diverse letture.
Non escludo quindi l’uso del libro elettronico da parte mia, nel futuro, e immagino il momento in cui sarà ulteriormente diffuso e sarà un oggetto di uso domestico e quotidiano.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Alessandro D'Elia - Ho detto che il libro è stato scritto durante un periodo buio, in cui non riuscivo a superare esami universitari. Devo aggiungere che ad amplificare il mio malessere vi erano sensazioni peggiori come la convinzione che assistenti e professori mi ostacolassero intenzionalmente, che il mio nome fosse legato a una generale volontà di non volermi fare progredire, avanzare, riuscire. Era un chiodo fisso l’idea che seppure fossi preparato non mi avrebbero fatto passare l’esame.
In tale contesto emozionale io ho trovato la scrittura, quel sogno che portavo con me da sempre. La scrittura teneva vive le mie prospettive di rivalsa e di coraggio, anche se spesso in maniera delirante. Mi convincevo infatti che tutto ciò che stavo scrivendo mi sarebbe servito come vendetta per i torti subiti all’università, e scrivevo pensando che avrei avuto successo, tanto da far pentire chi pensavo fosse mio aguzzino.
La scrittura era determinata e sicura, a vederla ora scorgo molta rabbia sanamente espressa e rappresentata, una volontà di sbeffeggiare e deridere il nemico.
La scrittura era in quello stesso momento una rivalsa e una salvezza, un approdo in cui stare sicuri e consapevoli, per dominare una realtà incontrollabile.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe "Casi penali", se non lo avesse scritto.
Alessandro D'Elia - Direi che se a me, come studente di giurisprudenza, dicessero che esiste un libro che è stato scritto da un altro studente durante la preparazione degli esami, e che sia espressione beffarda e parodistica di tale momento, io lo comprerei di corsa, non me lo perderei assolutamente.
Identificandomi nella categoria degli studenti, e più precisamente di studenti di giurisprudenza, l’opera di un collega che rappresenti tale condizione sarebbe per me qualcosa da ricercare, e sarebbe anche fonte di ispirazione e identificazione.
Immaginerei una persona che avesse vissuto le stesse ansie e preoccupazioni che io ho vissuto quale studente, la stessa condizione sociale nonché i contesti di riferimento, mi immedesimerei e vorrei partecipare alla sua visione e a quella più generale degli studenti universitari. Non mi perderei questo semplice libro.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Alessandro D'Elia - Oltre alla stesura di quelle che chiamo “poesie calcistiche”, che scrivo mentre guardo partite di calcio, la mia attuale attività di scrittore consiste in due aspetti: il primo è la rivalutazione, lettura e messa a punto di ciò che scrissi più o meno nello stesso periodo di "Casi penali", in cui, come ho detto, la scrittura era fonte di decisione e sicurezze, e ne producevo pensando in grande. L’altro consiste nell'immaginare opere che potrei scrivere, e, da questo punto di vista, posso dire di essere pieno di idee, chissà che il 2019 non veda qualcosa di nuovo.
Ma ciò che dovrei proporre prossimamente alla pubblicazione è una raccolta di racconti ambientati in città immaginarie, i quali, più che fantastici, oserei dire, sono “fantasiosi”.
Collana "Gli emersi - Poesia"
pp.124 €12.00
ISBN 978-88-591-5571-3
Il libro è disponibile anche in versione e-book
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