| Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Tèrmele ndù córe”. Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Antonietta Siviero - Il titolo, “Tèrmele ndù córe”, non è stata una scelta casuale. Veramente ho Termoli nel cuore. Una Termoli spesso bistrattata e violentata in nome di un progresso fatto di calce e cemento, che nulla ha in comune con la storia, gli usi e i costumi di questa bella cittadina che si affaccia sul mare Adriatico a Nord e a Sud. Non a caso, in questo mio libro ci sono poesie che riguardano l'ambiente. Voler riempire il paese di rose, nasce dalla mancanza di verde; se le patelle muoiono è perché la costa è stata cementificata fino all'inverosimile. Il castello Federiciano, la Rejiecèlle (stradina), sono solo due esemplari del nostro bellissimo Borgo Antico che andrebbero valorizzati e conservati con cura. 'U scescìlle (polpette di uova, pane e formaggio), piatto povero oggi riscoperto, insieme alla zuppa di pesce e ad altri, rappresenta quella Termoli secolare che non può e non deve morire.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Antonietta Siviero - Sono convinta che tutto parte dalla realtà. Senza basi e conoscenza, difficilmente si riesce a costruire qualcosa di duraturo. La fantasia aiuta molto, ma ha bisogno di supporti validi che le diano la forza di volare.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Antonietta Siviero - La scrittura, come il linguaggio, è una esigenza primordiale che testimonia e tramanda la nascita di lotte, evoluzione, cultura e capacità di adattamento di un popolo. Con le mie composizioni in vernacolo, nel mio piccolo, cerco di salvare e custodire un dialetto che rischia l'estinzione. Nell'era della globalizzazione, i nostri ragazzi conoscono l'inglese, lo spagnolo, ma ignorano il vernacolo dei loro nonni, del loro paese. Quella lingua che costituisce tutto ciò che oggi siamo. Ben vengano altri linguaggi, altri usi, ma, per favore, non abbandoniamo e mortifichiamo quello che si è costruito con sacrificio e perseveranza. Salviamo la nostra identità di termolesi.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro “Tèrmele ndù córe”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Antonietta Siviero - Le esperienze che hanno contribuito alla stesura di “Tèrmele ndù córe”, sono tante e tutte care. Se isolassi qualche episodio, farei torto a me stessa. Perché, anche quelli scaturiti dalla semplice fantasia, sono mie creature. Ci sono, però, delle poesie, come la Rejiecèlle o Quìlle che velèsse, che se proiettate su un grande schermo, con il solo fine di dare visibilità a Termoli, non avrebbero bisogno di descrizione.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Antonietta Siviero - Leggere è importante e molto formativo. Personalmente, eccetto qualche poesia in vernacolo trovata sui giornali, non ho mai voluto leggere poetiche e non in dialetto per timore di essere influenzata e perdere la mia povera ed umile identità.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Antonietta Siviero - Nel campo dell'arte amo tutto. Mentirei se dicessi di essere una intenditrice o acculturata nei vari settori artistici. Il mio approccio con l'arte è istintivo, naif. Le sensazioni le devo sentire a fior di pelle. Se manca questo impulso, un quadro, una poesia, un panorama, un monumento, posso giudicarli belli o brutti, ma non hanno nessun effetto sul mio animo.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Antonietta Siviero - Indubbiamente la poesia. Ma anche storia e letteratura in genere.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Antonietta Siviero - Assolutamente quello cartaceo. Non ho un buon approccio con il digitale. Il cartaceo, dal papiro in poi, costituiscono la miglior fonte di attrazione per una buona e sana lettura.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Antonietta Siviero - Con la scrittura ho sempre un rapporto viscerale. Scrivere è qualcosa che prende tutto il mio essere. Se non sono coinvolta emotivamente non riesco a concludere niente e preferisco conservare penna e carta. La composizione di questo libro ha un significato molto importante. Mi permetto di divagare. Non ho mai voluto pubblicare niente e mai avrei pensato di farlo tramite un concorso appreso su internet. Oggi mi preme ringraziare Aletti Editore e tutto lo staff per la professionalità, la disponibilità e la gentilezza di cui sono capaci. Non è poco, non è da tutti ed è incoraggiante.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Tèrmele ndù córe”, se non lo avesse scritto.
Antonietta Siviero - Comprerei “Tèrmele ndù córe” per conoscere la musicalità unica della lingua dialettale, gli accordi e i ritmi che essa può emettere e suscitare. Il dialetto non è solo folklore, mimica facciale o timbro di voce. Il dialetto è sonorità dell'animo, essenza delle proprie radici.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Antonietta Siviero - Sì, sto pensando di scrivere qualcosa. Per ora è prematuro parlarne. Sicuramente comporrò altre poesie, non fosse altro che per restare nella Vostra qualificatissima comunità letteraria.
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