| Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai "L’anima si scrive". Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Valeria Micera - Due anni fa ero a Milano e cercavo qualcosa che mi portasse a trovare un titolo sentito piuttosto che pensato. Qualche giorno dopo, in dormiveglia, pensai alla parola anima. O forse la sognai, questo non lo capirò mai. Al resto del titolo e al suo significato giunsi ad occhi aperti.
Fondamentalmente, tutto quello che ho scritto nel tempo, l’ho scritto istintivamente. Rileggermi mi ha restituito consapevolezza e riflessione, perciò se scrivi delle tue emozioni è molto probabile che riesca a definirle e a capirti. Questo è per me il vero significato del titolo "L’anima si scrive".
Tutto ciò che ho trattato in questa silloge ha la sua importanza, ma se dovessi scegliere degli argomenti importanti, sicuramente sarebbero l’omosessualità e la violenza sessuale.
La prima perché, in piccola parte, è ancora una piaga sociale. Con l’approvazione delle unioni civili abbiamo fatto un bel primo passo verso il cambiamento, ma direi che di passi in avanti se ne debbano ancora fare tanti. L’Italia purtroppo è divisa tra il tradizionalismo e la libertà di espressione, e questo non permette a tutti di concepire l’amore tra due persone dello stesso sesso. La poesia che parla dell’omosessualità è appunto una sorta di preghiera, attraverso la quale spero arrivi un solo messaggio: l’amore non ha sesso, nasce e basta; la cosa più bella che si possa fare è viverlo.
Mi piace pensare che un giorno non troppo lontano, tutti, indistintamente, possano sorridere davanti a un bacio tra due donne o due uomini, e non giudicarlo come un atto indecente o addirittura blasfemo. Sarà un’utopia?
La violenza sessuale, invece, la definisco, forse brutalmente, una carneficina senza morti. È un fenomeno mai cessato che macchia indelebilmente corpo e anima di una persona. Personalmente, mi soffermo molto sulle conseguenze emotive di una violenza subita, che non possono assolutamente essere sottovalutate. Per questo motivo il mio pensiero è rivolto anche a coloro che non riescono a buttare fuori la rabbia, la sofferenza o il dolore perché non hanno gli strumenti o la forza per farlo.
Sarebbe doveroso trattare i carnefici, il che potrebbe certamente essere l’inizio di una svolta, ma questa è un’altra storia.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Valeria Micera - Penso che il contenuto di qualsiasi forma d’arte sia l’espressione conscia e inconscia del passato, del presente o di un’aspettativa futura. Nel mio caso la realtà ha inciso moltissimo, ma la scrittura in sé appartiene a queste tre dimensioni, che inevitabilmente si sono fuse e si fondono ancora.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Valeria Micera - Il tempo porta cambiamenti, muta idee, pensieri, emozioni, sentimenti e situazioni. Oggi non scriverei ciò che scrissi un anno fa, ed è proprio perché mi sento cambiata dal tempo che ho voluto salvare la spontaneità e l’autenticità delle emozioni, custodite in un libro che oggi è una foto di ciò che ero e vivevo.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro "L’anima si scrive", se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Valeria Micera - Mi vengono in mente i momenti in cui ero in macchina e improvvisamente mi sentivo ispirata. La prima cosa che facevo era fermarmi per scrivere, a qualsiasi ora e in qualsiasi posto. E mi sentivo appagata, euforica. Scrivere in una piazzola di sosta, di sera, può essere stata un’esperienza trasgressiva, probabilmente.
In generale, mi piace scrivere in posti diversi, ma il ricordo più bello che ho è di un pomeriggio di giugno passato al Lago d’Orta, dove scrissi due poesie consecutivamente. Fu un’esperienza bellissima perché quel luogo, con i suoi colori e con la sensazione di serenità che mi regalò, mi fa pensare spesso che dovrei tornarci. Di corsa.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Valeria Micera - Senza ombra di dubbio, leggendo Saffo, Shakespeare, Prévert, Pablo Neruda, Bukowski e Pedro Salinas, ho avuto il piacere di apprezzare maggiormente la poesia e lasciarmi travolgere dalla loro.
Sebbene abbiano uno stile singolare, ognuno mi ha arricchita in modo diverso per come mi è arrivato ciò che loro hanno voluto comunicare con le loro opere.
Per ultimo, lo scrittore giapponese Murakami, che ho riscoperto qualche tempo fa. Ogni volta che leggo qualcosa di suo, non so, ho una sensazione che non riesco a descrivere chiaramente.
È come se mi sentissi accarezzata dalle sue parole. Lo considero uno scrittore spirituale.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Valeria Micera - La poesia si è sempre sposata benissimo con la musica. Mi affascinano molto la musica strumentale, che più di qualche volta mi ha guidata nella scrittura, e il cantautorato, che mi ha ispirata per la combinazione tra testo e musica.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Valeria Micera - Sicuramente la narrativa, che rimanda un po’ a quello che da piccola ero abituata a leggere attraverso gli occhi e la voce di mia madre. È un genere che ho prediletto nel tempo, lasciando spazio anche a tutto ciò che ne fa parte.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Valeria Micera - Una sera d’inverno iniziai a leggere un libro digitale e dopo dieci minuti ci ripensai.
Mi innervosiva dover voltare pagina scorrendo con un dito sullo schermo piuttosto che sentire il profumo della carta e toccarla. Non mi basta interessarmi a ciò racconta un libro, devo poter guardare quel libro. Tra l’altro, mi piacciono molto i libri vissuti, e mi rivedo piccola, su una sedia, intenta a prendere dalla mensola i libri che mia madre custodiva gelosamente
Quando riuscii a sfogliarli, mi colpì subito l’effetto del tempo su quei libri, tipo la carta ingiallita, i caratteri di un certo tipo, la copertina che agli occhi miei era…strana.
Sarò io stessa strana e non al passo con la tecnologia, ma la sensazione che mi dà tenere tra le mani un libro cartaceo, non me la potrà mai dare un tablet.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Valeria Micera - Più che con la scrittura, ho avuto un rapporto profondo con me stessa.
Non sarà così per tutti, e tante volte non è stato così nemmeno per me, ma spesso l’arte è mossa dalla sofferenza. Quando il carburante di cui si alimentava questo libro era un turbamento, il rapporto con me stessa diventava travagliato e la scrittura una liberazione. Ma ho scritto anche amandomi profondamente e custodendo tutte le sensazioni che provavo, mentre lo facevo. Per un periodo non molto lungo, non mi sono sentita ispirata. Poi ho ripreso a gioire, perché di ogni poesia ho sempre gioito.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe L’anima si scrive se non lo avesse scritto.
Valeria Micera - Domanda un po’ scomoda. Se guardassi solo la sua copertina, lo comprerei incuriosita dal titolo. Se invece avessi modo di leggerlo, per le sensazioni che suscita il suo contenuto e per gli argomenti trattati.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Valeria Micera - Fuori dal cassetto, ho un romanzo in versi che iniziai a scrivere prima di concludere L’anima si scrive. Racconta un amore irrazionale tra due donne, nato dal primo incrocio di sguardi sui gradini di una chiesa, in una piazza. Ne sono testimoni l’estate e la Luna. Si dichiareranno vicendevolmente questo folle sentimento attraverso musica, poesia, sorrisi e lunghi silenzi. È una storia che sfida i tormenti, paure, sentimenti contrastanti, e che nel buio ha trovato comunque la sua luce.
Insomma, chi vive una storia d’amore simile, non conosce la noia.
Nel cassetto, invece, ho il primo libro che scrissi anni fa, dal quale è stata tratta la sceneggiatura di uno spettacolo, “Adele, il baule dei ricordi”, del quale sono coautrice. Non so ancora cosa farò con quel libro, so solo che prima o poi quel cassetto lo dovrò aprire.
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