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Pace, Mondo, Dio, Lavoro, Scuola… Dare il nome, come decide di fare Leonardo Carotenuto, con un titolo ad ogni poesia, nominare, è come porre fine a una situazione, per de-finirne una nuova.
Il nominare, osserva Heidegger, non distribuisce nomi, non applica parole. Il nominare, è chiamare presso, evocare dall’assenza, è condurre alla presenza.
La cosa non deve stupire perché, intorno a ogni poeta, tutto diventa mondo.
In questa raccolta di poesie, di un così giovane autore, si passa anche attraverso il rapporto con la scuola e quello dei cosiddetti adulti, dell’autorità.
L’adulto guarda l’inquietudine dell’adolescenza che muta. Ma il sospetto rimane, cioè che le direttive, le raccomandazioni e il rimedio, non passano necessariamente attraverso le parole di operatori, insegnanti, esperti, che, arroccati nel loro sapere, mal si adattano all’esperienza mobile e provvisoria della transizione, del cambiamento. Io voglio cambiare come l’abbigliamento…
Leonardo sembra domandarsi e chiederci: Ma sa ancora l’adulto trasformarsi? E se, proprio in questa disponibilità, si nascondesse la chiave della comunicazione? Perché non farsi modellare dalla tumultuosa trasformazione giovanile? Bloccati, come siamo, dalla presunzione di aver già capito per il solo fatto di aver da più tempo vissuto.
Causa prima del disagio giovanile, quel vuoto emotivo ed esistenziale, che la scuola spesso crea intorno agli studenti a cui offre una cultura così disanimata, per cui alla fine è indifferente all’animo del giovane non coinvolto, studiare i logaritmi o I Sepolcri del Foscolo.
Io studente sfigato/ Io un giorno andrò a scuola/ E nel dolore dell’ansia mi sparerò…
Dal punto di vista espressivo, linguistico e narrativo, bisogna rifarsi alla letteratura americana e all’avvicinamento con un linguaggio quotidiano.
Hemingway rappresenta il caso emblematico dell’uso della prosa, che si rifà alla vita di tutti i giorni. Saranno poi definiti, lui e Fitzgerald, da Geltrude Stein, “una generazione perduta” ma con un germe di denuncia insito in alcune loro opere, che rivela un trauma violento nella vita, una realtà feroce e complicata che costringe a una fuga ma consolida un legame tra scrittura e mondo. Però, in Hemingway, non si esprimono giudizi di natura etica, c’è il nada, il nulla è la risposta a ogni domanda, tutto è privo di senso, come nella Nausea di Jean Paul Sartre, il capostipite dell’Esistenzialismo.
Con i Minimalisti, in particolare con Raymond Carver, c’è poi un definitivo ritorno al realismo.
Negli anni 80, i post–minimalisti, i neo-minimalisti, la video-generation, la yuppie generation, come vengono definiti dal New Yorker (Bret Easton Ellis, David Leavitt, Jay McInerney ecc.) adottano e sperimentano un linguaggio essenziale, per andare dritti al centro delle cose, con brevissimi capitoli, come dei flash, dei video clip, una realtà mostrata senza rifiuto o contrapposizione, al contrario di Leonardo, che attraverso l’uso di aforismi, punteggiati di rime solitarie, ci fornisce, ogni volta, delle riflessioni che si alternano a delle azioni, delle analisi inedite e verificate sul campo, con ribaltamenti di prospettiva e cambiamenti di rotta, come quando scrive nell’era del digitale: Toccare è come imparare...
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