| Il tema narrato nella lirica è chiaramente descritto nel dipinto “Il doppio segreto”, dell’artista Magritte, che domina la copertina dell’opera. Nel dipinto, Magritte raffigura con precisione nitida e meticolosa uno sfondo azzurro, diviso tra mare e cielo, al cui centro capeggia il busto di donna; il viso è calmo, dallo sguardo impassibile, lacerato e spostato lateralmente. Pare quasi che sia stata “strappata” una maschera che un tempo si poggiava sul volto, e ciò che questo cela è ancora più misterioso di quanto si possa credere: l’ampia cavità dalle pareti scure riempite di sonagli (giuochi con cui l’autore era solito trascorrere l’infanzia) non può che suscitare perplessità e stupore. L’intento di Magritte non è altri che rivelare il baratro che separa l’autentico essere dell’uomo dalla sua falsa apparenza, confermando che la realtà è e rimarrà per ogni uomo un enigma eternamente irrisolvibile. Nella poesia che dà il titolo all’opera, “Io come Atlante”, l’autrice riprende il medesimo significato, esprimendo tutto il suo rammarico per il carico di dolore e sacrifici che la vita riserva a ogni uomo e che questi cela in se stesso, senza mostrarlo all’umanità, e che assume sembianze tetre e spoglie.
“E questo peso / immane / lo sento mio / come se fosse / il mio vero cuore.”
Lo sfogo dell’autrice richiama l’appello di Magritte, il quale invita a soffermare lo sguardo sui soggetti che ci circondano e che solo all'apparenza paiono banali, al fine di andare oltre la loro realtà, poiché nulla è più segreto del visibile. Qui come sempre, si potrebbe proprio dire che non ci sia maschera migliore dell'evidenza umana.
Così la poetessa percepisce il proprio mondo come tedioso, nascondendone agli altri il gravoso peso, facendosi
“larghe / le spalle / dalla fatica.”
E altrettanto ella va oltre questo dolore, andando alla ricerca dell’amore, della verità, della bellezza di cui ci omaggia la vita se la si sa guardare con occhi più attenti, proprio come il pittore, il quale induce a diffidare dalle apparenze e dalle prime impressioni, poiché la vastità dell’animo umano è incommensurabile e inimmaginabile.
L’autrice utilizza la propria sofferenza mostrando come essa faccia irrimediabilmente parte della nostra vita, ma allo stesso tempo invita a non dimenticare il proprio volto, a cui sempre si costeggia il dolore, così da ricordare agli altri e a se stessa che bisogna sempre scavare nella realtà oggettiva delle cose e delle persone, imparando dalle lacrime a riscoprire il vero amore, la più grande scommessa e speranza nella vita dell’uomo.
Elisabetta Pucci
Giulia Midei nasce a Roma nel 1995. Diplomata al liceo classico Maria Montessori, studia presso la facoltà di Giurisprudenza alla Luiss Guido Carli di Roma. Appassionata di lingua e letteratura greca e latina, l’autrice partecipa ai relativi “Certamina” e alle “Olimpiadi dell’Italiano” negli ultimi anni di liceo; scrive nel giornale giuridico universitario “Iuris Prudentes”, ed è membro dell’associazione culturale studentesca “LEP – Libertà è partecipazione”. Giulia incontra la poesia nelle prime recite scolastiche all’asilo, un amore che la accompagnerà assiduamente fino agli studi liceali di letteratura italiana, e che dal 2015 la invita a scrivere in prima persona le emozioni che si susseguono nella sua vita.
Collana Gli Emersi - Poesia
pp.96 €12.00
ISBN978-88-591-4485-4
Il libro è disponibile anche in versione e-book
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