| Domanda - Partiamo proprio dal titolo: come mai “Extension"? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Gennaro Di Leo - Giovani, ventenni, universitarie, coinquiline, nemicamiche. Cinque sotto un tetto. Metti, una sera a casa, anzi a teatro. E parole parole parole tra loro, anzi tra noi. Chi parla di cosa con chi? Non è forse intercambiabile tutto ciò che si può dire? E tutto ciò che ci si dice non è forse legato al contesto, al momento, agli interlocutori? Come nella vita, ancor più la parola sulla scena: una nessuna e centomila, in un relativismo dialettico ancor prima che psicologico. Questo vuol essere Extension: un flusso di coscienza che si dipana e dirama tra personaggi e autore, tra autore e lettori, tra lettori e personaggi. Osmoticamente. Monologhi e dialoghi tessuti perché si sfilaccino, come una tela di Penelope, disfatta per essere ritessuta; parimenti le situazioni, che nel parlare si ingarbugliano, e le tensioni, che si disciolgono parlandone. E in questo fluire di sillabe e suoni, finisce che la parola più accidentale assurga nientemeno che a titolo.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Gennaro Di Leo - La realtà è il faro illuminante di ogni mia rotta nella finzione letteraria. Mi piace la trasposizione narrativa di un fatto vero, così come di una situazione o di una persona reale: una sorta di novellizzazione che, anziché attingere al cinema o alla tv, romanzi o teatralizzi la vita quotidiana e le persone che incontriamo tutti i giorni. Quante volte ci capita di riflettere su qualcosa o qualcuno di incredibilmente reale con una sorta di “neppure se me lo raccontassero ci crederei”? Ecco, mi piace provare a raccontarlo, quel qualcosa o quel qualcuno, provando a renderlo più vero attraverso un confronto con il suo doppio nella finzione, solo apparentemente fasullo.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Gennaro Di Leo - La parola. Scrivo perché mi è sempre piaciuto illudermi di poter fermare il tempo su una pagina bianca, come la luce o il vento su una foto. Nulla dies sine linea, diceva Plinio il Vecchio, ed io la penso come lui sulla necessità di ritagliarmi quotidianamente uno spazio, seppure istantaneo o infi-nitesimale, di colloquio con me stesso, in un tempo che si dilata a dispetto della sua fuga irreparabile, in un silenzio che si fa verso o che si fa parola a dispetto della parola che normalmente fa confusione o fa rumore.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro “Extension”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Gennaro Di Leo - Ce ne sarebbero tanti, ma il momento conclusivo è sempre uno dei più significativi per me: quando ci si rende conto che in realtà non c’è più niente da aggiungere o da modificare. L’idea che frullava nella testa ha preso la sua forma e va bene così, almeno per chi l’ha partorita. I personaggi sono morti e risorti, a piacimento, pensate e ripensate sono state le cose da far fare loro, scritte di getto, poi cancellate altrettanto di botto. E il bello è che a quel punto finale si è arrivati attraverso giri di parole pressocché imprevedibili nel giorno in cui tutto è iniziato: ecco perché mi piace quel momento, perché permette di guardarsi indietro e sorridere e stupirsi. Proprio come mi sono stupito quando Extension è stato insignito della menzione di merito al II Premio Internazionale Salvatore Quasimodo, che ne ha poi generato la pubblicazione con Aletti Editore.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Gennaro Di Leo - L’Ottocento russo, i tragici greci, Calderon de la Barca, Stefano Benni, Orazio, Ibsen… e l’elenco potrebbe continuare a dismisura, nord sud ovest est, avanti e dopo Cristo. Siamo ciò che mangiamo, e chi ha la fortuna di nutrirsi anche di libri, inevitabilmente diventa un po’ ciò che ha letto. Penso di essere un debitore che mai salderà il conto con i munificentissimi creditori.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Gennaro Di Leo - La musica, senz’altro. In questo caso sicuramente quel prestigiatore di Caparezza. E lo chiamo così perché è un formidabile giocoliere di parole e perché mi ha fatto un prestito. Mi riferisco alla gentile concessione della sua “Ilaria condizionata”, tratta dall’album “Le ragioni del mio caos”, cui devo l’ispirazione per uno dei personaggi e per la tessitura stessa della trama del mio Extension, costruito attorno a una battuta della sua canzone che riecheggia nel mio testo a mo’ di refrain. Ma sono tanti i sedimenti di altre suggestioni, non sempre manifeste e non necessariamente esprimibili: per citare ancora lui, “l’inchiostro sa quante frasi nascondono i silenzi” (China Town).
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Gennaro Di Leo - Carta tutta la vita. Un altro sapore, un altro odore. Per non dire del tatto: sfogliarne le pagine, farci le orecchiette o poterci infilare un bellissimo segnalibro che ricordi un museo o un viaggio o un’amicizia. Non che non usi i potenti, utilissimi, meravigliosi mezzi della modernità, è solo che in questo caso la tecnologia, con qualsiasi scusa la si chiami in causa, non ha alcuna possibilità di averla vinta sulla bibliofilia.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Gennaro Di Leo - Potrei definirlo vitale, o rivitalizzante. Avevo già iniziato a concepirne la trama e a tratteggiarne i primi personaggi, quando la buona stella di un venerdì diciassette ha fatto sì che la mia moto andasse in rotta di collisione con un’auto al di là del suo stop, ed io mi ritrovassi orizzontale e ammaccato. In attesa del tagliando alla mia meccanica e alla mia carrozzeria, ho avuto tempo da dedicare a me stesso e a ciò che si prestava come provvidenziale mezzo per non pensare alla situazione di immobilità fisica alla quale ero stato costretto, così ho liberato la mente e lasciato che quelle bozze di personaggi prendessero forma e vita, pur nella ristrettezza di un’ambientazione che volutamente rispecchiava quella in cui io stesso mi trovavo. Parole e pensieri tra le pareti di uno spazio chiuso, per ritrovarsi oltre le stesse, in aperta fantasia: il potere della scrittura, la magia di un testo teatrale.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Extension”, se non lo avesse scritto.
Gennaro Di Leo - Per la copertina, innanzitutto. Non credo di essere l’unico a cui capiti spesso di andare in libreria ed uscirne con un libro che non era sulla lista della spesa, ma che poi è finito tra le mani per l’irresistibile fascinazione esercitata dal titolo o, appunto, dalla sua veste editoriale. Devo quindi molto a Corrado Nocchi, che ha saputo interpretare il detto e il non detto, rappresentando il testo in un’immagine leggera e divertente, tra il cartone e il fumetto, con un divano a forma di labbra che campeggia nel mezzo e che dice della centralità della parola.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Gennaro Di Leo - Sono alle prese con il seguito del mio romanzo “Io e le Noir” (Ed. Il Ciliegio), il cui cantiere è aperto da un po’. E mi piacerebbe dare un seguito anche ad Extension. Purtroppo mi succede così: mi lego ai personaggi come alle persone, che sappiano dirmi qualcosa di vero.
Collana Gli Emersi - Narrativa
pp.80 €12.00
ISBN978-88-591-4421-2
Il libro è disponibile anche in versione e-book
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