| Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Scorci su giochi di regole”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Stefano Di Ubaldo - Il titolo del volume nasce da un'inversione applicata all'espressione “le regole del gioco”, avvenuta durante una conversazione con una mia cara amica alcuni anni fa. Il risultato mi piacque subito moltissimo per il capovolgimento di significato che accompagnava quello delle parole. Un “gioco di regole” mi apparve infatti come qualcosa che svelava la passività di chi, spesso suo malgrado, si adegua a come stanno le cose e sprigionava la forza attiva di chi, spesso senza accorgersene, si ritrova a immaginare “a come lasciare impronte nella sabbia delle clessidre”.
In questa espressione trovai condensato il mio sentire di giovane. Un giovane con pensieri ricchi di domande e con una crescente consapevolezza di dover affinare strumenti per provare a dare un contributo nelle risposte al futuro; nelle risposte che chi verrà dopo di noi andrà cercando per orientarsi in questa realtà; la realtà in cui noi decidiamo, agiamo, sogniamo e creiamo i nostri “giochi di regole”, che inevitabilmente tramanderemo ai posteri; posteri ai quali sarebbe opportuno tramandare anche queste libertà.
Il filo conduttore della raccolta è un bisogno di cura, che muove le mie domande e mi motiva ad alimentare riflessioni e cercare pratiche di risposta. I temi che ricorrono nei componimenti sono le relazioni, la solitudine, l'indifferenza, l'amore, l'intreccio tra vita, morte ed eternità, il silenzio, la sofferenza, l'ordine e la speranza. Tutto questo si snoda nel tentativo di rappresentare connessioni e collegamenti tra gomitoli di storie e impressioni, alla ricerca di una parziale cornice che ne favorisca l'espressione; la cornice di una narrazione che getti luce su alcuni “giochi di regole”.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Stefano Di Ubaldo - Leggendo questa domanda, mi sono sorte spontanee due diverse risposte, che possono sinteticamente rappresentare due delle forme che caratterizzano i componimenti della raccolta: l'ermetismo e la narrazione della mia identità in formazione. Le riporto, numerandole, qui sotto.
1) Cos'è la realtà? Quali e quante realtà contribuiamo a costruire? Cosa costruisce chi scrive?
Trovo che queste domande possano esaurire la risposta alla domanda; e subiscano, forse proprio per tale loro virtuosismo, la condanna di non avere una risposta per se stesse.
2) A mio parere, è molto difficile, se non impossibile, scrivere senza essere imbevuti nella realtà. Le esperienze che viviamo e le storie che costruiamo e custodiamo in memoria sono i propulsori del nostro pensiero, gli stimoli che innescano e orientano l'agire, gli spunti per l'elaborazione artistica. Alcuni componimenti della raccolta si riferiscono a mie personali esperienze, altri a riflessioni su esperienze altrui, altri ancora a commistioni e integrazioni tra le due precedenti tipologie. Ripensando soprattutto ai miei primi spontanei tentativi di scrittura, sorti per esigenze espressive che sentivo inappagate, prendo coscienza di come ciò che tracciavo su carta fosse uno slancio verso l'incontro tra diverse prospettive, tensioni apparentemente incompatibili. Realizzo oggi come la realtà mi insegni ogni giorno a riscoprire e rivedere i miei tentativi di integrazione, proponendomi l'evolversi delle tensioni e delle prospettive che mi rendono una persona partecipe della società e del mondo.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Stefano Di Ubaldo - Penso che questo mio libro voglia far resistere al tempo il mio sentire di adolescente e di giovane. Ricordo che qualche anno fa ascoltai un discorso dell'attuale Vescovo della Diocesi di Bergamo, Francesco Beschi, che di fronte alle spoglie di San Giovanni Bosco, ribadiva un messaggio che mi colpì molto: “la gioventù è santità”. Una metafora che articolò in vari punti, ma di cui purtroppo la mia memoria non tiene precisa traccia. Rimane tra i miei appunti la seguente spiegazione: come il santo impara e trasmette che, nel fare del bene, si possono oltrepassare certe norme e certe leggi, allo stesso modo il giovane apprende e comunica, con il suo agire, il potenziale superamento di ordini precostituiti. Entrambi questi attori sociali hanno in sé un'energia che guida e spinge al cambiamento.
Io sono convinto che serva dare il giusto valore ad ogni fase della propria esistenza e che, per farlo, occorra riconoscere le risorse e i limiti che ogni storia e ogni età portano con sé. Spesso si teme e, di conseguenza, si sottovaluta e si ostacola l'immenso potenziale che ogni giovane sviluppa nel momento in cui apprende ad approcciare le regole come un punto di partenza e non come un punto di arrivo. Capire che si può violare, “andare oltre” e “guardare dal di fuori” una regola è, a mio avviso, un passaggio evolutivo fondamentale per la crescita personale e sociale di ognuno; ancor più importante è però il concomitante passaggio che porta alla costruzione di norme nuove, modificando e superando quelle note, in un progressivo aggiustamento rispetto a fattori, forze e debolezze in gioco. Come indica il titolo del volume, questo libro vuole esprimere e tramandare degli “scorci su giochi di regole”.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro “Scorci su giochi di regole”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Stefano Di Ubaldo - Sicuramente alcuni episodi che oggi ricordo con favore sono quei primi momenti di scrittura liberatoria, in cui impugnavo una matita e tracciavo flussi di parole, per esprimere ciò che sentivo difficile da comunicare. Non seguivo consapevoli fili logici e spesso ne risultava un'accozzaglia di strane metafore. Rileggere oggi queste cose mi fa sorridere. Queste esperienze mi fecero realizzare come scrivere questi flussi di pensieri ed emozioni sprigionasse varie tensioni, che tendevo ad accumulare in me. La carta divenne una fedele confidente, con la quale non dovevo preoccuparmi di adottare uno specifico linguaggio o una particolare coerenza: le parole avevano la libertà di susseguirsi automaticamente, evocate l'una dall'altra, come se potessi dipanare dei grovigli di sensazioni, senza dover rispettare alcuna formalità comunicativa. Soddisfare questo bisogno espressivo mi portò presto a incuriosirmi rispetto al fenomeno: com'era possibile che scrivere queste cose mi facesse sentire più leggero, libero, vivo?
Questo avveniva all'incirca cinque anni fa, quando scoprivo un crescente interesse per la psicologia e divoravo romanzi che delineavano personaggi complessi, contraddittori, ambigui. Ricordo perciò con immensa gratitudine anche quelle lunghe ore di lettura, che hanno senza dubbio contribuito ad accrescere e alimentare il mio potenziale espressivo.
Non posso poi dimenticare i momenti di incontro, dialogo e condivisione, che hanno innescato relazioni di reciprocità e crescita con svariate persone. Nella loro interconnessione, sarebbe difficile isolarli e renderne conto in maniera esaustiva, ma voglio esprimere la mia più profonda gratitudine a tutti coloro che hanno contribuito e continuano a contribuire alle mie ispirazioni.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Stefano Di Ubaldo - Appartengo a quella categoria di persone a cui “Delitto e castigo” ha cambiato la vita. Forse qualcuno lo dice per darsi un tono; io posso assicurare di avere un'infinita riconoscenza per l'estremo valore che quest'opera rappresenta nella mia formazione. Prima dell'estate 2012, in cui decisi di esplorare gli scaffali della letteratura russa della biblioteca del mio paese, ero un lettore abbastanza pigro, tanto che spesso mi dovevo sforzare per terminare i libri consigliati dalla professoressa di italiano del Liceo. Allora, anche solo il fatto di entrare in una biblioteca era per me una rarità ed è stata forse la condizione di centrifugazione mentale post-maturità che mi ha spinto a curiosare tra libri che avevo soltanto sentito nominare. Sta di fatto che quel giorno del giugno 2012 tornai a casa con tre libri (“Delitto e castigo”, “Le anime morte” e “Anna Karenina”) senza un preciso motivo per averli scelti, se non il fatto che all'improvviso mi era venuta voglia di scoprire cosa fosse la letteratura russa (di cui non sapevo praticamente nulla) e che quei tre tomi mi sembravano abbastanza rappresentativi del campione a disposizione. Dopo alcuni iniziali tentennamenti (li iniziai e li abbandonai tutti dopo poche pagine), mi impuntai su “Delitto e castigo”. Ci misi un paio di mesi a terminarlo (nel frattempo riconsegnai gli altri libri, che ripresi solo più avanti) e ricordo che spesso mi fermavo a riflettere su alcuni passaggi e talvolta annotavo perfino alcune frasi che mi colpivano particolarmente (esperienza del tutto nuova per me durante la lettura di un libro). Insomma, scoprii che quello che Dostoevskij aveva scritto mi risuonava enormemente dentro e mi trasportava in un mondo di pensieri ed emozioni che mi facevano sentire un immenso bisogno di vitalità, di energia che volevo esprimere e condividere con il mondo.
Dopo questo “battesimo letterario”, mi immersi completamente nella lettura, utilizzando i tragitti quotidiani in treno, per recarmi in università a Milano, come tempo privilegiato per questa nuova passione.
Oltre a Dostoevskij, autori importanti nella mia formazione sono senza dubbio Tolstoj, Gogol', Schnitzler, Goethe, Melville, Kafka, Hesse e Musil. Più recentemente, con interessi che sono via via migrati verso autori contemporanei, riconosco in Bolaño il principale asse di rotazione del mio mondo di rappresentazioni. Oltre a lui, fonti di importanti riflessioni e spunti sono per me Houellbecq, Céline, Kertesz, Borges, Dürrenmatt e Schmitt.
Il fatto che, da un'assidua lettura di romanzi, sia nata in me una predilezione per la scrittura in forma poetica è un mistero altrettanto grande a quello che mi fece innamorare della letteratura. La mia lettura di testi poetici ha avuto un discreto esercizio con Rumi, Heine, Blake e Pessoa, ma sicuramente non ha avuto ancora modo di trovare il suo massimo splendore.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Stefano Di Ubaldo - Accanto al mio interesse per la letteratura, riconosco nella musica e nelle arti figurative altre passioni e fonti di ispirazione per la mia scrittura.
Per quanto riguarda il mondo della musica, riconosco tra i miei artisti preferiti cantautori come Caparezza, Battiato, Fabi, Whitey, Xavier Rudd, Bjork, Lera Lynn e gruppi come gli Eugenio in Via di Gioia, i Tv On The Radio e i Ministri, solo per citare alcuni nomi. Riconosco inoltre importante per la mia formazione l'ascolto di compositori come Chopin, Bach e Liszt.
Nelle arti figurative ho invece sviluppato una passione per correnti surrealiste. In particolare, ho tratto l'immagine raffigurata sulla copertina della mia raccolta dall'opera “Inside” di Tommy Ingberg, un fotografo artistico svedese che ho conosciuto per caso navigando in internet. Trovo che tra le sue opere e alcuni miei componimenti ci siano forti connessioni. Un altro artista che apprezzo particolarmente è M.C.Escher, per le geometrie creatrici di circoli e sequenze, che evidenziano relazioni tra elementi e oggetti nello spazio.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Stefano Di Ubaldo - Ho già indicato in una precedente risposta di come la mia lettura si concentri prevalentemente su romanzi e non su libri di poesia. Ho comunque scoperto che alcuni dei miei scrittori preferiti, tra cui Houellbecq e Bolaño, hanno una corposa produzione poetica alle spalle del loro successo da romanzieri. Uno dei miei obiettivi per le future letture sarà proprio quello di procedere con la lettura di queste loro raccolte poetiche.
Ho inoltre dedicato del tempo alla lettura di saggi e testi di filosofia. Tra i miei autori preferiti c'è senza dubbio Douglas Hofstadter, scienziato cognitivo americano appassionato, tra le altre, di tematiche come l'intelligenza artificiale, l'identità, il ragionamento umano e l'analogia. In particolare, intorno a questa ultima tematica si stanno concentrando i miei interessi attuali e il mio progetto di tesi di laurea. Raccogliendo materiale dalla letteratura scientifica, ho notato di come sia stato ampiamente trattato il rapporto tra analogia e metafora, facendomi riflettere rispetto a possibili progetti che integrino le mie passioni per la psicologia cognitiva e la poesia.
Per quanto riguarda la filosofia, autori per me importanti sono quelli che più si sono soffermati sulla questione dell'Altro, esponendola spesso in testi di critica sull'opera di Dostoevskij. Trovo molto interessanti le riflessioni e le teorie su questo tema di Girard, Lukacs, Rolland e Gide. Inoltre, di fondamentale importanza sono per me alcune opere di Levinas e Michel de Certau.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Stefano Di Ubaldo - Fatta eccezione per alcune rare esperienze di lettura di ebook, ho sempre preferito il tradizionale formato cartaceo.
Trovo che il formato digitale offra degli indubbi vantaggi in termini di reperibilità e costi, ma al contempo non favorisca quel “contatto” con il testo che ne facilita l'immersione. Ritengo infatti l'interazione con un libro cartaceo più diretta e sensorialmente ricca (in particolare per aspetti di tatto e olfatto), in grado di coinvolgere maggiormente il lettore. Anche il semplice atto di girare una pagina evidenzia, a mio avviso, la differenza di mediazione che questi diversi formati fanno esperire tra un proprio movimento intenzionale e il suo risultato: una mano che ruota un foglio di carta esprime un collegamento più diretto tra il gesto e il suo esito rispetto a un dito che preme un pulsante.
Inoltre, per questioni di deformazione professionale, ho associato la lettura in formato digitale a testi e articoli dai contenuti di carattere scientifico, orientati allo studio e ad una lettura finalizzata all'apprendimento di concetti e teorie; da ciò risulta che quando la mia lettura ricerca lo svago, mi trovo più a mio agio nel dare la priorità al formato cartaceo, a cui ho associato la lettura di piacere.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Stefano Di Ubaldo - Scrivere è per me un bisogno quotidiano, sorto senza alcuna finalità di raccogliere i miei componimenti in un libro. Durante varie discussioni con amici a cui feci leggere alcuni miei scritti, negavo addirittura la possibilità di pubblicarli. Li ritenevo, infatti, troppo personali e formalmente immaturi. In più, realizzavo che non tutto risultava chiaro e comprensibile alla lettura; non avrebbe avuto alcun senso divulgare ad un pubblico esteso cose scritte per un'esigenza puramente personale.
Tuttavia, con il tempo, la maturazione espressiva mi ha fatto intravedere le potenzialità di apertura e comunicazione che la poesia nascondeva: una trasmissione di esperienze e sensazioni che trovavano una forma che non privilegiava il contenuto informativo ma quello emotivo e, talvolta, volutamente metafisico, ottenuto attraverso giochi di parole e costruzioni di espressioni.
Per questo sento che la scrittura è stata per me una paziente maestra d'ascolto interiore, capace non solo di esplicitare e aiutarmi ad elaborare il valore del mio sentire, ma anche di non farmi chiudere nel mero esercizio di uno strumento, portandomi gradualmente a esporre senza timori ciò che emergeva dai suoi “insegnamenti”. Trovo che una buona sintesi di questo rapporto sia condensato in alcuni versi che ho scritto di recente:
Si può vivere
di poesia?
No,
ma senza
si può morire.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Scorci su giochi di regole”, se non lo avesse scritto.
Stefano Di Ubaldo - Premetto che, una volta varcata la soglia di una libreria o posati gli occhi su bancarelle di volumi usati, sono una persona pericolosamente dipendente dall'acquisto di libri. Sto migliorando con il tempo e ultimamente riesco sempre più a controllarmi, a meno che non incappi in qualche scoperta folgorante e inaspettata.
Le ragioni per cui, in generale, io acquisto un libro sono impressioni di qualche secondo, mentre ne sfoglio il contenuto. Cerco spesso di mediare queste fugaci sensazioni con conoscenze preliminari sull'autore, il genere o lo stile, ma essenzialmente ciò che porta alla mia decisione finale è il contatto che sento con l'opera nell'attimo.
Per questo, penso che comprerei il mio libro se riuscisse a trasmettermi in pochi istanti, quelli tanto significativi per Dostoevskij, il piacere e la bellezza di leggerlo.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Stefano Di Ubaldo - Devo ammettere che negli ultimi tempi, oltre alla produzione di nuovi componimenti, sto andando a “scavare” in vari appunti e note a margine di alcuni libri letti, per trarne spunti e rievocare riflessioni rimaste inevitabilmente sommerse sotto il peso delle scelte e delle situazioni che ne hanno portate alla luce altre. Proprio per questo, stavo pensando di raccogliere un domani il frutto di questo “elastico nel tempo”, intitolandolo “Da qui in avanti, un passo indietro”.
Collana Gli Emersi - Poesia
pp.80 €12.00
ISBN 978-88-591-4116-7
Il libro è disponibile anche in versione e-book
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