| Si può fare poesia dopo Aushwitz? In queste pagine si apre la sfida alla sentenza emessa da Th. W. Adorno nel 1966: “Dopo Auschwitz, nessuna poesia, nessuna forma d'arte, nessuna affermazione creatrice è più possibile. Il rapporto delle cose non può stabilirsi che in un terreno vago, in una specie di no man's land filosofica” (Dialettica negativa, Einaudi, Torino 2004, p. 326). È una sfida posta dall’Essere del mondo che, essendo storico, ci interpella e ci rapporta con il ri-vivere del passato. L’uomo è al centro di questo serpente che si morde la coda: il tempo; allora, non può che riportare nel presente ciò che è stato e raccontarlo. Come si può rendere dicibile l’olocausto? Ci prova l’autore di queste poesie, Nicola Lovecchio, giovane filosofo appassionato dell’indicibile, a dire ciò che non si potrebbe dire non avendo potuto vedere, secondo il divieto adorniano. Come? Dando voce ai morti, facendo parlare i “toccati” dall’olocausto. Rispondendo all’appello dell’es-sere che ci richiama alla voce dei defunti o ci fa ascoltare quella dei sopravvissuti, mediando con l’immaginazione i vissuti, in modo tale da completare la narrazione di un’esperienza di cui abbiamo bisogno, giacché ne sentiamo il vuoto, per la nostra empatia o per leggere la nostra storia di esseri umani. L’autore vuole fare uno sforzo in più del “linguaggio spezzato” di Paul Celan, evitando così di aggirare l’olocausto con un “non detto” che può angosciarci sul futuro del mondo, ma colpendolo in pieno, ri-vivendolo, creandoci delle storie, per poi voltare pagina. Si cerca di costruire un compendio storico-poetico dell’olocausto, il quale si snoda attraverso i concetti filosofici del tempo, del rapporto io-altro e il problema della fede che si rischiara nell’ultima poesia “Il sogno di un prete”, premiata tra l’altro come rappresentativa della collana poetica del libro “Premio Internazionale Salvatore Quasimodo”.
Collana Gli Emersi - Poesia
pp.60 €12.00
ISBN 978-88-591-4008-5
Il libro è disponibile anche in versione e-book
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