| “Ombre di una notte che non ha inizio al tramonto né fine all’alba”.
E la poetessa fa vibrare ogni parola della silloge, ogni immagine sembra staccarsi dal foglio e andare incontro al lettore mostrando la complessa duplicità della vita nell’alternarsi di vita e morte “sospinta da mani di luce”. Pina Rando in questo suo recentissimo lavoro accoglie il mistero del creato nella mirabile architettura del mondo che conosce nella meraviglia della rosa “l’abisso di voci/ barlumi nell’oscurità”, il dolore, la nostalgia e ne accoglie la dicotomia, il contrasto senza tentativi di conciliazione.
L’olio su tela di Piera Isgrò della copertina che non casualmente si titola “Dentro” in piena empatia con i versi della poetessa mostra due rose, guardano esse con occhio di fiore confuso nei petali che sfumano in chiaro e s’appoggiano quasi a cercare conforto ad una bordura scura, s’intravvedono anche qui i tratti di un volto antico di vita, storia e memoria. La fragilità della rosa ed insieme la forza di tornare a fiorire sempre mi sembra indicare la ricerca della parola poetica di percorrere il mondo e coglierlo nel silenzio, protezione quasi allo spaesamento che talvolta “impaura”. Silenzio sacro della terra dove uomini, animali e piante s’incontrano, procedono “verso l’indicibile/ a passi densi di silenzio/ nel vuoto dell’aria satura/ oscurità raggrumata” mentre “forme oscure dalla caverna continuano a disegnare per noi ignoti destini”.
Quando le assenze potrebbero diventare voragini abissali, Pina Rando rimanda al cuore l’infanzia, le figure che ne accompagnano il percorso, i sogni sfilacciati in nuvole tremanti che si disfano sulla battigia e torneranno dopo il tramontare del sole in quell’ora speciale in cui sembra che tutto il creato torni a rigenerarsi di nuovo.
Come la rosa.
Come la poesia. “Geometrie inaudite/ s’imprimono con carta carbone/ sul foglio bianco dell’anima/ Immobile ti fermi ad aspettare/ con gli occhi aperti/ come quelli dei morti/ mi nutro e mi disseto agli echi/ della voce inesausta del pensiero/ …/ della forma corrotta/ che anela alla luce/ ad arco piegata”. Arco, falce di luna e falce che recide sono termini che vengono a significare la polisemia della parola e oltre l’icasticità che le contraddistingue fondono reale e simbolico in una inconsueta contemporaneità di tempi come quando del temporale sembrano cogliersi i primi lampi, immediati arrivano quelli del cuore e il percorso conoscerà l’infinitezza di un piano, infinite rette nel percorso spesso sconosciuto della parola che ogni volta va rinominata per tornare alla sua verginale origine.
Acquieta il dolore lo sguardo di un “angelo”: “labbra dischiuse alla nuvola/ a colmare profondità/ di occhi di mare”. Tace e sosta vigile accanto alla “muraglia” di filo spinato, protegge sospiri e lacrime, rassegnazione e agonia “muore la parola/ col tempo del niente/ non muore il silenzio/ all’ombra delle rose/ tra profumi e veleni”.
La pietas conduce la parola poetica di Pina Rando ed è collante della raccolta che unisce un creato personale ed insieme altro, in una resurrezione ogni volta cercata in terra e altrove e mentre la linfa “sale per il legno/ doloroso al cielo puntato:/ è l’asse del Corpo arcano/ intelaiato su maglie di sangue./ Con passo di vento/ una spina il pettirosso/ sottrae all’agonia pietosa/ la rosa sboccia/ dall’ultima goccia/ s’inciela una rosa color sangue”.
Giuseppina Rando, Geometria della rosa
Aletti Editore, 2017, pp. 100, € 12,00
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