| Daniela Bottarelli, 30anni, di Bedizzole, laureata, svolgeva l'attività di educatrice in una comunità di malati terminali.
«Sembra una barzelletta - dice sorridendo dimostrando una volta di più il suo grande senso dell'umorismo - perché adesso mi trovo io in una situazione analoga, non proprio terminale ma sono in terapia per curare un cancro».
Domanda - Ma dove la trova tutta questa energia, questa forza di reazione?
«Sono così adesso ma quando mi è capitato addosso il primo problema ero in uno stato d'animo un po' diverso. Faccio di tutto per evitare l'etichetta di malata, faccio anche di più di quello che dovrei, cose che mi piacciono, che mi sfiancano anche. Se chi mi conosce nota un calo della mia iper attività di stupisce e preoccupa un po'. E tra le tante attività che ho incrementato durante il periodo della malattia c'è sicuramente quella della scrittura. Ho sempre scritto ma venendo meno la totale mobilità ho cominciato a scaricare i moduli di tutti i concorsi letterari e a scrivere di tutto per occupare il tempo mandando in giro il mio materiale; poi ho avuto la fortuna di pubblicare un paio di #libri, di vincere un po' di concorsi e mi sono organizzata per creare un evento di presentazione dei miei libri che diventa occasione per raccontare la mia storia in mezzo alla gente. E pensare che non amo in maniera particolare parlare, stare in mezzo alla gente. Invece ho visto che riesco a fare anche questo e mi piace organizzare serate dove racconto di me. Non è uno spettacolo teatrale perché racconto di me, non so come definire la mia proposta. È una situazione in cui leggo le mie #poesie, mi prendo un po' in giro, per quanto si possa prendere in giro un cancro, parlo di me e non della malattia perché non è la malattia che deve essere sotto i riflettori e quando vado in giro sento di dare un po' di scosse, reiventandomi ogni volta. non ho scaletta, o meglio, magari la preparo ma poi quando sono davanti al pubblico faccio altro ed è bello anche se sono in luoghi piccoli, davanti a poche persone».
Domanda - Non è la solita presentazione editoriale dunque...
«No, è come se presentassi un viaggio, un'esperienza in cui, in parte, ogni persona si può vedere, racconto delle mie reazioni rispetto a certe cose, di come la scrittura mi abbia aiutato e voglio far vedere come l'impossibile sia possibile. Il mio medico dice che devo stare a riposo, che non devo esagerare e io rispondo che riposerò quando sarò morta e se devo morire preferirei mi venisse un attacco quando sono sul palco.
Se un giorno peggiorerò e se non riuscirò ad avere la completa mobilità, come è già successo, mi sposterò in carrozzina. Non è il cancro che mi spaventa ma le limitazioni di movimento che può provocare. La cosa più importante è che io possa fare tutto. Anche se alla fine sono distrutta fisicamente, sono contenta e mi sento più viva. E non mi propongo mai per esempio nelle giornate dedicate alla malattia o ai malati perché i malati non hanno bisogno di ascoltare la mia esperienza perché la conoscono già, credo sia più importante per le persone sane ascoltare la mia storia. E i libri sono la prova che si può "fare", si possono anche scrivere libri».
Domanda - Ha dato un titolo alle serate?
«Sì, "Andando verso... un nuovo viaggio insieme a te"».
Domanda - Poesia e #letteratura gialla mi sembrano due mondi un po' diversi. Conviene con me?
«Effettivamente sono un po' Dr.Jekyll e Mr.Hyde, da una parte vivo una serie di emozioni che potrei definire poetiche ma dall'altra c'è una incazzatura patogena e nel mio libro giallo racconto proprio la rabbia. Il cancro fa schifo, se avessi potuto scegliere avrei scelto di essere sana. Ma non è rabbia per la malattia in sé, piuttosto la rabbia di non potermi alzare, di non poter "fare". Quando pesavo 39 chili mi era stato detto che non avrei più camminato e fu devastante. Ma le 300 pagine del giallo le ho scritte proprio in quel periodo. O ti fai prendere dalla depressione o cerchi un modo per reagire».
Domanda - Lei che tipo di giallista è?
«Faccio salti spazio-temporali e adoro lavorare sulla psicologia dei protagonisti. La trama è gialla ma c'è comunque un sotto testo ricco di personaggi particolari e mi piace molto il fatto che la protagonista del mio romanzo abbia una voce che le permette di dialogare con se stessa, una voce guida, un sesto senso. Mi piace curare nei minimi particolari i dettagli degli ambienti, #DanieleBottini mi dice che ho una scrittura cinematografica. Mi piace che il #lettore non abbia modo di immaginarsi una via o una stanza diverse da quelle che descrivo nel libro, mi piace l'idea che sia completamente immerso negli spazio che io ho immaginato, come io li ho immaginati».
(Articolo pubblicato sul Montichiari week, di venerdì 24 febbraio)
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