| Alessio Merigo (l'autore)
Sarebbe facile iniziare la descrizione di Alessio Merigo partendo dai numerosi incarichi di responsabilità e di prestigio che ricopre, e da molti anni, nel settore dell’economia e del terziario. Il punto è che Alessio è “anche”, e verrebbe da dire a volte “soprattutto”, uno scrittore, nel senso pieno della parola.
Ha all’attivo ormai sette romanzi, pubblicati con diversi editori – “Il Villaggio della Gente che sorride”, “La Mesa Roja”, “Sulle tracce di Everett Ruess”, “Al bar della gloria”, “Sangue di toro”, “La profezia della Casa di Ghiaccio” e, ora, “I segreti dell’Horseshoe Canyon” – dove a fare da minimo comune denominatore (con un’unica, almeno apparente, eccezione col romanzo “Sangue di toro”) è la passione per gli spazi interminati dell’Ovest americano e l’interesse per la cultura dei nativi di quei luoghi, uniti ad una non celata volontà di fare “ammenda” dello scempio compiuto dall’uomo bianco nei confronti delle tradizioni degli indiani d’America. Certo, suggestioni che nascono dalla sua formazione antropologica e sociologica, ma, ancor più, che sono coltivate concretamente dall’autore, viaggiatore instancabile ed esploratore in condizioni “estreme” delle selvagge praterie della frontiera nord-americana. Quasi una sorta di moderno Ulisse, che si pone in cammino alla ricerca tanto del mistero che risiede nella natura incontaminata quanto delle più profonde pieghe dell’animo umano, Merigo compie con la sua ultima fatica letteraria quel “nostos” vagheggiato fin dall’inizio, il “rientro a casa” che completa l’ideale cerchio dei suoi itinerari.
Il lavoro sulla scrittura si fa sempre più affinato e complesso, pur rimanendo il suo stile lineare e piacevolmente scorrevole (spesso ammantato di qualche coloritura di “giallo”): un approccio che lascia al lettore la possibilità di letture polisemantiche dell’opera e di intraprendere, a propria volta, un personale viaggio alla scoperta di sé.
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Il libro
“I Segreti dell’Horseshoe Canyon” (Aletti Editore) è il quarto racconto della saga di Harvey Duke che segue “Il Villaggio della Gente che Sorride”, “La Mesa Roja” e “Sulle Tracce di Everett Ruess”. Ancora il finanziere e docente americano è protagonista di una nuova avventura, assieme all’inseparabile amico Lakota Vento Nei Capelli; ancora una volta chiamato a fronteggiare un dramma che incombe, col suo potenziale di morte, sugli abitanti della riserva Navajo, situata a cavallo fra l’Arizona e il New Mexico.
Le indecifrabili raffigurazioni precolombiane della Great Gallery nell’Horseshoe Canyon (Utah) fanno da sfondo ad un enigma che mette a dura prova il professore e chi lo accompagna. Nel tentativo di sciogliere la matassa di una serie efferata di omicidi, perpetrati nel nome di una misteriosa setta che gli Ute chiamano i “Guardiani della Luce” e che è attiva fin dai tempi degli Anasazi (gli Antichi in lingua Navajo), Harvey viene quasi guidato dallo spirito del compianto padre Navajo Lunghi Orecchini, presenza/assenza fortemente palpabile nella narrazione.
Il racconto si popola via via di una serie di personaggi, alcuni memorabili, come Marcus, l’erede spirituale di Lunghi Orecchini, icastico e inafferrabile. Mentre la parola “Koyaanisqatsi”, trovata scritta sopra la nicchia dello slot canyon, appare foriera di molti e dolorosi eventi, che in questa nuova avventura porteranno il protagonista a misurarsi fino al limite delle sue stesse facoltà. Il monito che risuona da quell’oscura incisione sembra essere rivolto al genere umano, che nel suo dissennato procedere ha imboccato la via della distruzione dell’ambiente e quindi della sua stessa autodistruzione.
Svelare quale sia il disegno coltivato dalla Confraternita assassina, che si tramanda nel nome di Masaw - il Creatore e Distruttore, è il compito più arduo che Harvey Duke abbia mai affrontato. Anche perché il male, a volte banalmente, endemicamente, si annida dentro di noi.
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