| Musee Orsay - Il dott. Gachet: psichiatra
Jaspers: schizofrenia. Identificazione con il medico: fratello nella malinconia. Nessun lettore della corrispondenza di Van Gogh ha potuto sbagliarsi. Egli è "tanto scoraggiato", scrive a proposito del dottore, "nel suo mestiere di medico di campagna quanto lo sono io nella mia pittura". O ancora: è colpito da un "male nervoso", "almeno così grave quanto il mio". Ho trovato nel dottor Gachet proprio un amico e quasi un nuovo fratello, tanto ci rassomigliamo fisicamente, e anche moralmente. Anche lui è molto nervoso e parecchio bizzarro. Van Gogh vedeva in lui "un volto irrigidito dal dispiacere". Scrive a Gaugin: ...qualcosa come il suo Cristo all’Orto degli Ulivi, non destinato ad essere compreso
“Ognuno ha una favola dentro, che non riesce a leggere da solo.
Ha bisogno di qualcuno che con la meraviglia e l’incanto negli occhi... la legga e gliela racconti…” P. Neruda da: Versi e prose in piena libertà.
“Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati”
“Dove andiamo?”
“Non lo so ma dobbiamo andare” Jack Keruac
Un tempo era più facile capire; c’era la buona letteratura e c’era la cattiva letteratura. Oggi c’è falsa e buona letteratura. Quasi tutti scrivono bene, qualcuno anche benissimo, ma sono senz’anima. Opere costruite. Narrativa contemporanea: Il nulla dell’esistenzialismo, l’espressione di una società che vive il momento; non sa niente del passato e non si pone il problema dell’avvenire. Tutta la storia della letteratura è composta da una semplice e sublime sostanza: la comunicazione dei sentimenti, delle emozioni. Tutto ciò che piace al mondo è breve segno: vita, eros, tanatos… sono forse solo un sogno? Deve fare più paura la morte o forse l’eternità? Forse ha un senso l’ignoranza: l’ignoranza procurata!
Perché la poesia che sembrava luminosamente avviata all'estinzione sta tornando in modo prepotente?
"La poesia non parte e non torna, c'è. Perché come dice Cocteau, è indispensabile. Non so se è cresciuto l'interesse per la poesia, ma se sì, forse è anche merito del livello scadente di molta narrativa".
Poesia: Linguaggio dell’inconscio
Nel 1946 “La Fiera letteraria”, a distanza di pochi mesi, ospitò due importanti interventi dedicati a psicoanalisi e poesia. Il primo, per mano nientemeno che di Benedetto Croce, era una lettera di poche pagine, di sostanziale chiusura nei confronti delle pretese novità e originalità del “freudismo” soprattutto in ambito filosofico. Il secondo era la risposta, molto dettagliata ed articolata, di un poeta molto particolare della lirica del novecento come Umberto Saba, mai schierato con le correnti e delle mode poetiche dell’epoca, soprattutto con la moda ermetica in quanto usava dire che la poesia deve fare “chiarezza”, che invece alla psicoanalisi (e non solo come terapia) credeva e teneva molto. Ben sappiamo che alla base delle resistenze, insieme alla pesante ipoteca della Chiesa Cattolica, ebbe un ruolo determinante l’egemonia del pensiero idealistico di Croce e Gentile. Croce sulla incompatibilità che esiste tra psicoanalisi e poesia ebbe a dire, nel 1903, in una recensione ad un testo di Freud: “...l’abisso che si apre tra il sogno e l’arte..”. Mentre Saba, riportando una citazione di Freud, diceva: “...parlate il meno possibile di psicanalisi agli ignari”!
Da quel tempo di acqua ne è passata sotto i ponti!
Esiste un particolare legame tra la psicologia, che è la scienza che analizza l’attività umana, e la poesia che ne è una delle più alte ed efficaci espressioni. Arte e scienza sono entrambe impegnate ad intuire, ed a conoscere, l’essenza del mondo e le sue leggi. E’ stato proprio Freud ad utilizzare un metodo scientifico per entrare nel funzionamento dei processi creativi. Anche arte e nevrosi hanno qualcosa in comune. Entrambe attingono energia dall’inconscio; luogo dove non esiste ancora la distinzione tra reale e fantastico. Questa dualità segna tanto il percorso psichico del nevrotico quanto quello dell’artista.
A differenziare poi sono i processi di trasformazione: in un caso si ha il sintomo (disturbo senza senso e per di più anche fastidioso), nell’altro l’opera d’arte (simbolo vero di qualcosa di misterioso e sicuramente più appagante).
Essere poeta significa, soprattutto, far risonare dentro le parole, la parola primordiale, rianimata dal processo creativo. La poesia ha la possibilità, come l’inconscio, di “dire” l’ ”indicibile”. Poco o niente, invece, la psicologia può dire sull’essenza della poesia, che compete alla sfera estetico-artistico. Tuttavia, spesso essa si è lasciata tentare nel rintracciare, nell’opera, i complessi personali dell’autore. Con la consapevolezza, tuttavia, che l’opera d’arte, non essendo una nevrosi, si realizza quanto più si allontana dal dato biografico. Con Jung affermiamo che “la causalità personale ha, con l’opera d’arte, la medesima relazione che ha il terreno con la pianta che gli cresce sopra”. Solo immergendosi nella mitologia inconscia il poeta raggiunge una pienezza di senso che va oltre la singolarità fino a coinvolgere l’intera umanità. Allorquando l’inconscio diventa esperienza, sposandosi con la coscienza del tempo, l’atto creativo rivela qualcosa dell’epoca della quale si manifesta.
Aperto alla forze dell’inconscio, il poeta, per essere in grado di accedere al simbolico, deve in un primo tempo separare il reale dal fantastico. Il lavoro della trasformazione che porta al simbolo, avviene nel pre-conscio, luogo di passaggio tra l’inconscio ed il conscio. Il pre-conscio preserva i contenuti dell’inconscio, ed il linguaggio, che lì staziona ed attende, sa e non sa; per potersi enunciare nella forma accettata si avvale delle funzioni del processo secondario, che trasforma i contenuti inconsci in parola. Il preconscio è un commutatore psichico che conserva le tracce delle sue prime esperienze costitutive. Esso è il luogo delle iscrizioni del linguaggio. Ogni parola che nasce è una apertura all’ignoto. La scrittura mette in scena il noto e l’ignoto. La creazione si realizza, quando una parte del non detto comincia ad emergere.
Il rapporto tra la poesia e la parola in psicoanalisi è un tema complesso, difficile ma molto interessante. La psichiatria cerca un linguaggio che guarisca, la poesia cerca il linguaggio che, avvertito come mio, è permeato di una specie di calore e di intimità; che grazie alla sua specifica attenzione al mondo interno, al pari di una relazione terapeutica condivide la possibilità di operare una decostruzione e ricostruzione che è affettiva prima ancora che cognitiva, capace di arrivare ad un nuovo incontro tra realtà esterna e mondo interno (rappresentato da pulsioni, affetti, fantasie, desideri, sogni, relazioni interiorizzate, conflitti e quant’altro).
Il gioco simbolico è un linguaggio particolare; è una forma di attività mentale che trasforma sia gli oggetti sia le parole del mondo esterno nei pensieri e nelle parole del mondo interiore e personale. Il piacere del gioco simbolico che mi consente di personalizzare il mio rapporto con il mondo immettendo in esso la mia soggettività.
Come terapeuta, il rapporto tra la parola della poesia e le parole della psicoanalisi, non mi interessano come possibilità per esplorare l’inconscio, bensì mi appassiona la possibilità della psicoanalisi di usare parole poetiche che contribuiscono, nell’ambito di un rapporto speciale, qual è il rapporto tra terapeuta e paziente, a far venire alla luce il gioco simbolico e ad aumentare l’illuminazione quando il gioco simbolico rimane in penombra.
E’ necessità per il terapeuta di creare una atmosfera di connessione con un’altra persona che permette al gioco simbolico di venire alla luce che è necessario per la nascita di una vita interiore e per giungere alla sensazione di essere vivi. E’ questo dunque il primo compito di un terapeuta. Il piacere del gioco simbolico è legato alla capacità di consentire di personalizzare il rapporto con il mondo immettendo in esso la propria soggettività. E’ una possibilità inusuale quella che dona la poesia in questi tempi concreti in cui efficacia, efficienza sono valori assoluti. Quando un poeta nomina un oggetto, quell’oggetto lo rappresenta, diviene importante e significativo, acquista vitalità anche se si tratta di una cosa morta: si pensi ad esempio agli “ossi di seppia” di Montale.
Nella esperienza attuale, la poesia si trova in presenza di molteplici condensazioni che sfociano nel simbolo. E’ come una materia che libera per intero la sua potenza. Attraverso questa sensibilità che si esprime con la frase, il verso, passa dalla parola comune alla parola poetica, la ricerca della parola giusta, della forma adeguata, diventa inseparabile dalla ricerca più profonda, interiore che troviamo nelle grandi esperienze poetiche del nostro tempo.
Il legame che la poesia ha con il “sogno” e la realtà, è una relazione intima, la capacità immaginativa di tipo creativo è in se stessa un’esperienza poetica, il senso metaforico e simbolico dell’esistenza è un fatto poetico. Le metafore e i sogni ad occhi aperti completano la dimensione onirica della vita dell’individuo.
La quotidianità trova nella poesia una nuova dimensione che rende visibile ciò che la routine nasconde, soffoca, rende opaco. Il poeta mirerebbe a stringere un nodo indissolubile tra sogno e realtà, vuole creare o ri-creare “un immaginario della natura”. L’aspetto simbolico del sogno ricorda quello della poesia e anche del mito.
Il sogno lo possiamo trovare rappresentato nella poesia: entrambi soddisfano un desiderio rimosso, entrambi permettono all’essere umano di esprimere in modo simbolico la propria emotività ed interiorità. Per capire le ragioni di un poeta, credo basti osservare il suo impegno nel cercare di riparare e ricostruire quello che è stato in lui danneggiato. E’ quindi presente, in lui, un dolore soverchiante, senza nome, che spinge per essere trasformato in parola e lo induce a cercare nell’ignoto una dimensione nascosta: l’inconscio. La parola poetica diviene ponte che ci collega al dolore.
Le parole che sorgono sanno di noi ciò che noi ignoriamo di loro.
Ogni parola che nasce è una apertura all’ignoto. La scrittura mette in scena il noto e l’ignoto. La creazione si realizza quando una parte del non detto comincia ad emergere. Così, si inventa il proprio passato nel racconto, coprendo e rivelando. Il lavoro creativo mobilizza una violenza che a suo tempo non ha trovato parole per essere detta. La poesia rispetta la grammatica dell’inconscio: nello spazio creativo esperienze, ancora balbettanti, si possono articolare fino a diventare comunicazione. L’opera d’arte rappresenta la forma più elevata dell’esigenza di trasformare. Come dice Baudelaire: “il poeta, come il danzatore, deve spezzasi mille volte in segreto le ossa prima di presentarsi un pubblico".
Cos’è che rende una parola poetica?
Possiamo intendere che la parola poetica è simbolica. Il simbolo rimanda ad una assenza. Un piatto di spaghetti senza vongole diventa un piatto “spaghetti alle vongole scappate”, produzione simbolica questa, che è una operazione poetica, è “presenza fatta dalla assenza” (J. Lacan).
In psicoanalisi, così come in poesia, vengono fornite sempre e solo parole, cioè simboli – simbolo che rimanda ad una assenza.
Psicoanalisi e poesia sono entrambe impegnate nel darci la possibilità di esistere attorno al sentimento della mancanza. Forse solo quando l’individuo è un neonato che succhia il latte dal seno della madre amorevole, tutti i bisogni sono soddisfatti, in seguito le soddisfazione dei bisogni prima e dei desideri poi saranno sempre parziali. M. Klein ha teorizzato che la creatività nasce a partire da vissuti depressivi di mancanza e dalla accettazione di questi. In tale ambito teoretico si è differenziata la trasformazione creativa dall’operazione perversa che tende ad evitare il dolore e l’accettazione del limite portando falsificazioni estetizzanti della realtà.
Il rimando concettuale è, innanzi tutto, all’ “area transizionale” come l’area del gioco dove soggettivo e oggettivo si incontrano consentendo la creatività. Area che si forma dall’incontro del bambino con una madre sufficientemente buona. E’ da questo incontro che scaturisce la possibilità di un dialogo tra mondo interno e realtà esterna. Scrive Winnicot che la creatività “è una sorta di colorazione dell’intero atteggiamento verso la realtà esterna”. “La creatività consiste nel mantenere nel corso della vita, qualcosa che appartiene all’esperienza infantile: la capacità di creare il mondo”. Immettere la propria soggettività nel mondo, ricrearlo senza però perdere il rapporto con la realtà condivisa, insomma senza delirare.
Delirio e poesia si escludono reciprocamente, dove ci sono metafore e similitudini non c’è delirio.
Al rapporto imitativo con la realtà attinge la poesia.
Durante il gioco simbolico il bambino prende le cose del mondo che non sono le sue e le trasforma... La foglia in una barca, il bastone in un uomo, la pietra in un mostro. Nel gioco dunque gli oggetti alieni del mondo vengono trasformati in cose che vengono avvertite come mie.
“Tutti mi dicono che non esisti. Tu esisti nel mio desiderio”.
La parola creatività evoca immediatamente l’attività dell’artista e la forza creatrice è sostanziale per la funzione della immaginazione. Immaginazione creatrice come “estratto concentrato delle forze vive tanto fisiche che psichiche” che ben fa comprendere la necessità della completa partecipazione dell’artista, e del poeta, alla sua opera, consentendo, una volta conosciuti dalla coscienza i contenuti sconosciuti inconsci, di aprire le porte del mondo interno (quello emotivo) verso il mondo esterno (la realtà concreta che ci circonda).
Non sono in grado di fornire una definizione esaustiva dell’aggettivo “poetico”. Posso affermare che il linguaggio poetico cerca l’incontro tra immaginazione, sensorialità e significato.
E’ alle figure retoriche che la poesia ricorre per prendere forma ed arrivare al cuore.
La metafora comporta un trasferimento di significato nel campo semantico, quindi consente di parlare degli affetti senza imprigionarli subito con parole troppo oggettive o scontate.
La metafora, ugualmente, è largamente in analisi. La metafora terapeutica può divenire una “chiave” che consente di comprendere e cambiare la vita del paziente. Freud ci dice: “l’inconscio si rivela per simboli o metafore e la psicoanalisi per entrare in contatto con l’inconscio cerca di usare il linguaggio metaforico”.
La metafora in psicoanalisi non può certo essere “ermetica” e deve riproporre al paziente elementi che appartengono a lui ed alla relazione paziente/analista, evitano una colonizzazione della mente del primo componente della coppia analitica con parole che esprimono solo la creatività del secondo. Un paziente riferisce al suo analista vissuti depressivi rispetto ai quali gli sembra che l’analisi possa fare ben poco, l’analista gli dice: “restiamo al freddo… insieme”. Il paziente si sente scaldato dal freddo calore di questa frase metaforica che esprime la disponibilità del terapeuta a condividere i sentimenti depressivi e la sua capacità di tollerarli. Freddo/calore e “presenza fatta da assenza” sono ossimori, figura retorica che, accostando termini opposti, consente di dare forma con potenza espressiva e con immediatezza a sentimenti contrastanti.
La parola poetica stabilisce accostamenti, collegamenti, correlazioni tra pensiero, affettività, sensorialità, tra diverse percezioni e rappresentazioni del reale, tra affetti contrastanti….
Ulteriori figure retoriche condivise sono la similitudine, ossia il creare associazioni di idee: “si sta come da autunno sugli alberi le foglie” (G. Ungaretti). La funzione poetica in analisi credo sia spesso veicolata dalla capacità di proporre similitudini in grado di risuonare nel paziente. Così come ancora la sinestesia, che consiste nell'accostamento di termini che appartengono a sfere sensoriali diverse; “io venni in loco d’ogni luce muto” (Dante Alighieri)
Quindi c'è un legame tra psicoanalisi e poesia?
"Stando ai 'ruoli', l'analista ascolta e il poeta parla. Ma quello che unisce le due figure è la ricerca di una verità personale, propria o dell'altro. La ricerca dell'idioma, dell'origine di sé".
Il poeta crea una struttura di finzione che ha a che fare con la verità, lo psicoanalista risponde con un silenzio che pure ha a che fare con la verità; anche se la prima è la verità del mondo che si rivela come realtà delle cose e la seconda è la stessa verità disseminata nelle infinite verità soggettive.
Questo silenzio e questa finzione in forma di parole possono armonizzarsi, intendersi e dialogare al fine di costituire un luogo in cui abitare e vivere? Nel costante marchio di impossibilità e di esilio che segna la nostra esistenza, dove la lingua, il sesso, la morte costituiscono l'impronta non storicizzabile, può la poesia essere considerata la lettera muta che convoca tutte le parole? Se quella convocazione esiste, allora pensare poeticamente è forse nominare un luogo, creare una topologia in cui sia possibile tracciare la mappa di un'eventuale cura?
La lettura del testo poetico non dice gran che al lettore di ciò che dell'autore è più proprio; la cura analitica, dal canto suo, a volte si infrange su un impossibile a dire che rappresenta la roccia insuperabile di cui già Freud aveva parlato. Ma si può dire che in entrambi i movimenti si è creato un contatto con la verità? E che tale contatto rimarrà nella carne come un'iscrizione illeggibile da leggere e rileggere all'infinito?
Per concludere, esiste un luogo in cui poesia e psicoanalisi convergono? Esiste un luogo di vivibilità indicato da quelle due sorelle, se possiamo dire che sono sorelle nel linguaggio? Frequentarle, e quindi abitare la lingua in modo diverso e sempre nuovo, può rendere la vita abitabile? Una risposta a questi interrogativi li ha formidabilmente dati Alda Merini.
“La follia è la sorella sfortunata della poesia”.
Entrambe, infatti, sono caratterizzate da due grandi emozioni: l’angoscia e la malinconia. Esiste una follia come guscio vuoto ma anche una follia ove può ancora vivere una creatività emozionale. Esiste una malinconia come stato d’animo, che porta in un altrove ove avviene la trasfigurazione lirica, oppure come sofferenza psichica, più profonda e radicale. Proprio da queste dolorose esperienze e alte tensioni emozionali, artisti e poeti, attingono la Stimmung. Basti ritornare ancora alla maestosità poetica di Alda Merini.
Poi alla fine non c’è altro modo per dire amore o dolore con appassionato, in cancellato distacco se non chiudendo quei sentimenti del corpo e della mente in pochi versi, brevi come aforismi: quei versi che aiutano a guardare il mondo e a contenere il dolore.
E’ un Io che crea, costruisce e trasforma, quello del poeta.
Esiste una creatività alleata della follia, che tende ad esprimere dimensioni diverse da quelle che comunemente si abitano e ad espandere orizzonti. Scriveva Karl Jaspers: “Lo spirito creativo dell’artista, pur condizionato dall’evolversi di una malattia, è al di là dell’opposizione tra normale e anormale e può essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dalla malattia della conchiglia. Come non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla, così di fronte alla forza vitale dell’opera non pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita.” Nelle esperienze artistiche trovano espressione l’angoscia e la malinconia psicotica e non psicotica: la condizione esistenziale di noi tutti vi scopre un riflesso, una sua descrizione, che la psichiatria fenomenologica raccoglie, per offrirla a chi vuole conoscere quanto è nascosto nell’anima. Ognuno di noi è, infatti, impegnato ad armonizzare le dissonanze tra il mondo della ragione e quello delle emozioni. I poeti sono “i più arrischiati”, ricordava il filosofo tedesco Martin Heidegger, i più vicini agli scenari della follia dove la condizione umana è descritta fino ai limiti estremi, fino al desiderio di una morte volontaria come sigillo della perdita di ogni speranza. “Noi siamo un colloquio” diceva il poeta tedesco Friedrich Hölderlin e il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein: “I confini del mio linguaggio significano i confini del mio mondo”. La psichiatria, dunque, afferma Borgna, va intesa come ricerca infinita di orizzonti di senso e come riflessione ininterrotta sul dolore, sulla speranza, sulla inquietudine agostiniana e pascaliana del cuore. Da questo argomentare emerge il grande tema della fragilità umana che la sofferenza e la malattia dilatano, riconoscendola come una delle strutture portanti dell’esistenza ove si annida il mistero del vivere e del morire. E’ necessario, dichiarava William Shakespeare, in Macbeth, “dare parole al vostro dolore altrimenti il vostro cuore si spezza”.
Non ci sono altre strade per essere se stessi, al di là della professione che in qualche modo parla di noi, oltre le parole quotidiane, che raggiungerne altre, segrete, nel tentativo di arrivare alla verità profonda di sé.
La relazione intima che la Poesia ha con il sogno e la realtà intuita dai poeti romantici francesi e dai simbolisti – Baudelaire, Rimbaud, Verlaine.. – ha disvelato la capacità immaginativa di tipo creativo che è in se stessa poetica. Il senso metaforico e simbolico dell’esistenza è un fatto poetico. Le metafore e i sogni ad occhi aperti completano la dimensione onirica della vita dell’individuo.
“Il sogno e la reverie, aspetto oniroide dell’esistenza, sono sempre stati parte integrante del quotidiano dei poeti”. Resnik, 2002
Sogno immaginario e creatività sono tre aspetti grandiosi dell’esistenza psichica dell’individuo, del suo mondo interno in relazione al mondo esterno. La Poesia può essere un modo per rappresentare tutto ciò e di fatto lo fa. Così intesa essa gioca un ruolo importante in relazione alla psicoanalisi. In tale solco si inserisce il Surrealismo, movimento artistico e letterario in cui il sogno e l’inconscio avevano un ruolo fondamentale e per cui il pensiero è privo di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, è al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale, aprendo le porte ad una nuova modalità di fare poesia, in cui si riconosce che l’inconscio non emerge soltanto durante i sogni ma anche quando siamo svegli e ci porta a conoscenza dei mille mondi situati all’interno del mondo dell’uomo, senza più una divisa una uniforme, ma con emozioni e sfumature che hanno a che fare con un abisso doloroso dentro di sé. L’uomo moderno ha scoperto l’inconscio e la sua struttura, vi ha visto l’impulso dell’eroe e l’impulso della morte legati insieme. Prova delle emozioni profonde e vive i conflitti poiché è vivo! Con il Surrealismo, movimento che ebbe come principale teorico il poeta Andrè Breton, l'attività poetica si identifica con la ricerca dell'assoluto; essa, così, gioca un ruolo importante in relazione alla psicoanalisi.
La quotidianità trova nella poesia una nuova dimensione che rende visibile ciò che la routine nasconde, soffoca, rende opaco. Il poeta mirerebbe a stringere un nodo indissolubile tra sogno e realtà; egli vuole creare o ri-creare un “immaginario della natura”. L’aspetto simbolico del sogno ricorda quello della poesia ed anche del mito. Sogno e poesia entrambi soddisfano un desiderio rimosso; entrambi permettono all’essere umano di esprimere in modo simbolico la propria emotività ed interiorità. Per capire le ragioni di un poeta, credo basti osservare il suo impegno nel cercare di riparare e ricostruire quello che è stato in lui danneggiato. E’ quindi presente in lui un dolore soverchiante senza nome che spinge per essere trasformato in parola e lo induce a cercare nell’ignoto una dimensione nascosta: l’inconscio. La parola poetica diviene ponte che ci collega al dolore. Per questo motivo la poesia va di pari passo con la psicoterapia: portare alla luce un sentimento d’assenza oppure un trauma subito. Ma anche altre realtà: le profonde lacerazioni, le ferite sociali oltre che personali. Una delle “ragioni” di un poeta è anche quella di raccontare all’uomo la sua storia e le sue radici: fungere da memoria emotiva di gioie e di dolori.
L’uomo ha il potere della metamorfosi; l’uomo, tramite la poesia, può scoprire e trasformare nuove dimensioni, nuove realtà. Le parole evocano ciò che rappresentano, ciò che può non esistere o essere lontano nel tempo e nello spazio. L’uomo possiede una sorta di dono magico che gli permette di rappresentare e creare delle metamorfosi. “E’ il dono per cui la parola ci riconduce, nella sua oscura origine e nella sua oscura portata, al mistero, lasciandolo tuttavia inconoscibile; è come essa fosse sorta, si diceva, per opporsi, in un certo senso, al mistero”.
E’ un Io che crea, costruisce e trasforma, quello del poeta.
C’è da riflettere sulla pratica artigiana del fare che lega la poesia, (da póiesis, creazione compiuta), e la psicanalisi, che racconta la realtà, in un lento lavoro di costruzione: in questo fare si attua un insediamento di senso, che viene compreso proprio attraverso questo viaggio esperienziale interiore. Per confermare questa affermazione, va data lettura dell’intensa poesia Itaca di Kostantinos Kavafis: l’isola è una metafora. È la meta di un viaggio lungo il quale è possibile prendere coscienza della condizione umana, affermando l’autonomia della coscienza e la libertà di determinarsi: una parabola positiva sull'acquisizione della consapevolezza; gli dèi, che ostacolavano il cammino, rappresentano solo le intime resistenze che l’uomo oppone alla sua crescita, comportando, le trasformazioni, sempre grande sofferenza.
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti
Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Secondo Kavafis, il viaggio deve essere ricco di esperienze, non va affrettato e l’arrivo non deve essere prematuro. E’ meglio arrivare a Itaca quando si è maturi, anche se non è la meta, bensì il viaggio che conta, perché è il viaggio che permette di accrescere conoscenze ed esperienze. Inoltre, bisogna arrivarvi già pieni di ricchezze morali ed anche materiali, e non attenderci che Itaca ce ne offra altre o che ci faccia diventare ricchi. L’isola, infatti, quale meta apparente del viaggio, in realtà ci fornisce la motivazione e lo stimolo a viaggiare per conoscere ed apprendere. Itaca ti ha permesso il viaggio per farti intendere quello che persino lei stessa non avrebbe potuto darti. Itaca è il territorio dove dipanare la matassa delle nostre esperienze di vita per tesaurizzarle e rielaborarle; è quell’angolo remoto che facilita la concentrazione e permette di rivivere il viaggio e l’esperienza; non è un luogo fatto per i consumatori, bensì per i valorizzatori dell’esistenza.
Questa ricerca d’identità, che si fa specchio della poesia, è sempre attraversata dalla cognizione del dolore: nella creazione della forma letteraria, infatti, si rinarra il dolore. E’ così possibile ritrovare quella narrazione identitaria in cui ci si riconosce: è il grande aiuto che offre il poeta. Lo sviluppo dell’io, della coscienza di sé, è un percorso in divenire che può essere sostenuto, quindi, da altri settori della conoscenza per incontrare la speranza.
Quanto si può dire su poesia e psicanalisi non è, mai, una definizione esatta, ma sempre una narrazione, una metafora: nel concreto c’è l’operatività artigianale della poesia e della psicanalisi. La sua riflessione si è mossa sul riconoscimento che la vita ha un limite insuperabile. Anche il cammino mistico non è avvicinamento a Dio per raggiungerlo, ma, piuttosto, un cammino di spoliazione. E’ la scoperta dell’inaccessibilità. La consapevolezza della condizione umana è, dunque, segnata dalla perdita. La psicanalisi fa esperienza dell’irriducibilità dell’inconscio. La maggior parte delle attività sono finalizzate a separare la vita dalla morte ma sono intrecciate anche forza e fragilità, splendore e caducità.
Poesia e psicanalisi impongono, entrambe, di riempire un vuoto. Margherita Guidacci, una delle voci liriche femminili più intense del Novecento, ha forse messo in discussione questa idea ne "Il vuoto e le forme" (1977) scrivendo, in modo pirandelliano, che il vuoto si difende/non vuole una forma che lo torturi. Secondo la poetessa il vuoto è quanto di più irriducibile rimane nella nostra stessa vita, e la forma è l'approdo a cui tende la vita, ma è anche la sua gabbia, la sua maschera e la sua tortura. Ma poi la stessa poetessa afferma che c'è più vuoto che forma se la forma è una possibilità che non si è concretizzata. Ma ha affilato una perfetta volontà introspettiva, ha scavato sulla condizione emotiva dell'essere umano intuendo che l'uomo è radicato, e allo stesso tempo trasceso, dentro le maglie di una realtà chiusa e sfuggente (Guidacci, 2010).
“È impossibile conoscere gli uomini senza conoscere la forza delle parole”. Freud ne era certo, tant’è che conferì proprio ad esse un doppio potere: liberare l’immaginario ed estendere il dominio del visibile. Conquista friabile, perché l’inconscio è nascosto così come l’essere dei filosofi. Ma se le parole lo riscattassero? Lucciole d’orientamento, esse vivono nella notte che incombe. Freud ne era certo, tant’è che intese l’inconscio come linguaggio e costruì un’ermeneutica che affinò per tutta la vita. La psicoanalisi divenne così chiave di lettura del mondo.
La poesia era, d’altra parte, l’unica strada per riannodare i fili di una esistenza plurima. Erano gli anni ‘60. Rino Mele aveva poco più di vent’anni e già meditava la poesia come docile arma di racconto pulsionale (im)possibile, adesione al vero sentire, all’estetica della lettera per dirla con Lacan. Un grande gioco, la poesia per Mele, proprio come la intese Freud. Gioco che non si oppone alla serietà, ma contraddice la realtà, aderendo alla fantasia infantile che, della realtà, è surrogato equivoco prossimo e speculare. E sull’ala battagliera del verso, qualcosa rinasce nell’armonia di un’imperitura infanzia: è un miracolo non della psicoanalisi ma della grande poesia.
Con questa raccolta di poesie,"Parole in giuoco", il nostro poeta, Alfredo Guarino, ha affilato una perfetta volontà introspettiva, ha scavato sulla condizione emotiva dell’essere umano intuendo che l’uomo è radicato e allo stesso tempo trasceso, dentro le maglie di una realtà chiusa e sfuggente. Con Guidacci ci dice: "...non ho scelto di fare il poeta. Lo sono stato perché questa è la mia natura… la poesia non è un atto di volontà, è un atto di vita e, come la vita, contiene in sé motivazioni e gioia sufficienti”.
Dico subito che questo è un libro di poesie di Alfredo, particolarmente toccante, che mi è “capitato” di leggere in questi ultimi tempi; anzi di gustare e assaporare, lasciando che i versi scendessero e nutrissero anche i luoghi di risonanza più umili e nascosti, che sono poi quelli che testimoniano la nostra umanità, suscitano le nostre più autentiche emozioni, rivelano le nostre ferite ed emanano la nostra luce.
I volti, le voci, i gesti, i comportamenti ci scorrono davanti agli occhi come fossimo noi stessi dentro il “posto”. Ciascuna “scheggia di vita” si imprime anche in noi, incide in qualche pulsante angolo del nostro cuore una traccia, magari minima ma persistente, un segno che ci terrà per sempre compagnia.
Quando l’attenzione è “realmente attesa a ciò che non esiste” (parole di Simone Weil citate in esergo) il cuore sa far spazio a ciò che manca, rinvigorisce la memoria
Questa è una splendida dichiarazione di poetica che si attaglia perfettamente alla lettura del testo di Alfredo e al contempo realizza viva creazione di immagini, cascata di fotogrammi che ci propongono dei film paralleli, sovrapposti, ricchi di molteplici suggestioni ma con parole semplici, empatiche, direi affettuose. C’è una immedesimazione sincera e profonda di vita in ogni pagina di questa raccolta. Quanta forza e quanta delicatezza sa esprimere, impregnata di letture e di saggezza, ferita ma fiduciosa, occhio vigile e discreto, mano disponibile all’aiuto, volto che non dimentica il sorriso, anima provata ma capace di dilatarsi e accogliere e convertire «la ferita in cammino».
Ci indica con amorevole dolcezza un senso buono che tutti abbiamo e che tutti possiamo contribuire fraternamente a costruire, e di cui c’è assoluto bisogno in questa temperie confusa fra terrore e indifferenza, connessione continua e individualismo, latitanza delle classi privilegiate e sconvolgenti disuguaglianze.
Ciò che spicca è il confronto doloroso, a tratti tragico, di due realtà: una quotidianità aurorale, intima, annidata fra i profumi, odori (ma non solo) che la “riportano a galla”, la quale si incastra e stipa nella dubbiosità presente con cui, inevitabilmente, stride. Questo confronto, o meglio, questa sovrapposizione, è la scena poetica in cui si diramano le ombre, cifra della maturità di questa raccolta, che increspano e perturbano l’apparente quiete della rievocazione.
L’autore non può esorcizzare il presente abbandonandosi a una malinconia confortante e testimonia più di altri lo straniamento dell’individuo. Il poeta è costretto, dunque, a confrontarsi (e confrontare) con quel suo passato particolare annidato negli odori, nella sabbia, nel vento (ma non solo) inscritto in un presente in cui talvolta fatica a riconoscersi ed attecchire.
Si addensa così un dialogo narrativo da cui emerge un circolo tematico, sentimentale, esistenziale che si frantuma e rinnova costantemente nel variare di flash di quotidiana visività, i quali rappresentano un paesaggio interiore ed esteriore, presentando così, in questo libro, la sarchiatura del territorio poetico fatta dal tempo.
Questo immaginario diventa, tra le altre cose, sottile scena di una certa miseria umana, la cui denuncia rimane sempre dolorosamente soffusa, ma non per questo meno penetrante.
Questa raccolta è quasi il diario intimo di una persona che sa coltivare l'attenzione agli altri: incontri, sguardi, accadimenti, stupori, sofferenze, fatiche, gioie, gesti gratuiti… emergono con semplicità, accuratezza e pudore (poeticamente ermetico) testimoniando della fiduciosa e aperta capacità di ascolto e decodifica, di un Senso ricco di amore che sta sopra, sotto, davanti, dietro e accanto ai nostri passi così come intenso è anche il rapporto con i sensi, la natura, il creato tutto.
Titolo: Parole in giuoco
Autore: Alfredo Guarino
Editore: Aletti
Collana: Gli emersi poesia
Anno edizione: 2016
Pagine: 88 p.
Ebook epub € 4,99
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