| Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Il passaggio di Jake”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Giulia Moretti - Il titolo fa riferimento al tema più ricorrente della narrazione che è quello della transizione, di un passaggio, inteso sia in modo figurato che concreto. Passaggio come crescita, cambiamento: il personaggio di Jake all’inizio della storia è ancora un bambino, ingenuo e spensierato, mentre la serie di avventure e disavventure che deve affrontare lo conducono a una maturità diversa, non si tratta di uno sviluppo anagrafico o intellettivo, ma più di una crescita sentimentale, una maggior consapevolezza di sé e del mondo circostante. Il passaggio fa anche riferimento alla condizione del personaggio femminile, Denise, che, incastrata in una sorta di limbo al limite tra due mondi opposti ma complementari, ha l’obiettivo di “passare oltre”, di raggiungere un equilibrio nuovo seppur sconosciuto. Anche i “luoghi” della storia sono una metafora di questo tema, come la porta o il fosso, tema che poi si lega con il successivo, ancora più forte, che è quello del confine tra realtà e immaginazione. Quella continua lotta che probabilmente tutti gli uomini affrontano, più o meno celatamente secondo l’età, quella necessità di trasformare i propri sogni in realtà, quella voglia di lasciarsi prendere dal fascino dell’impossibile, per poi ritrovarsi, inesorabilmente, in una realtà di cui non si è mai soddisfatti. I protagonisti della storia affrontano una transizione e una lotta, ma il tutto è filtrato attraverso lo sguardo e i sentimenti di Jake, ecco perché non Denise o un altro personaggio, ma “Il passaggio di Jake”.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Giulia Moretti - La realtà ha inciso soprattutto nella costruzione dei personaggi, in particolare, quando ho ideato personaggi come Pete, Kevin o Sahara, mi sono ispirata a persone conosciute casualmente nella vita reale. Ho preferito ispirarmi a persone di cui sapevo poco o che conoscevo solo di vista perché sono quelle sulle quali si può immaginare di più, si possono fare libere congetture sul loro carattere e la loro personalità, semplicemente basandosi sui lineamenti del viso, sul colore degli occhi, i capelli, su semplici gesti forse anche insignificanti, ma a cui l’immaginazione può dare svariate interpretazioni. Molte ambientazioni della storia, in particolare le strade del paese in cui Jake vive e i paesaggi, nascono come combinazione di diversi luoghi in cui ho accumulato esperienze e ricordi di vario genere. Un esempio, la strada che Jake percorre più volte da casa sua, al campo da calcio, fino al dirupo, è una ricostruzione immaginaria di uno scorcio del paesino dell’Italia meridionale in cui vado in vacanza ogni anno.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Giulia Moretti - La stesura del libro è stata un modo per fissare quei pensieri, quelle idee, che la mente coglie quasi casualmente nel corso delle giornate. Le riflessioni che facciamo ogni volta che scopriamo qualcosa di nuovo, che ci stupisce, corrono veloci lungo il filo dei nostri pensieri, crescono e si evolvono fino a sfuggirci. Ho cercato di fermare questo flusso e dargli forma, di concretizzarlo, inserendo il frutto di piccole ispirazioni quotidiane nelle conversazioni e nelle riflessioni dei personaggi del mio libro. La crescita di Jake è quindi stata la mia, il romanzo non ha la presunzione di custodire un insegnamento eterno e universale, ma racconta una storia sincera, seppur fantastica, con la speranza che forse qualcuno leggendola, un giorno, possa riconoscere in essa idee ed emozioni nuove, o rispolverare quelle dimenticate.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro “Il passaggio di Jake”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Giulia Moretti - Scrivere “Il passaggio di Jake” è stata un’esperienza di crescita che ha cambiato molte cose di me, ricordo bene il giorno in cui ho iniziato “la mia storia”, dovevo ancora compiere 14 anni come Jake, ho avuto l’idea grazie a un rumore a casa di mia nonna al quale non riuscivo a dare una spiegazione, e da lì ho iniziato a lavorare di fantasia. Dopo le prime due pagine mi sentivo già come se avessi appena terminato La Divina Commedia, e mi viene da ridere ripensandoci, perché adesso rileggendole, sono consapevole del fatto che chiunque avrebbe potuto fare di meglio. In ogni caso, non ho mai voluto perfezionarle, per me hanno un valore affettivo che nessuna correzione lessicale e linguistica dovrà mai alterare, sono una rappresentazione di me stessa in quel momento, e modificarle dopo tre anni sarebbe come mentire. Uno degli eventi che mi ha lasciato senza parole è stato quando, poco tempo fa, attraverso i social ho saputo di una ragazza che ha letto il libro e lo ha consigliato dicendo che le era piaciuto molto, incredula le ho chiesto direttamente se era davvero così, e lo era, non me lo aspettavo, mi ha reso davvero molto felice; il fatto che sia arrivato anche solo a una persona è per me un’enorme gioia e soddisfazione.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Giulia Moretti - Da piccolina ero innamorata di Roald Dahl, rappresentava il mondo dei bambini proprio come lo volevo, fatto di menti sveglie, ricche di fantasia e coraggio, ma era come se a ogni storia cercasse di dirti anche che il pericolo era in agguato e che la cosa più magica e gioiosa, poteva rivelarsi, in realtà, rischiosa. Mi piacevano le sue storie ricche d’immaginazione e creatività, storie che però non illudevano, dove ognuno pagava le conseguenze delle proprie azioni, nel bene o nel male. Proprio leggendo le pagine di “Matilde” o de “La magica medicina” mi è venuta voglia di provare a inventare storie e poi scrivere. Al liceo, la lettura intensa di “Stagioni Diverse” di Stephen King, probabilmente affrontata troppo prematuramente, mi ha trasmesso emozioni tanto forti quasi da riuscirlo a sentire fisicamente, e le notti insonni a riflettere e rimuginare su quello che avevo appena letto, mi sono servite per analizzare le emozioni, le paure, le gioie, le più svariate condizioni dell’animo.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Giulia Moretti - Non so se sia giusto dire che la mia scrittura sia stata influenzata dalle mie preferenze artistiche, forse lo è stata inconsciamente, dato che quel che artisticamente ci piace determina sostanzialmente il nostro carattere. Adoro le rappresentazioni Romantiche, ricche di pathos ed espressività quasi teatrale, credo che il loro potenziale comunicativo sia uno dei più forti. Ma sono anche piena di contraddizioni, mi incantano le atmosfere inquietanti e di attesa delle opere di De Chirico.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Giulia Moretti - Non ho preferenze per nessun genere in particolare, diciamo che attraverso delle fasi dovute a quello che sto vivendo in quel preciso momento. Subito dopo le scuole medie ho attraversato quella che io chiamo “la fase horror”, ma ormai sazia del brivido, sono andata alla ricerca di qualcosa di diverso. Allora mi sono gettata sul drammatico, ma mai troppo romantico, ho provato ad affezionarmi a un genere, ma ho capito che quello che davvero mi appassiona di un libro è la purezza e l’onestà dei sentimenti che trasmette. Quando sono veri, sentiti, quando non sono costruiti, ma vanno direttamente dall’animo di chi scrive a quello di chi legge.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Giulia Moretti - Ho sempre amato il tradizionale libro cartaceo, quando leggo, tendo a considerare il libro come una specie di scatola magica che posso aprire ed esplorare in qualsiasi momento, sensazione che il digitale non mi trasmette perché i dispositivi elettronici “possono fare milioni di altre cose” oltre a fungere da libro, e questo mi distrae da una lettura più profonda. Inoltre spesso instauro con il libro un rapporto quasi simbiotico, alcuni dei miei libri sono rovinati semplicemente perché sfogavo su di essi le emozioni che mi trasmettevano. Riconosco comunque l’utilità e la praticità del digitale, in particolare perché evita il consumo di carta (spesso eccessivo).
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Giulia Moretti - All’inizio è stata un’attività del tutto spontanea, non ero una perfezionista quindi buttavo giù i pensieri appena mi venivano in mente, liberamente, senza preoccuparmi che forse prima o poi qualcuno li avrebbe letti. Poi c’è stato un momento di “pausa” durato circa un anno, non mi ritenevo in grado di completare l’opera e mi ero convinta che fosse stata solo una stupida illusione infantile. Poi mi sono resa conto che avevo una storia in sospeso e che, bella o brutta che fosse, avevo bisogno di terminarla, di chiuderla, per dargli un senso, anche solo per me stessa. Le ultime settimane di scrittura sono state le più intense, ero completamente travolta, come se non vedessi l’ora di sapere come andava a finire, nonostante fossi io stessa a decidere gli eventi. Ricordo che per concentrarmi immaginavo una specie di energia che nasceva dallo stomaco per poi risalire alle spalle e dirigersi verso la punta delle dita, e da lì sarebbe stata trasmessa agli animi dei miei personaggi. Col tempo sono anche diventata più severa con me stessa, correggevo e rileggevo di continuo gli stessi passi perché non mi soddisfacevano, ma alla fine, nonostante i mille dubbi, ho trovato il coraggio di ammettere che la mia storia era finita.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Il passaggio di Jake”se non lo avesse scritto.
Giulia Moretti - Difficile rispondere, ogni volta che acquistiamo un libro, cerchiamo di farci convincere dalla copertina, da un estratto sul retro, da una recensione o un commento, ma, in definitiva, si tratta di una scommessa. Spesso leggiamo libri solo per la fama degli autori, considerandola una specie di garanzia, ma qualunque libro può deludere come entusiasmare. Perché comprare il libro di una scrittrice esordiente semisconosciuta? Forse per curiosità, per ottimismo, o addirittura per caso. Iniziare a leggere un libro qualunque significa dargli una possibilità, avere il coraggio di scommetterci sopra, consapevoli che non necessariamente sarà come ce lo aspettavamo.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene un’anticipazione?
Giulia Moretti - Non ho in mente alcun soggetto in particolare per ora, ma, considerata la gioia e la soddisfazione che mi ha procurato scrivere, credo che tornerò a farlo presto. Ora mi trovo in una fase della vita completamente inesplorata, ho appena iniziato l’università e ho bisogno di trovare un nuovo equilibrio per cimentarmi in un progetto comunque impegnativo.
Autore: Giulia Moretti
Titolo: Il passaggio di Jake
Editore: Aletti
Collana Gli Emersi - Narrativa
pp.268 €14.00
ISBN 978-88-591-3428-2
Il libro è disponibile anche in versione e-book
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