| Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Anima migrante”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Ludovica Croce - Il titolo di un’opera è certamente un invito ammiccante, è forse la cosa più complessa. Si può partire dal titolo, così come lo si può scegliere a cosa fatta. Io l’ho scelto durante. Il testo tratta un argomento che non posso svelare nello specifico, renderei semplice la conclusione al prossimo lettore… Fondamentalmente "Anima migrante" ricalca quanto le persone riescano a cambiare e quanto la nostra “moderna” realtà ne favorisca le molteplici facce. C’è quel che conviene fare o dire, chi ci vuole in una maniera e chi nell’altra, chi si lascia plasmare dal gruppo, chi vuole apparire e si distorce, chi invidia e si ammala. Di personalità definite se ne incontra poco più della metà. Non è saggio credere di conoscere le persone, potrebbero essere peggiori del nostro giudizio migliore e viceversa. Un concetto trito e ritrito in cui si continua ad inciampare! Questo a prescindere dal disegno del romanzo, più basato sulla deformità psichica ed apparentemente improbabile.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Ludovica Croce - Ho scritto "Anima migrante" da trentenne e per anni ho pensato di averlo fatto solo perché incitata da mia madre. Avevo due romanzi alle spalle e deciso di fermarmi, soprattutto per delusioni editoriali. Mi convinse a riprendere in un periodo molto particolare della mia vita, era certa che mi avrebbe aiutato. Così, io che – da una parte ero arrabbiata con gli editori e dall’altra mi rammaricavo di non saper scrivere racconti – decisi di mettermi alla prova con un romanzo breve. Chiamai col mio nome la protagonista per praticità, con l’idea di cambiarlo a cosa finita. Poi lo lasciai. Oggi, guardando da lontano la scrittrice, vedo in quel personaggio un po’ di lei, la sua delusione di allora, sentimentale, affettiva e personale. La scrittura ha un pregio impagabile, tra gli altri: quello di farti “vendicare” il dolore, magari strapazzando qualcuno che si nasconde tra le figure… La trama è, naturalmente, di pura fantasia, anche perché alquanto surreale.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Ludovica Croce - Forse proprio la scrittura. Il testo è un giallo, un noir, una lettura veloce. Difficile rimanga un che di importante, non ne ha il compito. A mio avviso, però, è ben scritto. Ha una trama americana in stile più ricercato, per quanto possibile. Nulla a che fare con gli altri miei romanzi, entrambi di diverso spessore. Questo mio terzo “figlio” è quello più piccolo, diciamo così.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro “Anima migrante”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Ludovica Croce - Chiunque abbia letto i miei lavori ne ha notato la descrittività piuttosto minuziosa, la possibilità di vivere la scena, il momento, il gesto, lo sguardo. Nello specifico, essendo un romanzo breve ma ricco di vicende, ho dovuto “tradire” un po’ la mia maniera per mancanza di… spazio. Isolerei il ritratto di Virginia, per esempio, e comunque tutti i passi che raccontano i tormenti delle mie donne. Sono propri della natura femminile, tanto complessa quanto affascinante. Ciascuna lettrice potrebbe trovare qualcosa di sé in qualcuna delle protagoniste, e – perché no - qualche uomo potrebbe avvicinarsi di più alla controparte.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Ludovica Croce - Ho iniziato a leggere relativamente tardi. Avevo 16 anni quando mi si aprì un mondo, non solo tra le mani: "Il ritratto di Dorian Gray". Lo lessi almeno quattro volte di seguito e ne rimasi incantata. Da lì tutto quanto scritto da Wilde, un genio, a mio giudizio. Contemporaneamente scoprii Virginia Woolf, di lei ho amato – e amo – lo stile perfetto, una cesellatrice. Quando, in una delle recensioni fatte a "Il Sabba delle maschere" (il mio primo lavoro), un noto uomo di cultura anglo-americana, Tommaso Pisanti, vi trovò un certo accostamento… beh, credo d’aver ricevuto il miglior complimento possibile. Eppure non ho mai letto un libro della Woolf, fatta eccezione di "Mrs Dalloway". Per il resto ne ho letto sprazzi, pagine. Come romanziera non la preferisco, come scrittrice è fantastica. Nessuno ha mai saputo animare le parole come lei, riempirle così tanto di suggestioni, analogie e di poesia.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Ludovica Croce - Indubbiamente la musica e la cinematografia. Non scrivo, e nemmeno leggo, senza ascoltare musica. Un film mi ha ispirato "Anima migrante". Inoltre Klimt, sì. Non perdo occasione di citare i miei artisti preferiti nei romanzi.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Ludovica Croce - Non amo la scrittura contemporanea, sono rimasta al novecento. Oggi leggo solo per intrattenimento, altrimenti pesco nella mia vecchia libreria. Se poi parliamo di noir, che ho sempre amato e piega che ho preso più massicciamente anche nei miei ultimi scritti, assolutamente Carlo Lucarelli.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Ludovica Croce - Beh, per quanto riconosca alla tecnologia dei grossi meriti, anche per la divulgazione delle opere, preferisco la carta odorosa di stampa…
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Ludovica Croce - Nel caso di questo romanzo, un po’ atipico. Dopo uno ambientato nei primi del novecento in Inghilterra e un altro nel fine anni settanta in Catalogna, ho dovuto commisurarmi con una scrittura che funzionasse su di una trama contemporanea nel nostro Paese. Per me, che ho cominciato a scrivere a 18 anni e fresca di studi decadenti, è stata una piccola sfida. E ne sono contenta, il risultato mi sembra apprezzabile. Oggi sono un’abbondante quarantenne e ho una scrittura completamente dissimile. Del resto i miei libri sono come una mano sfortunata a ramino, tutte carte spaiate, in ogni senso!
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Anima migrante” se non lo avesse scritto.
Ludovica Croce - Lo consiglierei a chi vuol rimanere sospeso fino al finale, a chi preferisce una lettura intrigante, con la giusta suspense in una lunghezza non esasperata e noiosa. Così mi ha riferito chi lo ha letto e lo ha trovato avvincente, con un finale sorprendente. Il lettore è sovrano e io voglio credergli.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Ludovica Croce - Dopo la meritata presentazione che dovrò a questo romanzo, penserò alla pubblicazione de "I segreti del Tago", un libro che, io stessa, rileggo sempre volentieri. Per il resto ne sto scrivendo un quarto, "Manalonga". Mi sono lasciata incantare dai racconti dei miei nonni circa antiche figure fantastiche ed inquietanti, proprie del folklore del Sud: le janare. Il prologo del romanzo descrive l’uccisione di una “strega” e parte dal Medioevo per arrivare al 1930-40. Diciamo che, tra i quattro, è quello più nero. Noir sarebbe un modo troppo gentile per descriverlo…
Collana Gli Emersi - Narrativa
pp.108 €12.00
ISBN 978-88-591-3456-5
Il libro è disponibile anche in versione e-book
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