| La moltitudine di Atti che intraprendiamo o subiamo nella vita si ripercuote sui Postumi devastanti e devastati pensieri troppo reali; da essi nasce il Dubbio, ideologico fardello quotidiano, condanna o redenzione dell'uomo. Questi concetti concepiscono il poeta, leggiadra goccia mattutina in balia del sole della società che lo fa evaporare. Atti e Postumi è la vita di Mattia Favaro suddivisa tra amicizie ed eccessi esistenziali, inverni senza fine, la notte che strazia l'amore e l'inizio di una favola poco libera e mai chiara. Questa sua prima raccolta nasce dalla moltitudine di esperienze che lo sbattono sempre più nel caos della vita che lo circonda, ad esse non riesce a dare una risposta se non nella sua Notte che forse, ormai, l'ha rinnegato. Versa, quindi, i propri calici colmi di dubbi, incertezze e malesseri esistenziali in questi brevi fogli, sperando di trovarne la vera essenza dalla quale trarne l'unico giusto, vero succo dell'esistenza.
Il mio volere non rammenta l'esistenza dei ricordi di una vita nel vuoto dell'abisso di questo universo. Quattro mura luminose ci proteggono dal buio che noi soli conosciamo, dietro questa porta, sopra questo letto due spiriti si scrutano cercando l'un l'altro un pezzo di sé stessi. Luminosa e poco chiara la via e lui è là con loro, la musica intreccia gli animi, la poesia tesse la vita e il reticolo che ne risulta è un altro. Persi in un'immensa autostrada, rete di desideri che stordisce e confonde come il traffico nell'ora di punta, in attesa di un passaggio, o forse del momento giusto per accendere il motore e per volare là, su nuvole d'asfalto, nel luogo che nessuno conosce e dove tutti sognano d'arrivare. E i brividi assediano l'io che striscia a piedi nudi su quel divino poligono di tiro che solo voi mi fate amare in questo modo; oh Genio! Ti rapirò prima della fine, mi realizzerai. Essere, solo per questa sensazione ne vale la pena, per sentirmi scorrere come fluido denso nell'inchiostro della penna e tra le note del sax. Tutto questo è lasciare andare la tensione di questa vita e le sue pene, come quando si liberano i polmoni dopo aver trattenuto il respiro per tanto, troppo tempo, il quale continua a mangiare inesorabile tutto ciò che esiste e ciò che non esiste e mai troverà forma, solo perché non mi è dato a sapere. Moloch non sapeva, Ginsberg non sapeva eppure ha distrutto il muro temporale dell'esistenza che ci divora ogni giorno di più senza che ci rendiamo esattamente conto di cosa voglia dire, ma, purtroppo o per fortuna, ne abbiamo la consapevolezza. Divorati dal cratere nel mondo, caduti per centinaia di chilometri ci risvegliamo dall'incubo che c'ha marchiato a fuoco; seduti alla stazione presso il binario “x”, in attesa del treno giusto, sappiamo che arriverà, ci passerà davanti ad una velocità di almeno centottanta chilometri orari, e allora sentiremo il capostazione: “Salti in corsa chi ha il coraggio, o chi ha visto i propri sogni, - tutti tranne uno, quello giusto -, spaccarsi come bicchieri di cristallo ai piedi di quella bambina capricciosa e malinconica che siamo soliti amare”. E come dargli torto, in fin dei conti sarebbe magnifico saltare nel vuoto di un treno che viaggia a 180 km/h, ma l'angoscia e l'insicurezza ritornano sempre, anche dopo il paradiso.
D.
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