| Recensione a cura di Flavia Buldrini
Queste liriche spaziano dall’indefinito poetico al trascendente sublime, proiettando tutto ciò che si vive in una dimensione ulteriore. Ogni significato, così, s’investe di una valenza simbolica che evoca una verità nascosta, ciò che è “oltre”, appunto, di là dall’apparenza e dalla convenzione: “Nel senso doloroso della solitudine / e disattese aspettative, il mio sguardo va oltre. / Una dimensione immanente e totale / senza orpelli o liturgie di rito / dove è dolce riconoscermi e ritrovarmi / con i miei limiti e punti di forza. / Va oltre al logoro qui e ora… / Va col pensiero a condensar l’essenza, / l’ineffabile e il non- detto. / (…) Continuo via vai di sole, nuvole, tepore e freddo / in un altalenare d’accendermi e spegnermi / e poi riaccendermi finché c’è vita.” (Gemme invisibili). È un po’ come la siepe di leopardiana memoria, che costituisce il limite visibile da superare con la fantasia, per cui “io nel pensier mi fingo”: “Sorvolando onde in burrasca oltre il bagliore del sole / che si specchia sull’acqua volano i pellicani… / all’orizzonte una linea scura a limitare l’oltre / che pare finito al mio sguardo. / Ma non si ferma nei pensieri l’oltre e / le stesse onde s’accorgono e indietreggiando / lasciano spazio alla sabbia dorata e bagnata come / a fare da cuscino al luccichio d’oro che le riflette. / Vanno oltre i profumi di un inverno che lasciano / spazio al loro mondo incontaminato. / Vanno oltre i pensieri che si accontentano / dei ricordi di una stagione di vita…” (Oltre…).
Tutto è oltre: “Tutto è oltre… oltre l’inverno… / oltre è quando l’involucro della vita / si sta riducendo a poco più di un prestito… / oltre è un ricordo avvolto di magia nella nebbia del non-risolto… /oltre è un tramonto infuocato sfumato nella nostalgia del / rimpianto… / (…) oltre è l’impalpabile e sottile sipario della nostra vita / di quelli che scendono sulla scena di un teatro.” (Oltre).
Affascinante è questo notturno, tradizionale ispirazione di tanti illustri poeti, da Foscolo (“Forse perché della fatal quïete / tu sei l’imago / a me sì cara vieni / o sera!” a Leopardi (“Vaghe stelle dell’orsa…”): “È un’altra notte… / le nuvole sono addossate le une alle altre / come se confabulassero… / basterebbe forse che alzassi un braccio per toccarle… / le montagne in lontananza sono coperte di neve / e quelle più vicine hanno ognuna una sfumatura diversa / come una sequenza di sipari… / e ci sono anche un miliardo di stelle bianche e sussiegose / che pare facciano a gara a chi è più brillante… / il tutto in un irriconoscibile subbuglio. / La luna, languida, silenziosa e pallida, / solitaria vagabonda in cielo… / fidata e tranquilla è complice di teneri amanti… / soddisfatta e vanitosa crea luce quando il cielo è scuro… / primadonna osannata, diva del firmamento, / ispira canzoni e poesie…” (Un’altra notte…). È il momento più propizio per ridestare l’estro artistico: “In quest’ora del notturno / che smatassa inafferrabili presenze, / risillabo pensieri, certezze dissepolte / e capricciosi dubbi nello specchio / del mio tempo.” (Notturno). La notte è anche metafora del buio che cala sulla vita, il sipario che si chiude sul teatro iridescente delle illusioni e dei desideri: “Nella solitudine di questi giorni d’inverno / nell’ultima luce indecisa, il crepuscolo / non sarà il rossore del giorno che si sente / colpevole di tutto ciò che è stato o non è stato? / Viene la notte con gli occhi bendati / e cieca cade fuori dai muri… / è così fredda, così ampia… / È una notte ignota quella che scivola / sui pochi anni che ancora scorreranno. / Il calore di una vita già indossata, / di questa vita rosicchiata dal tempo / dove ho già speso molte delle sue monete e / nel lampo del suo vissuto si sta riducendo / a poco più d’un prestito, / cedo arresa rabbia e rancore / nel segreto entusiasmo di essere stata…” (Viene la notte). Allude al mistero indecifrabile che adombra la vita: “E poi la luna…è come se si mettesse in posa per uno scatto… / Luna nuova, piena, falce di luna… / Se anche lei ha un’anima, perché non riesce / a tagliare le ombre adagiate sulla mia vita? / Perché la sua pallida luce non inghiotte / le mie inquietudini ma si cela dentro il mare / per far posto al borioso bagliore delle stelle? / M’immergo nella quiete di un ultimo sogno nascosto… / un lume che s’accende… un lume che si spegne / dove per forza di una parola, forse, / ricomincio la mia vita…” (Ricominciare la vita).
Il tempo divora a poco a poco le fibre dell’essere, succhia la linfa vitale: “Il tempo passa… fragili istanti / che si raggomitolano nell’anima / per sciogliere nodi che la vita / ha intrecciato senza permesso… / per esaurire promesse logorate dagli anni / e ricolorare speranze ingrigite… / per abbattere aridi arbusti che mendicavano / amore nell’orto del tempo. / In fragili silenzi passano le ore dove nell’attesa / ho macerato il cuore per ripulirlo di falsi inganni. / Cerco un approdo che forse non c’è / per vivere appena…esistere…” (Vivere appena).
Ogni elemento della natura si traduce in linguaggio connotativo: “Si snebbiano i ricordi vestiti di colori… / piccoli relitti alla deriva colmi / di perdite e perfino silenzi. / (…) Inquieta la mente questo vento selvaggio e predatore, / inghiottendo e scompigliando la vita che / senza calori e luci si lascia trascinare / come inghiottita dalle ombre.” (C’è vento questa sera…); “In questa incessante litania / l’astro nascente del giorno incerto, / cerca il suo cammino mostrandosi / fremente e arrossendo di piacere / sulle acque del mare per aprire / al cielo altri colori.” (Mare, luna, sole).
Un vero e proprio poema s’innalza al mare (“E ogni giorno lo ringrazio di esistere. Per quanto infuri e faccia burrasca io lo ringrazio. Perché dà pace. Non tranquillità,ma pace. Perché è crudele e duro e spietato, insegue mete bizzarre e sconfinate e basta a se stesso per questo dona pace…”): “Il mare regge un intero cielo / e sfonda un soffitto di nuvole… / fa friggere il sole quando si lava… / orienta i miei pensieri / e regge in verticale la mia vita… / Il mare cambia colore, / le nuvole cambiano forma, / l’età cambia il volto. / Fa parte della quotidiana / imperfezione dell’esistenza / non poter individuarne le cause… / non sapere chi tira il filo sullo sfondo. / Il mare è incanto con la superficie che luccica / nei solchi di sentieri illusori.” (Il mare).
Il tramonto è incanto soffuso che sparge petali di rose sul balcone dell’orizzonte e lo inonda del suo bagliore purpureo di eterno splendore: “Muore lentamente tra le acque / un bagliore intinto di tramonto, / dissolvenza che traccia invisibili silenzi. / Una malinconica luna col crepuscolo in grembo, / intrisa d’antica magia, accoglie il mormorio del tempo… / quasi nenia monotona e triste. / Incuriosita ondeggia nella pozza / d’uno scoglio inargentando silenziose forme / che all’improvviso danzano… / (…) Ascolto il silenzio, ascolto con pazienza / per carpire la sua voce che diventa canto… / fa ballare il vento parlando alle stelle… / intreccia ricordi d’amore per far / innamorare il tramonto… / corteggia il mio animo inquieto / e commuove l’aurora…” (Musica del silenzio).
La poetessa sembra una sibilla che scruta i segni dell’universo e ne trae oracoli, suggerendo il mistero: “Fra la lunga cucitura dell’orizzonte, / punti invisibili che racchiudono acqua e cielo / come un immenso ordito etereo di tessuto. / Sfoca il cielo, il sole si nasconde / e le voci si confondono nel vento. / (…) Sulla copia sbiadita di desideri / e rimpianti è il brusio sommesso la vita che trafigge / con le sue fragilità e gli irrequieti pensieri. / Il logorio dei ricordi, le angosce e la nostalgia, / s’alternano in palpiti senza requie.” (Viaggia il tempo…); “Cosa c’è di più edificante / della capacità di leggere / la quotidiana policromia della vita? / Cosa c’è di più suggestivo / del veicolare chiavi d’immagini / e pensieri in parole su un bianco foglio? / Eppure in questo giorno di fine estate / che si lascia soltanto guardare, / ho contato le mie lune del ieri, / i viaggi delle rughe del tempo sul mio viso.” (Orologio pazzo); “Nel sole che appare alla finestra / e che lento volge in un tramonto / di accesi precipizi e timidi scorci di cielo, / nel prezioso distillato d’un’altra notte / che s’insinua lentamente, / colgo emozioni che non si placano / ma tintinnano in piccole rivolte, / minuscole vittorie, fugaci occasioni / in fragili vascelli di speranze.” (Leggenda o fantasticare?).
L’essere è ebbrezza selvaggia che cavalca indomita la vita, un fiume in piena che tracima gli argini delle paure, per sfociare in alto mare: “Gamme d’azzurro fino al blu profondo del mare / che risucchia e non risparmia. / La nostra identità stravolta diventa ombra sfumata, / fili tesi, vibrazione di magma, / tzunami che ingoiano terra e mare. / (…) Come profughi in cerca di approdo cerchiamo / dimensioni sospese tra solitudini, / tristezze e percezioni alla disperata ricerca dell’infinito / sulle metafore dell’amore, e il suo ordine o disordine…” (Essere o paura di esistere).
I sogni sono larve di fotogrammi già vissuti che affiorano dal deposito dell’inconscio: “La mente sfoglia immagini sfuggevoli / sullo schermo perduto della vita, / gallerie oniriche d’oppressive ombre. / Sono veloci comparse d’una trama d’avventura / nella mente d’uno smemorato regista, / (…) Forse sono un’anima di seconda mano / per aver lasciato il tempo andare / come la nebbia che s’infittisce, lenta si dissolve, / si perde e svanisce… come i sogni dell’ultima ora.” (Fragili sogni).
L’esercizio letterario ha un valore catartico, un potere speculativo e terapeutico: “Nelle parole c’è tutta la mia vita e sono importanti… / non bisogna sciuparle… per salvarci / ci nascondiamo dietro le parole / che sconcertano e aiutano a penetrare / gli interrogativi, le attese, il desiderio / di esistere oltre i limiti del lasciarsi vivere. / Le parole sono medicine per il potere che hanno…” (Parole). Il poetare è arte sublime che mette le ali all’anima: “Quando il veliero della mia anima / rimane corsaro senza approdo / con catene spezzate nella terra di nessuno, / scrivo senza veli o paure di ferirmi / le incertezze, illusioni, i dolori / i dubbi improvvisi, gli incanti e disincanti / per farmi cullare su una zattera amica / che suona, canta e mi parla / in una lingua sopita da troppo tempo.” (Dissolvenze). È una missione delicata quella d’ingemmare perle di silenzi sull’orlo dell’abisso: “Un poeta, scrittore della notte, / deposita sull’effimero un’alba nuova / nel tempo senza fine in fiumi di versi / per riempire i miei vuoti / ed arrivare al calar del sole.” (Sognatrice?).
Difficile è, per dirla con Pavese, “il mestiere di vivere”, come una matassa inestricabile di cui non si trovi il bandolo: “nel buio assoluto della camera oscura / arrotolo a dismisura la pellicola infranta / della mia vita che si ricicla dove / sprofonda nell’oscurità di ottusi patimenti. / Ho pianto e rammendato pensieri sulla riva di / quel lontano mare dove inquieta l’onda / sussurrava moniti e rimproveri. / Ho ammirato i delicati ricami / del cielo indossati con leggiadria / e ho preso i suoi colori per provarli su me. / Mentre una nuvola grigia passeggera e guardinga / si dipana silenziosa e ciondola tra vanità e presunzione, / gocciolano i giorni con affanno / in questo limbo d’aria ferma e triste / (…) Nei fossi spuntano gli ultimi fiori / che aprono tenue e ingenue corolle / ignare della precarietà del vivere.” (Sfumature).
C’è spazio anche per la cosiddetta poesia ‘civile’, in cui si affrontano i mali che affliggono il tessuto sociale, quali il dramma della povertà e dell’emarginazione: “Pareva quasi arrivare dal nulla… / vestiti troppo pesanti per ogni stagione / talmente sdruciti da sembrar neri… / Camminava curvo appoggiato ad un bastone, / bisaccia a tracolla bisunta di sudore / a custodir memorie e segreti. / (…) Cartoni vecchi sotto per sdraiarsi e riposare, / nei pomeriggi spenti dove tutto è sempre uguale. / Aveva sempre e solo un sogno da cercare, / nel tempo fatto apposta per dimenticare. / Adesso i suoi occhi luccicano come avesse pianto / guardando lontano aspettano che finisca il mondo… / Forse il suo nome non lo conosceremo mai.” (Mendicante). Emergono ritratti di questa umanità dolente amaramente cucita nella smorfia del suo dolore: “Tu che sei avvezza / all’indifferenza della gente / che ti scansa e tira dritto, / con un viso regalato alla tristezza, / capelli bianchi, occhi spenti / d’una vita ormai conclusa, / fai un timido sorriso / quando porgi il misero piattino / su cui tintinna la gelida offerta / dei tanti no… negli occhi azzurri velati / di mestizia ma che brillano /ancora come zaffiri, s’accende / una speranza per quella mano / guantata che offre uno spicciolo.” (Povera vecchia). Ugualmente denso di pathos è lo sguardo che sa cogliere l’autrice nei migranti che si volgono smarriti al nuovo orizzonte, lasciandosi alle spalle il tumulto vertiginoso del mare che ha inghiottito tanti loro fratelli e che li ha deposti su straniera riva, ove la vita appare un’angosciosa incognita: “Sono migranti… guardano indietro dalle rive raggiunte / con lo sgomento che atterrisce… / frantumi e schegge di vita scrocchiano sotto le scarpe. / È sosta o permanenza? / È ombra alla canicola o silenzio di anni d’attesa? / Nel prato dei cuori ondeggia novella speranza / con richiami indecisi che cercan risposte nell’anima. / Nel loro avanzare straricco di nulla fra spente ceneri / e affetti lasciati, malinconia e solitudine / negli occhi grandi e scuri… scuote un brivido d’attesa / ad ascoltar i rumori della terra che li accoglie. / Chissà quale paradiso credono trovare…” (Migranti).
Genoveffa Pomina in questa voluminosa raccolta poetica tesse la trama dei suoi versi che rincorrono i sussulti dei silenzi, come cavalcando le onde del mare, raggiungendo, soprattutto nella contemplazione estatica della natura, vertici di uno spiccato lirismo: “Le raffiche di vento sul mare / tagliano le creste delle onde… / le trascinano sotto forma di schiuma / e fanno comparire lunghe strisce bianche. / Il mare è una forza fluida, dispiegata, morbida… / sfiora le notti e i giorni con le onde / che accarezzano erbe sommerse, / attraverso il chiaroscuro e l’ombra delle rocce… /non muta mai il suo slancio… stagioni distinte… / gorgogliare d’acque leggere, criniere di schiuma sbattute / dal vento… / (…) vorrei essere il mare per trovare la carezza del vento… / (…) il veloce raggio del mattino che ogni giorno ripete l’innocenza / del mondo… / il lento raggio del pomeriggio che si svolge come una matassa / di seta luminosa…” (Vorrei…); “Un incantesimo mi avvince… / Nell’orizzonte sconfinato, / scenario stupendo di sole e mare / in variopinte sensazioni fra mille barbagli di sole e / nell’anima qualche frammento di cielo.” (Incantesimo); “Un brusio mi travolge, alfabeto disperso, / dove il vento d’eterno è blando bisbiglio. / È un dolce vento in straordinarie capriole / che nel terso cielo ricama risonanze d’oro.” (Sussurri); “In questo silenzio sospeso la notte in agguato / trascina impalpabili sciarpe di seta soltanto di quello che ricordi, / nel limite dell’illimitato… effimera fragile stasi.” (Non so cosa attendo).
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