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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

Intervista a Giampaolo Atzori, che presenta ai lettori il libro “Lascerò la porta aperta” ( Aletti Editore )

di Rassegna Stampa

D. Partiamo proprio dal titolo, come mai “Lascerò la porta aperta”?

R. Il titolo del libro richiama quello di uno dei componimenti contenuti nel libro: si tratta di una delle poesie scritte in spagnolo, “Dejaré la puerta entornada”. Ma bisogna sottolineare che il titolo è seguito da un sottotitolo, “Luce ed Ombra” (che richiama anche esso un’altra poesia), e i due costituiscono un’unità. La porta è un simbolo bivalente: da un lato è un ingresso per l’interiorità, per i sentimenti, per il sogno, o, usando termini ed immagini tradizionali, un viatico verso il cuore e l’anima, quindi per le “luci ed ombre” che si agitano dentro di noi; dall’altro essa ci permette di affacciarci verso il mondo esterno, verso la realtà, di dare uno sguardo verso questo mondo, e di uscire a conoscerlo, a compiere il più grande atto di coraggio che ogni essere umano è in grado di compiere: vivere. E quindi conoscere tutte le “luci ed ombre” che ci circondano. Dunque, ecco la ragione per cui “lasciare la porta aperta”: per guardare dentro sé stessi e poi tuffarsi nella realtà. E questo non può che avvenire attraverso uno strumento che è insieme doloroso e sublime: l’amore, in tutte le sue sfaccettature, l’amore per la vita nonostante tutto. Tutto questo è riassunto nei versi di “Luz y sombra” (appunto “Luce ed ombra):
Luce ed ombra. /Luna e sole.//Dentro di noi/c’è odio e amore,/tenerezza e forza./Lune e soli.//Lune e soli./Luci ed ombre.//Contraddizioni e amore.//La vita.//Noi stessi.// Eccoci.
Perché la vita che cosa è, se non contraddizioni e amore, il più grande dei paradossi?. Bisogna lasciare la porta aperta, per conoscere le luci e le ombre dentro e fuori di noi.
Inoltre, questa silloge va considerata una sorta di “resa dei conti” con me stesso, con quello che sono stato e con quel che ora sono, con l’infanzia, con la gioventù, ed infine con la attuale fase della maturità, e richiama, nei ricordi, sia i luoghi reali sia i “luoghi dell’anima” del mio percorso umano. Tutto questo è riassunto in forma visiva nell’immagine della copertina: ombra e luce, tormento e quiete, visti come da una porta aperta. Ma anche luogo reale, uno dei luoghi della mia infanzia e della mia gioventù al quale sono più legato.

D. Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?

R. Quando ho iniziato a pensare a questo libro, avevo alcune poesie recenti, alcune praticamente appena composte, ma ho sentito la necessità di andare a scavare nel passato per recuperare molti versi di un Giampaolo che non c'è più, ma di cui rimane traccia non solo nella poesia ma sopratutto ed innanzitutto nel Giampaolo di oggi. In altre parole, sentivo la necessità di andare alle mie radici, umane e familiari (“Padre”, “Il giardino”, sopratutto “Due donne”), l'amicizia (“Radici”, “Amica mia carissima....”, “Ancora”), la mia terra (“Oi”, “Cussus mortus”, “Nell'isola del vento”), e l'amore, nel bene e nel male. Così, “Lascerò la porta aperta” è diventata una silloge attraverso la quale, facendo i conti con le luci ed ombre del mio passato, guardavo alle luci ed ombre del mio presente, con un occhio sempre teso a quel grande punto interrogativo che sempre è il futuro, cercando di intravederne le luci.
Ma si è trattato di tornare anche alle radici letterarie, cioè lo spagnolo di Pablo Neruda, che è stato il primo poeta straniero da me conosciuto all'età di quindici anni e con il quale fu immediatamente “amore a prima vista”. Nel frattempo, però, lo spagnolo divenne anche uno strumento d'amore più concreto, l'amore concreto e totalizzante per una donna: ed ecco tutti i versi sgorgati dal più profondo dell'anima direttamente in spagnolo, cosicché anche in questo caso la vita irruppe come un'onda in piena, e la lingua si rivelò non semplice esercizio letterario, ma strumento espressivo e di comunicazione.
Va detto che, se questi argomenti sono quelli predominanti in questa nuova raccolta, non mancano neanche in questo caso i temi sociali e di denuncia, che hanno maggiormente caratterizzato i libri precedentemente pubblicati (“Sono morti gli eroi”, “Imparate, uomini”, “Il canto delle sirene”). Ed ecco il tema del femminicidio e del rapporto uomo-donna in “Senza fiatare” e in “Lacrime d'uomo”; la denuncia degli scempi e delle responsabilità nelle tragedie cagionate dal saccheggio del territorio, legate, nel caso specifico, ai problemi della propria terra (la Sardegna), denuncia espressa nella lingua della propria terra (“Oi” e “Cussus mortus”); ed infine il tema dei diversamente abili, visto e vissuto con gli occhi di un'amica che quei problemi li conosce molto bene, e che, attraverso il rapporto conflittuale con il suo mezzo di locomozione, rivela di essere, al di là di schemi, pregiudizi e difficoltà, un essere umano, una donna alla ricerca della propria libertà (“Gambe rotonde (Nulla di più)).

D. Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?

R. Come si evince già da quel che si è andato esplicando in precedenza, e dalla semplice lettura del libro, la realtà ha inciso ed incide sempre sulle mie poesie, giacché tutto quello che scrivo trova sempre riscontro su fatti reali. A volte si tratta di una realtà soggettiva, avvenimenti personali che incidono sulla mia vita, sui sentimenti, sulle emozioni, ed anche a livello razionale; altre volte (molto spesso nelle raccolte precedenti, un po' meno in questa raccolta) è la realtà sociale, anche politica, la denuncia, le contraddizioni di questo mondo contraddittorio ad irrompere decisamente nei miei versi. D'altra parte non potrebbe essere diversamente, giacché per me la poesia è un modo di leggere ed interpretare la realtà, o sarebbe meglio dire le realtà, le luci ed ombre (una volta ancora) della realtà quotidiana, personale o più generale, della società in cui viviamo, della storia.
Accanto alla realtà, ed in essa compenetrata, il mio modo di essere e di scrivere è spesso anche un immedesimarsi nelle realtà non vissute direttamente, ma alle quali è impossibile, in qualità di essere umano ancor prima che di poeta, non partecipare: condividere per capire. Un esempio per tutti è la poesia “Due donne”, scritta sulla scia delle sensazioni trasmessemi da mia madre e da mia zia attraverso i loro racconti sulla vita, e sopratutto sulla tragica morte di mio zio, da me mai vissute direttamente (quando lui morì non ero neanche nato), ma penetrate profondamente ed indelebilmente dentro di me fino ad avere la sensazione di averle vissute.

D. La scrittura come valore testimoniale, che cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo libro?

R. Precisando quanto detto in risposta alla prima domanda, ho sentito l'esigenza, principalmente, di salvare e custodire una parte di me, del mio passato, di quei legami, alcuni ormai perduti nel tempo, altri ancora vivi e vitali. È stato, come detto, una sorta di “resa dei conti” con me stesso e con il mio mondo nei confronti del mondo, a volte quasi una terapia catartica per sciogliere i nodi dell'anima. Ho voluto preservare l'esempio di vita di mio padre, il ricordo di mia madre, partita per sempre ma sempre con me, i tanti amori, a volte brevi come un battere d'ali di una farfalla, a volte tanto lunghi, nessuno dei quali sprecato perché vissuto con passione profonda. E le tante solide amicizie.
Tutto questo, naturalmente, rapportato "alla realtà, perché tutti i rapporti umani, benché unici ed irripetibili, vivono in uno spazio ed in un tempo più ampio, di esso si nutrono e non possono farne a meno.

D. A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro “Lascerò la porta aperta”, se dovesse isolare gli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?

R. Tutto ciò che compare nel libro rappresenta episodi che, anche nel caso di esperienze “negative” e concluse, ricordo con particolare favore: tutto nella vita di un essere umano si lega e si tiene insieme.

D. Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?

R. La più importante fonte di ispirazione è il grande poeta cileno Pablo Neruda, come indubbiamente dimostrano le poesie in spagnolo, sia per l'uso di quella lingua sia, sopratutto, per i contenuti. Neruda è stato molto più di una semplice fonte di ispirazione, è stato uno sorta di “amore a prima vista”, di “affinità elettiva”. Vorrei raccontare un breve aneddoto della mia esperienza poetica: iniziai a scrivere poesie nel febbraio 1978, all'età di tredici anni. Piuttosto che decidere di scrivere poesia, direi che fu la poesia a venire a visitarmi, prepotente ed irrefrenabile (citando i versi del poeta cileno, “Fu in quell'età.../La poesia venne a cercarmi...”). Due furono gli spunti che mi portarono a scrivere in versi: lo studio delle realtà storiche ed economico – sociali dei Paesi latinoamericani e la lettura di un sonetto di Francesco Petrarca, “Solo e pensoso i più deserti campi”. E nacque la mia prima poesia, “Hanno tentato”, che suona così: “Hanno tentato, /tanti anni fa,/di trovar la libertà,/ma il bianco è un colore opprimente./Nel sangue/han trovato libertà,/perché per loro la morte è libertà./Hanno tentato, pochi minuti fa,/ma il bianco è un colore opprimente./Ci sarà mai libertà per loro nella vita?”. Due anni dopo avvenne l'incontro con Neruda, dapprima con le sue poesie più impegnate (lessi l'opera “Fin de mundo”), poi con i versi d'amore (“Todo el amor”, una antologia curata dallo stesso autore). Trovai subito forti punti di contatto con i contenuti dei miei versi, ed in parte anche stilisticamente. Da allora, pur acquisendo gradualmente uno stile compositivo personale, Neruda rimase, ed è ancora oggi, il mio punto di riferimento poetico e ideale.
Naturalmente ci sono anche altre fonti di ispirazione: innanzitutto il grande Federico Garcia Lorca, del quale amo sopratutto la raccolta “Poeta en Nueva York” e il famoso “Llanto por Ignacio Sanchez Meijas”, poi Salvatore Quasimodo, Jacques Prevert, e, per certi aspetti, Giacomo Leopardi.
Ma le mie esperienze di letture poetiche che sono state fonte di ispirazione e modello spaziano dai classici greci e latini (Saffo e Catullo in particolare) ai poeti francesi dell'otto e del novecento, alla poesia dei paesi del Terzo Mondo.

D. Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?

R. Tutte le espressioni artistiche sono sempre state al centro dei miei interessi. Amo le arti figurative (pittura, scultura) e i miei autori preferiti sono Giotto, Leonardo, Michelangelo, ma anche Pablo Picasso (di cui adoro il suo capolavoro “Guernica”, tragica ed icastica rappresentazione non solo della distruzione della città basca ad opera dei bombardamenti nazisti e con la complicità del dittatore Franco, ma di tutte le città del mondo e di tutte le vittime civili della guerra, tema oggi estremamente attuale, purtroppo. Adoro il teatro, dalla tragedia e dalla commedia greca al genio di Shakespeare, di cui apprezzo anche i sonnets. E non posso fare a meno della musica, tutta la musica, da quella cosiddetta classica (Bach, Vivaldi, Mozart, Beethoven, Gershwin, Stravinskij, Schoenberg....), al jazz (Miles Davis, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Thelonious Monk, Charles Mingus, Art Blakey....), dal rock (Lou Reed, Bruce Springsteen, Pink Floyd...) alla musica popolare, e sopratutto, riguardo alla relazione fra parola e musica, i cantautori, sopratutto italiani (De Gregori, De André, Guccini.....). Se questi ultimi a volte sono stati spunto per scrivere le mie poesie con un occhio (meglio un orecchio...) alla musica, tutti gli autori citati hanno influenzato indirettamente le mie poesie, sopratutto per quel che concerne l'acquisizione di un ritmo (a volte anche di un ritmo e di un linguaggio volutamente dissonante), mentre gli altri artisti e le altre arti sono comunque state un esempio per la ricerca dell'equilibrio, anche formale.

D. Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?

R. Se la poesia è e resta il genere letterario prediletto, anche perché non è solo un mezzo espressivo, ma un vero e proprio “modo di essere”, apprezzo i racconti ed i romanzi, sopratutto quelli di argomento sociale (un esempio per tutti: “Furore” di John Steinbeck), i racconti del mistero e del soprannaturale, sopratutto Edgar Allan Poe e Lovecraft, i saggi, sopratutto quelli letterari, quelli storici e quelli sociali.

D. Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?

R. Trovo il libro digitale molto interessante, pratico, più economico del libro tradizionale, e probabilmente sarà il futuro dell'editoria. Tuttavia, rimango molto legato al libro tradizionale, sono cresciuto con questo strumento di trasmissione culturale, e poi mi piace il “contatto fisico” che esso permette, un po' come i rapporti umani: internet permette di avere facili e veloci contatti con persone in tutto il mondo, ma parlare guardando l'interlocutore negli occhi è così affascinante!...

D. Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.

R. Un rapporto molto diversificato, direi. Alcune poesie sono nate senza particolari sforzi, è come se le parole venissero fuori da sole, già belle e pronte; altre volte la prima stesura ha avuto necessità di revisioni e addirittura di nuove redazioni. Però, spesso le due cose hanno proceduto parallelamente e si sono manifestate contemporaneamente: in altri termini, le modifiche, i miglioramenti, la conquista delle parole “giuste” avveniva mentre scrivevo, si trattava di scrivere, sentire il ritmo ed il senso della parola e del verso e correggere mentre avveniva l'atto della creazione poetica, o subito dopo.
In ogni caso, si trattava sempre di trovare, innanzitutto dentro me stesso, poi nel mio “orecchio”, l'elemento fondamentale della poesia: il ritmo, anche quando l'argomento esigeva un ritmo per così dire “dissonante”.
Perché, al di là della forma tradizionale (versi, rime, strofe, ecc.), il nucleo generativo della poesia come forma letteraria è, appunto, il ritmo.
Per quel che riguarda i contenuti, tutto è poesia e tutto può essere oggetto di poesia. E, in ultima analisi, scrivere poesie, ma anche leggere poesie immedesimandosi in esse, è un modo di ricondurci alla nostra umanità.

D. Un motivo per cui comprerebbe “Lascerò la porta aperta” se non lo avesse scritto.

R. Be', da vero amante della poesia, il motivo fondamentale è l'amore per la poesia. Ma questa è una risposta che può soddisfare chi già ama la poesia. Però, poiché la risposta non può non riguardare anche chi ancora non ama la poesia, o ancora non la apprezza perché ancora non la conosce (e questa è anche una carenza del sistema educativo e scolastico, e della società moderna troppo presa dalla materialità, dal denaro, dal principio del “tutto e adesso”), allora il motivo è ricondurci alla nostra umanità. Insomma, al di là di acquistare il mio libro (cosa che comunque invito a fare), spingere gli altri a leggere, apprezzare, amare e capire la poesia non può che nascere da un atto d'amore di chi la scrive e la propone. Dunque, non poesia solo per sé stessi, ma poesia come strumento di dialogo e confronto, e come lettura della realtà.

D. Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?

R. Non ho ancora in progetto altre opere, per il momento. Però ho alcune nuove poesie, incentrate sull'amore come esperienza concreta, e sull'ironia, arma fondamentale per difendersi dalla realtà, per affrontarla, e sopratutto per non prendersi troppo sul serio.
Ve ne offro un esempio.
I CONTI TORNANO SEMPRE. I conti tornano sempre./I conti non tornano mai.//Quando sembra che ormai siano/tornati, sono già belli e partiti,/poi, ritornano/e tornano/anche quando non tornano.//I conti tornano sempre./I conti non tornano mai.//Mi accanisco a farli e rifarli/e a cercare di farli tornare,/ma... loro non tornano.//E vanno.//Ma tornano, proprio quando/più non li chiamo,/dopo un giorno, un mese, un anno…/a volte dopo una vita intera.//Tornano, tornano… Tornano sempre./Quando sono già bello e partito/per una nuova strada/e sulla vecchia giunge/a capire che i conti tornano/sempre/lei che quei vecchi conti /non li volle fare,/non li volle fare con me.//Tornano, tornano, tornano sempre,/quei conti sbagliati che erano giusti,/tornano… ed io già sono lontano.//E lei solo allora arriva a capire/che tornano i conti,/e torna/ sui suoi passi, ritorna/per far tornare i conti/insieme a me.//Ma più non tornano i conti,/e non c’è treno della vita/ o strada fatta anche carponi/pur di raggiungere il mio viso,/i miei occhi, il mio corpo,/l’anima, il cuore, l’essenza,/che tengano, ormai.//E lei conta e riconta e conta di nuovo/e conta di dirmi quel che allora non disse,/ma i conti non tornano.//Ed io già sono lontano.//Perché, sempre tornano i conti,/ma a volte non tornano/mai.


Collana Gli Emersi - Poesia
pp.72 €12.00
ISBN 978-88-591-2931-8
Il libro è disponibile anche in versione e-book

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