| Era piovuto su Ardea tutta la notte e il fragore del temporale aveva tenuta desta Quintilia per molte ore. Soltanto verso l’alba la ragazza finalmente si era un po’ appisolata, ma il suo era stato un sonno tormentato, quasi affannoso. L’elettricità dell’aria si era aggiunta all’agitazione interiore che la pervadeva ormai da alcuni giorni. Quando, dopo la lunga notte, si alzò infine dal letto, nonostante i suoi diciotto anni si sentì tutt’altro che piena di vigore. Le pareva quasi di essere una barchetta in un mare in tempesta.
Anche la sera precedente, prima di coricarsi, mentre grosse nubi foriere dell’imminente temporale già si addensavano nel cielo, aveva avuto una spiacevole discussione con sua madre. Publia era ritornata sul solito argomento che da qualche tempo quasi quotidianamente affrontava con la figlia.
-Ma ti vuoi rendere conto che è importante che tu ti sposi al più presto? Per una ragazza rimasta senza il padre è indispensabile trovare quanto prima un marito, se non vuole che tutto ciò che il padre le ha lasciato finisca nelle borse dei suoi tutori-.
-Lo so, madre- aveva risposto Quintilia, alla quale quei discorsi riuscivano veramente spiacevoli e imbarazzanti. -Lo so e non ho niente contro il matrimonio-.
-E allora, deciditi una buona volta! Mostrati un po’ più cordiale con Tito quando viene a farci visita. Lui ti vuol bene, ma se ti vede sempre immusonita, capirai che non si deciderà mai a chiederti in sposa. Non è una prospettiva allettante prendersi in casa una moglie che par sempre reduce da un funerale-.
Grosse lacrime erano cominciate a sgorgare dagli occhi della ragazza, che se ne era stata tuttavia in silenzio. Publia vedendola si era spazientita.
-Per tutti gli dèi! Ma non sai far altro che piangere tu?-
-Mamma, farò tutto quello che vuoi: se tu mi ordini di sposarlo lo farò. Ma non riesco a mostrarmi allegra con lui- aveva risposto sommessamente la ragazza.
-Non ti capisco- aveva sbottato Publia. –È un bel giovane, ricco, nobile e gli piaci. Ma che vuoi di più?-
-Te lo dissi già che non l’amo-.
-Che ne sai tu dell’amore?- l’aveva interrotta con voce alterata la madre. -Credi che io fossi innamorata di tuo padre quando lo sposai? Una donna deve reputarsi fortunata quando trova un marito in grado di assicurarle una vita agiata. E poi, col tempo, vivendo assieme, subentra pure l’affetto-.
L’accenno a suo padre, morto già da qualche anno, commosse Quintilia, la quale chinò il capo ripensando alla mite e buona figura di lui. Come le sarebbe stato vicino adesso, come avrebbe tranquillamente preso le parti della figlia! Che sua madre non l’avesse mai amato era evidente, l’aveva capito anche lei pur essendo soltanto una bambina. Publia non perdeva mai le occasioni per insultare il marito, per bistrattarlo e soprattutto si compiaceva di umiliarlo in presenza d’altri. Alle sfuriate di quella donna, ch’egli invece amava sinceramente, l’uomo reagiva generalmente con estrema pazienza e bonarietà. Trovava sempre delle attenuanti al comportamento di lei: o lo attribuiva alla stanchezza o ai nervi o a qualche piccolo malessere passeggero o, più semplicemente, al fatto che era una donna. Lei gli era stata fedele, questo sì, ma in quanto ad amarlo non vi aveva neanche provato. Quintilia molte volte si era chiesta se suo padre si rendesse conto di questa assenza d’amore nella sua donna e se ne soffrisse, ma non era stata capace di dare una risposta precisa al proprio interrogativo. Probabilmente egli, che sciocco non era, aveva avuto una conoscenza chiara dei sentimenti della moglie nei suoi confronti, ma l’atteggiamento sempre sereno e sorridente di lui non aveva mai fatto trapelare nulla, men che meno la sofferenza.
(Incipit del romanzo "Amore Plebeo" di Aldo Antolli, edito dalla Aletti Editore)
Collana "Gli Emersi" - Narrativa
pp.68 €12.00
ISBN 978-88-591-2974-5
Il libro è disponibile anche in versione e-book
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