| “Caleidoscopio”, se la poesia è nelle piccole cose
Dagli interstizi della quotidianità spuntano versi poetici insospettati, d’inattesa bellezza, intimisti, crepuscolari. Lo smarrimento leopardiano di fronte al mistero, il turbamento esistenziale dell’uomo dinanzi al cosmo, dettano versi lievi come le ali d’una farfalla, delicati, puri, intrisi di sentimento, sinceri come il sorriso di una madre, come il pianto di un bambino.
“Caleidoscopio”, di Rosaria Rita Pasca, Poggiardo 2013, Tipografia Zages, pp.158, s.i.p., è racchiuso tutto qui. Nella rievocazione di un mondo di incanti e di stupori infantili dell’eterno bambino che è in noi, che osserva gli uomini e l’Universo con un candore capace di afferrare ciò che, confusi dalla modernità, non riusciamo più a vedere.
Bell’esordio nella poesia di una dottoressa (è laureata in Farmacia a Perugia,
dopo il Liceo “Capece” a Maglie, ma è nata a Muro Leccese) prestata alle Lettere. Negli anni ha accumulato i versi in un cassetto (“Seppellii infanzia in un cassetto…”) Quando ha cominciato a traboccare, ha deciso di mandarli un po’ in giro per vederne la reazione, suscitando l’interesse del suo ‘cerchio magico’, che poi svela nei credits: Giuseppe Greco per la cover, Francesco Rausa, Paolo Rausa (regista che la dirige in teatro), Gianni Pellizzari, Giuseppe Casto, Albarosa Macrì Tronci, Maria Grazia Toscano, Alessandra Peluso.
È il background della pubblicazione, che propone 150 liriche (la selezione non deve essere stata facile). Che si leggono d’un fiato, come un sorso d’acqua fresca, d’aria pura capace di rigenerare lo spirito nella bufera d’una modernità straniante, volgare, spersonalizzante, destrutturata nel sentimento e nella percezione del reale.
Le poesie sono luminose, piene di luce e di energia. Anche quando affronta temi delicati, quando scende nel sottosuolo, nelle viscere dell’uomo e del tempo, la nostra autrice lo fa pudicamente, in punta di piedi, a bassa voce, tanto da farlo scivolare fra le pieghe dell’esistenza, dietro le quinte del teatro della vita.
La silloge si divide in sei sezioni tematiche: l’infanzia, la solitudine, il silenzio, l’amore, il dolore, la fede. Che trasfigurano i momenti della vita di ogni essere umano che s’inoltra nella sua avventura. Sono questi versi rapidi, e sapidi, come pennellate: colgono un’emozione, uno stato d’animo, un’astrazione e passano oltre, per fermarsi dove “il pensiero è puro / come gocce dell’ultima pioggia, / cadono sottili desideri / come avanzi di sogni” / in un gioco leggero di echi e illuminazioni, di preghiere silenziose: “Donami l’incanto lunare / perché il silenzio argenteo / mi trasfiguri” e di silenzi metafisici: “È l’ora che il silenzio/ s’impadronisce di tutto…/ è la voce inespressa / dell’assenza di sillabe/ di voci di fonemi’
La pace dell’anima che tutti cerchiamo per sopire il dolore dell’essere al mondo.
Recensione a cura di Francesco Greco
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Sapete qual è stata la mia prima impressione una volta portata a termine la lettura di "Caleidoscopio"? Ho sentito che ‘‘la poesia è poesia solo se uno, udendola, da essa subito si senta colpito senza immaginare ancora di potersela spiegare o non ancora indotto a doversi confessare di non potere mai essere in grado di valutarne le manifestazioni, i miracoli’ (G.Ungaretti). Proprio così: i versi di "Caleidoscopio" ti prendono subito con il loro attento e curato intreccio di suoni e pause, di ritmi e colori, di immagini e simboli. E si trova conferma che la poesia è davvero, per chi la produce e per chi ha il privilegio di goderne, l’esperienza di una soglia, come se si stesse sospesi sul confine tra il chiaro e lo scuro, è disperata fede che la parola poetica possa giungere dove non è giunta la ragione e portare alla luce qualche brandello di verità. Poi, come capita quando incontri qualcuno che abbia qualcosa da dire e che sappia come dirlo, ritorni sui versi già letti. Per farlo al meglio ti isoli, per quanto puoi, dai rumori, spegni il televisore, ti metti comodo, prendi carta e penna e interroghi il testo. La musica, che in ‘‘Caleidoscopio’’ avevi già avvertita, diviene ancora più bella, senti che anche dentro di te vibra lo
stesso "diapason sonoro". Gusti la compenetrazione forma - contenuto,
splendidamente riuscita.
Anche se sai che le cose che leggi non sono tutte lì, nella materialità delle parole, e avverti che dietro ed attorno ad esse alita la presenza di qualcos’altro, tuttavia arrivi a credere che il velo possa discoprirsi e che, sommessa e discreta, si schiuda la porta su un mondo tessuto da ‘‘un filo di seta / lucido, sottilissimo’’. E lo senti anche tuo quel mondo, senti che esso ti appartiene, perché quelle domande sono anche le tue, sono tue quelle fugaci gioie e quelle tenaci speranze, tue le ombre e tue le luci. Ed è anche tuo lo sforzo doloroso e caparbio di diradare il mistero e di mettere insieme le pezze
dell’universo. Pur se con ‘‘scaglie di pensiero’’, la poesia di Rosaria diviene il nostro corrimano nel ‘‘magma incerto dei destini’’.
Recensione a cura di Gianni Pellizzari - Muro Leccese, settembre 2013
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Ho avuto il piacere di leggere le poesie di Rosaria Rita Pasca e di capirne umanità e linguaggio.
Le sue coinvolgenti parole trascendono i significati comuni; costruiscono sapienti metafore, molecole di esperienze sensoriali; esprimono pensieri nascosti, moti dell’animo e dell’anima. Anelano sogni, squarci di luce, speranze ed emozioni che trovano spazio ‘ oltre la linea d’ombra’, ‘oltre il muro’ nel silenzio assoluto, nella pace siderale, in Dio sorgente e ‘Voce dell’Universo’.
Le sue costruzioni linguistiche, intenzionalmente, dicono e non dicono, rimandano il lettore a ricercare nel proprio intimo vissuti, emozioni, significati per capirne il senso. Ne svelano, però, la passione, il sentimento, la profonda interiorità, la ricchezza espressiva. Infatti, con parole sentite e vissute la nostra Rosaria tesse il filo che unisce terra e cielo, aurora e tramonto, il filo del suo ‘transeunte senso del vivere’ .
Così crea composizioni vive e palpitanti, con visioni originali per fusione di immagini, suoni, emozioni e parole, parole vere, velate d’amore. Nel verso Rosaria libera la sua struttura profonda e si libera verso mondi di silenzi, serenità, fede…
Recensione a cura di Giuseppe Casto - Nociglia, settembre 2013
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Cara Rosariarita, nel tuo lavoro c’è molta anima, una bella anima. La tua è una poesia del cuore, costruita con immagini delicate, ma nitide, con accostamenti semantici talvolta inediti. Imponente la forza dei sentimenti per Fulvio, ma anche per altri elementi della famiglia e della vita amicale.
Spargi la tua serenità e la tua dolcezza in questi versi senza titoli, ma segnati da numeri progressivi, quasi a rincorrere e a segnalare le tappe di un viaggio in una natura accogliente, serena, incantata. Caleidoscopio è un titolo molto aderente al lavoro. Con affetto, poche righe, non una recensione.
Commento critico a cura di Rita Rucco - Lecce, 20 aprile 2015
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Continuo intreccio di elementi, immagini, età, sentimenti quelli composti in “Caleidoscopio” di Rosaria Rita Pasca. Il tutto converge nella silloge dando vita a sfumature di colori, mentre acromatismi di luce contornano i dipinti di un’infanzia passata, di amori vissuti, di affetti.
Rosaria sa descrivere in versi ciò che è stato con pudici gesti, con un silenzio incantato, nel quale la tristezza cede il posto a Dio, che ‘‘si abbarbica all’anima / come un fedele innamorato / che alita immense speranze’’ (13)
Si tratta di un libro poetico che raccoglie e accoglie in sé la vita, quella dell’autrice, degli amici, dei suoi cari. In una prima parte, il passato conduce per mano il lettore in silenzio sino a guidarlo nel presente, fatto di “lievi voli di colombe’”, di “rondini che fuggono”, di stagioni che passano. Si avverte la necessità di Rosaria di legarsi al verso per tenersi compagnia, per non sentirsi sola nel “caleidoscopio” dell’esistenza. L’autrice dipinge una parte di mondo, il suo, con stile delicato, e i suoi versi trasudano di vita caratterizzata da istanti, luoghi, stagioni, cielo e mare, nei quali le stelle si inseguono, creando costellazioni di poesie.
La poesia di Rosaria abbonda di generosità. Si legge infatti: “A Claudia Ruggeri, / rondine impazzita / che ha perso il suo nido: / Guardarti ora fisso negli occhi, / fisso fisso il tuo sguardo attonito / scava dolore e voragini, eloquenti / occhi tristi di pena imponderabile’’ (91)
I versi trasudano di dolci metafore che cullano i pensieri e così si legge: “Opalescenze / d’anima / segretamente / affiorano / come splendide ipotesi, virgole di luna / all’angolo dello sguardo perso / nel piccolo pezzo di cielo serotino”(117)
E poi ancora: “Donami un altro frammento, / donami una sillaba / per vivere,/
un colore che mi tocchi, / che colpisca l’anima” (69)
Veleggia, inoltre, la sublime poesia di Cesare Pavese: le descrizioni dei paesaggi, della natura, dei luoghi. Tuttavia non c’è inquietudine, non è manifesto il dolore, soggiaciuti da quel sentimento penetrante e intramontabile quale è l’amore: “Volevo abbracciarti, amore, / ancora t’avrei amato e amato / per concepire con te il sonno/ della mia lunga luminescenza” (134)
Leggendo “Caleidoscopio” le immagini scorrono innanzi, mentre i versi proseguono il loro andare. Così la solitudine si identifica in un silenzio d’oro, si tramuta in colore, assumendo le sembianze della libertà; quest’ultima molto amata e desiderata ardentemente dall’autrice. Ecco allora che la raccolta poetica di Rosaria Rita Pasca è il volo di un gabbiano, leggero, libero, in continuo movimento, e così dall’alto del cielo sino a raggiungere il basso, a pelo d’acqua, scopre il mondo che si affaccia e vive incantato la quotidiana realtà. Mentre il lettore resta lì, estasiato dall’agire e dal pensare del cuore, il quale ha le sue ragioni, che la ragione non conosce.
Recensione a cura di Alessandra Peluso
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Conosco Rosaria Pasca da molti anni, frequentandoci in particolare nei mesi estivi, a Santa Cesarea Terme, dove lei vive da tempo col marito Fulvio Cazzato, suo amatissimo sposo. Mi si è presentata da sempre come giovane e poi come donna eterea, sorridente e leggera, quasi svagata, sempre anelante verso l’altro, desiderosa di amicizie e di affetti. Persona singolare, perfino magica, che si comprende appieno solo nel suo completamento nell’arte, sia nelle recitazioni del teatro classico (ha recitato splendidamente alcune pièces della Medea), sia soprattutto nell’arte dei suoi versi ‘caleidoscopici’. Qui Rosaria trova la sua figura definitiva, inverando quella contingente dell’amica, della persona carissima che noi conosciamo.
“Caleidoscopio” è sintesi e simbolo della sua produzione di versi, fatti di flash, di assaggi, di voli fugaci, di rapidi passaggi, di luci soffuse, di vagabondaggi, di sussurri, di risonanze, di colori accennati, colti e perduti:
“Ti credevo perduta, finita / mia Musa vagabonda, / vagante beatitudine del canto, / allegorica finzione… / Ma Tu, mia Musa, non potrai mai morire / come muoiono gli umani / perché sei immortale e diafana, / sei stregata di suoni e silenzi... (Musa vagabonda, pag. 80)
E ancora si legge: “Non migrare lontano dalla luce. / Questa luce è il paesaggio del tuo cuore, / cuore di pietra lucida, / levigata dal torrente,/ dove il sole si rifrange / e dove si specchiano i destini” / Sono i versi che compongono la prima strofa di “Caleidoscopio”, il componimento che assumerei come programmatico, anche nel titolo, del suo fare poematico. Ci sono qui le componenti fondanti del suo mondo, innanzitutto la sua apertura all’altro, il suo proiettarsi sul destino dell’altro come suo proprio, per farne un destino comune, e cercare nella salvezza una comunanza di ‘destini’. Alla ricerca di quella salvezza comune, non solitaria ma condivisa, e perciò luminosa, almeno nella prospettiva della ricerca, sta la tensione dell’anima che si fa parola e verso, in quanto cerca il superamento del contingente, del ruvido, del frammentario, dell’incompiuto, del negativo.
C’è una profonda spiritualità nei versi di Rosaria Pasca, l’essenza della sua grande fede, che qui si coglie nella composizione di un mondo etereo e luminoso, a tratti paradisiaco, eppure consapevole del buio e del male. Quel male, che si vuol superare nella tensione verso un’armonia superiore.
I versi scavano continuamente nell’animo, e toccano i temi consueti della problematica esistenziale, come la solitudine e il disincanto, l’amore e la perdita, o il rimpianto. Ma i negativi non si radicalizzano mai in un pessimismo cupo, anzi si positivizzano o tendono verso il positivo, in quanto l’animo interiore trova nel trascendente il ‘volo’ verso l’Assoluto.
Il motivo del ‘volo’ è non a caso ricorrente. Poesia animica, quindi sempre giocata sul filo onirico di una suggestione del sentimento, che trova appiglio a farsi parola alla vista pur sfuggente della natura, di alcuni particolari o dell’intero universo. Da qui le aperture cosmiche sui cieli, sul mare, sulle visioni solari o lunari.
Qui sta secondo me il valore di questi versi, che esprimono e portano alla luce una ricerca autentica e aperta, positiva e dialogante, in cui la persona (chi scrive o il suo tu dialogante) si salva nella ricerca fiduciosa di un’Armonia superiore, partecipe della natura umana e della natura cosmica, pur perseguita e mai conquistata appieno. Di questa fiducia, di questa speranza in una salvezza possibile, della persona e della natura, ha bisogno di nutrirsi il lettore, e in genere l’uomo di oggi.
Note di Albarosa Macrì Tronci - Poggiardo, 25/11/2013
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