| Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “L’aldilà del confine”?
Maurizio Rossi - Spero che non venga considerato uno spoiler, “l’aldilà del confine” scritto in questo modo e non come “al di là” non è altro che il confine con il mondo dei morti; un mondo che coesiste sullo stesso piano astrale di quello dei vivi e popolato da persone che abitano la stessa terra ma in due realtà ben distinte e solitamente non valicabili. ALDILÀ è anche un gioco di parole, racchiude in sé un potente anagramma: DALILA il nome della ragazza protagonista che darà il via a tutta l’intera vicenda.
Domanda - Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Maurizio Rossi - Il libro ha il compito di assottigliare quella linea che separa la vita dalla morte, i personaggi si possono muovere tra i mondi con la facilità con cui noi possiamo aprire ed oltrepassare una porta ma questo con non poche conseguenze. Verranno messi in discussione i sentimenti di appartenenza e di esclusione, verrà messo in discussione l’antico dilemma tra amicizia ed amore in un contesto dove albergano solitudine, malinconia e nostalgia di casa. Meglio i nuovi o i vecchi amici, meglio il mondo dei vivi o quello dei morti?
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Maurizio Rossi - Direi una bugia se dicessi che ogni cosa è frutto della mia fantasia, ovviamente nella mia testa c’erano luoghi e persone ben precise quando ho scritto il mio libro ma sono stato bene attento a non lasciare alcun riferimento specifico così che chiunque potesse adattare il tutto alla sua realtà e non restare chiuso nelle mie quattro mura mentali. Mi sono calato nei panni del protagonista così da poter vivere in prima persona le vicende ed immedesimarmi nelle situazioni al meglio. Avrei potuto cambiare il nome ma alla fine mi piaceva l’idea che il mio primo scritto avesse me come protagonista.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Maurizio Rossi - L’aldilà del confine è un non-luogo ed un non-tempo che può essere adattata a qualsiasi realtà. Non c’è un “dove” e “quando” ma un solo e lungo “cosa” e “come”. Si distacca quindi dalla grande storia ma è comunque focalizzato su una tecnologia contemporanea forse leggermente arretrata. All’interno del libro sono decine le scene citate capitate a me ed i miei amici che volendo analizzare il tutto sembra quasi un diario, una raccolta.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro “L’aldilà del confine”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Maurizio Rossi - La storia del mio libro è lunga e tortuosa. Tutto è nato nei primi anni 2000. Una notte io, mio cugino ed un mio amico sfidammo la sorte avvicinandoci troppo a ciò che nel nostro paese viene definita “la casa maledetta”. Quella stessa notte venimmo puniti: io vidi finire un bambino sotto la mia macchina, il mio amico non riuscì a prender sonno perché vide ombre e sentì rumori per casa ma chi ci rimise di più fu mio cugino, la mattina seguente, quando, appena girato l’angolo di questa casa con la macchina, fece un incidente contro il suo muro.
Casualità? Superstizioni? Non lo so. Questo ci spaventò davvero molto e decidemmo di farci un piccolo cortometraggio amatoriale. Questo racconto, infatti, lo avevo pensato per immortalarlo su pellicola, poi, la trama mi piacque così tanto che non volli sprecare una così bella idea in un filmato low-cost. Restò tutto un po’ aleatorio nella mia testa fino al 2004. In quell’anno, in una notte d’estate, dopo una grande sbornia mi disattivai come un robot in un angolo ed iniziai a fantasticare. Un lungo sogno ad occhi aperti durato diversi minuti. Quando mi rinvenni, ogni scena era ben chiara nella mia mente, dovevo solo appuntarvela. Corsi al Bar e segnai tutto su un fazzoletto. Per gli 8 anni successivi altri fogli, post-it ed appunti sul cellulare andarono via via crescendo fino al 2012. Avevo da poco avuto una bruttissima discussione con il mio amico Mirko, che compare nel libro. Me ne ero tornato a casa prima arrabbiato come non mai e visto che era presto accesi il pc con dentro tutti gli appunti, in quel momento pensai: “cavolo adesso lo metto nel mio libro e lo faccio morire nel peggiore dei modi”. Ho aperto il mio Word ed ho iniziato a digitare quello che solo dopo due mesi era un prodotto finito. Quando arrivai alla sua parte ovviamente avevamo già fatto pace da tempo ma intanto avevo iniziato e tante pagine erano già state scritte… cavalcai l’onda buona.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Maurizio Rossi - Sono cresciuto con i racconti di Stephen King e Philip K. Dick che mi hanno infuso indubbiamente quel senso cupo della narrazione avvolta nel mistero e nel soprannaturale fantascientifico. Forse però, tra tutti, è la saga di Philip Pullman “Queste oscure materie” ad avermi conferito l’intreccio narrativo che riconosco in molti dei passi del mio libro. In altri punti, invece, mi sono avvicinato alla soggettiva romanzata leggera dei racconti delle sorelle Brontë.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Maurizio Rossi - Molto più influenti della letteratura, a mio avviso, sono stati il cinema e la televisione. Si potrebbe dire che nella mia mente, quando scrivevo, avevo ben chiare davanti a me le immagini come se si trattasse di una pellicola in fase di produzione. L’intero libro potrebbe essere visto come una lunga sceneggiatura estesa. Nell’aldilà del confine compaiono inoltre chiari riferimenti al telefilm “The lost room” di Craig R. Baxley e Michael Watkins.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Maurizio Rossi - Il mio è un romanzo di fantascienza, trovo che le storie debbano portarmi via dal mondo reale. Deve essere un viaggio, devono farmi scoprire nuovi usi e costumi. Trovo che le storie troppo veritiere finiscono per annoiarmi poco dopo, i soliti problemi che già conosco applicati a nuovi personaggi. Tutto è un già visto, un già sentito.
Potrei mettere i romanzi di avventura al secondo posto, quelle cose possibili ma che difficilmente riuscirebbero ad avverarsi. Thriller e Gialli in coda, ma solo per la curiosità e il mistero che ci gettano addosso a volte anche in modo sleale.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Maurizio Rossi - Simpatica domanda, sono un grande appassionato di tecnologia e mentirei se non dicessi che ho trovato il formato eBook molto più comodo da trasportare e da tenere in mano.
La sensazione di avere l’oggetto fisico, però, supera ogni cosa. Il libro fisico è un cimelio, qualcosa che non finisce nel dimenticatoio. È lì, ingiallisce ed invecchia con te… ha un odore ed un feedback tattile che non può essere replicato. Tirando le somme, se non fosse poco economico, comprerei entrambi, uno lo terrei sullo scaffale di gran cura, l’altro lo porterei con me e lo leggerei appena possibile. Non si può mai sapere quando si riesce a trovare un po’ di tempo utile durante la giornata… non posso trascinarmi dietro l’intera libreria!
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Maurizio Rossi - È stata dura iniziare a scrivere ma una volta partito è stato come un droga. Ho scritto ogni giorno per quattro o cinque ore, ho passato un’estate a scrivere invece di stare fuori e godermi la vacanza. Avevo tutto in testa e dovevo sbrigarmi a riordinarlo prima che andasse perso. Non sono state ovviamente tutte rose e fiori: più di una volta mi sono bloccato ed oltrepassare questi ostacoli non è stata cosa facile. Il trucco era scrivere anche se non si aveva più niente da dire, trascinare la storia come un bue con l’aratro fuori dalle situazioni lente e poco avvincenti. Caricare le salite come un ottovolante e godersi le discese di puro piacere e divertimento nello stendere il tutto.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “L’aldilà del confine” se non lo avesse scritto.
Maurizio Rossi - L’aldilà del confine è il viaggio nel mondo dei morti raccontato con la naturalezza con cui un amico ci racconterebbe la sua ultima vacanza. È una possibile interpretazione di cosa ci aspetta, di come potremmo ritrovare i nostri cari. È qualcosa di indescrivibile ma reso tale. Chi non vorrebbe il superpotere di poter attraversare quel confine con la semplicità con cui si apre una porta? Comprerei il libro per potermi immedesimare in quel protagonista ed affrontare anche io assieme a lui quel viaggio. L’immagine di copertina, poi, parla da sola; un’illustrazione creatami da un mio grande amico nonché fantastico artista e grafico: Alessio Arcari. Quel portale in pietra che brilla di luce propria in una scura notte invernale e ci focalizza sul suo paesaggio interno che si affaccia in quella calda giornata soleggiata d’estate; con quella stradina e quel prato verde che ti richiamano a loro come delle sirene ammaliatrici: entra nel portale… va verso la luce… compra il libro!
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Maurizio Rossi - Ciò che sto per scrivere è qualcosa che ho già scritto. Prima ancora di “Aldilà del confine”. Da piccolo avevo scritto tre racconti di una unica storia: “il mare, la montagna e la città”. Tre viaggi di un gruppo di ragazzi rimasti orfani a causa di una catastrofe sovrannaturale. Dati per morti dalla società, scapperanno verso la salvezza tentando di sopravvivere e di sconfiggere la causa di tutto ciò che era accaduto.
Avevo 12 anni quando ho scritto il mio primo capitolo di questa storia, ovviamente vedevo il mondo con occhi diversi, lo stile e le vicende sono state attualizzate ma la storia, pur cambiando, lascia poco spazio al possibile invecchiamento. I protagonisti sono dei bambini ed anche il libro alla fine dovrebbe essere destinato a questo target.
Collana Gli Emersi - Narrativa
pp.284 €13.00
ISBN 978-88-591-2972-1
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