| «Volevo entrare dentro ad un elemento microscopico, scomporlo e misurarne la potenza. Questo è il significato di Moscerine»
Moscerine, il titolo della raccolta di racconti di Anna Marchesini, è una parola che non esiste in italiano se non al maschile, ma che è stata coniugata al femminile perché al centro dei racconti ci sono le vicende esilaranti di donne alle prese con alcune realtà grottesche.
In queste pagine troviamo nove racconti umoristici, che hanno in comune la presenza di imprevisti insignificanti (moscerine, appunto): «un tarlo, un insetto che si insinua sornione nella trama, si intrufola, si accomoda, si incista, si nutre al buio, fa la tana, corrode, si ingrassa, prolifica, crepa e deflagra» - come si legge in quarta di copertina -, fino a consegnarci un finale rovesciato che spinge i personaggi verso disgrazie cariche di risvolti comici da rasentare la farsa.
«Volevo entrare dentro ad un elemento microscopico, scomporlo e misurarne la potenza. Questo è il significato di Moscerine» ci avvisa la Marchesini.
«Mentre scrivevo questo libro stavo finendo di leggere, per la seconda volta, la raccolta delle novelle di Pirandello. Si tratta di un “tomone” di un migliaio di pagine e, ogni volta che lo aprivo, mi sembrava di sentire voci: dentro quel libro, con decine e decine di racconti, c’era tutto un mondo, una popolazione di persone, di vite, di storie, di colori diversi, come fossero brevi romanzi più che racconti».
La scrittura che descrive queste storie, conforme alla materia narrata, si fa analitica, e poi cambia e diventa enfatica, aggiunge aggettivi quando deve farci avvertire il crescendo di una situazione che si sta “gonfiando”; ci fa abbozzare un sorriso, che si trasforma in una risata e che non è esente dall’amarezza e anche dall’invito a una breve pausa di riflessione sugli strani intrecci del destino. Una scrittura complessa, che attraversa e ci restituisce stati d’animo differenti e situazioni contrastanti.
«Scrivo fatti che non ho vissuto e che non ho visto, ma che mi arrivano da dentro, che sono sicuramente la somma delle forze, degli stimoli, degli impulsi che hanno agito in me. Io sono innamorata dell’esistenza delle persone, qualsiasi vita mi attrae.
In questo libro ho voluto raccontare storie in cui fossero protagonisti degli oggetti, come ad esempio la torta di matrimonio. Ho passato tanto tempo a descriverla, quasi fosse una cosa sacra, per poi sgretolarla (questo è un gioco della comicità): per cui la fine del racconto è raccapricciante, per tutto quello che succede alla torta e a chi la mangia».
Il racconto L’odore del caffè è dedicato ai mercoledì passati a Orvieto, in quella che è stata la cittadina, in gioventù, di Anna Marchesini. «Tutti i mercoledì, in un negozio che si chiamava “Gli Svizzeri” (i proprietari però parlavano italiano benissimo) veniva comprato il caffè, macinato, tostato e poi venduto in appositi sacchetti. E quel giorno, nella piccola cittadina, cominciavi a sentire l’odore di caffè dal mattino, nel pomeriggio eri sonnolento, alla sera eri fatto».
Poi si vedrà ci presenta una moscerina di altro tipo: una situazione in cui ci si rende conto di qualcosa all’improvviso. «Questa condizione, che si chiama “annizione”, capita alla protagonista proprio mentre si sta sposando – spiega l’autrice – e, da qui, ci saranno altre conseguenze».
Talvolta stravaganti, talaltra divertenti, questi racconti - scritti con eleganza, ironia e leggerezza - mettono in scena figure semplici, normali, dell’universo femminile; piccoli mondi da assaporare fino in fondo.
Articolo di Alessandra Basso, pubblicato sulla rivista Orizzonti
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