| Vito Bruschini nasce a Roma, dove inizia a lavorare nel cinema come soggettista e sceneggiatore, affiancando grandi maestri come Roberto Rossellini. Realizza poi documentari e reportage a carattere culturale per la televisione e il multimediale. Con Giorgio Bocca è coautore di “Storia degli Italiani - Dall’Unità al Terrorismo”. Passa poi al giornalismo, dove dirige testate di viaggi, scienze e cultura, come l’attuale Globalpress Italia. Rappresenta per il teatro un dramma storico, sul giorno del bombardamento di San Lorenzo a Roma. Attualmente è uno degli autori di maggior successo della Newton Compton. I suoi romanzi sono stati tradotti e pubblicati in otto Paesi.
Domanda - Quando si è reso conto di voler fare lo scrittore?
Vito Bruschini - «Ho iniziato alla fine degli anni Settanta, lavorando nel cinema come aiuto regista. A partire da questa esperienza, raccontare storie è stato quasi consequenziale. In quel periodo, quando si giravano oltre 270 film all’anno, ho scritto un po’ di quei film che oggi chiamano “poliziotteschi”. Qualche titolo? “L’Interrogatorio; Il testimone deve tacere”; “Istantanea per un delitto…” tutta roba che non è entrata nella storia del cinema, ma che faceva campare un bel po’ di gente, maestranze comprese. Poi ho anche scritto, e diretto, il film per ragazzi “Zanna Bianca e il Grande Kid”, che ha ottenuto diversi premi, tra cui quello del Festival Internazionale del Cinema di Sorrento. Il mio mestiere di scrivere comincia così.
In seguito ho abbandonato il cinema perché volevo raccontare storie più coinvolgenti, ma a quel tempo i produttori volevano soltanto film che copiassero pellicole già uscite e di successo. Così mi sono direzionato prima verso la televisione, poi verso il giornalismo. Alla fine degli anni Ottanta ho diretto testate come “Quark Magazine”, “Geos”, “Archeology”, “Cronache del XX secolo” e altre. Scrivere è stata sempre la mia unica passione. Non ho fatto che questo nella mia vita».
Domanda - Ha avuto maestri di riferimento?
Vito Bruschini - «I primi naturalmente, vista la mia prima passione per il cinema, sono stati i nostri grandi maestri del neorealismo. Ho avuto la fortuna di lavorare - in realtà ero l’assistente, dell’assistente, dell’assistente - nelle ultime opere televisive di Rossellini, quelle didattiche per intenderci, e questo suo imprinting me lo porto dietro ancora oggi. Tutti i miei romanzi hanno una forte connotazione storica. Per quello che riguarda gli scrittori invece, oltre agli immancabili classici russi, ce n’è uno che al liceo mi ha molto influenzato e appassionato, e che invece è odiato dal novantanove per cento dei ragazzi: è Alessandro Manzoni. La fortuna è di avere avuto una professoressa che ha saputo farmi amare “I Promessi Sposi” facendomi entrare nella psicologia di quei grandi personaggi manzoniani, dei veri giganti. Ecco, tornando alla domanda precedente, è stato lì, sui banchi del liceo che ho sognato di poter raccontare storie come lui».
Domanda - Un libro che le ha cambiato la vita?
Vito Bruschini - «La mia generazione si è nutrita di Jack Keruac: “On the road” ha dato a tutti noi quegli stimoli che, almeno io, ci portiamo ancora dietro».
Domanda - Il genere letterario in cui preferisce cimentarsi?
Vito Bruschini - «Il genere che preferisco è il risultato di tutta la mia storia. Mi spiego: dopo il cinema e prima del giornalismo, ho girato, scrivendoli e dirigendoli, circa trecento documentari. Poi è venuto il giornalismo. Ho dunque un forte attaccamento alla realtà, alla cronaca, alla storia contingente. In più mi intestardisco nel voler capire come le cose sono iniziate. Se non parto dalle origini, non vado avanti. Per tornare alla sua domanda, in qualsiasi genere io mi cimenti, devo contestualizzarlo fortemente nel periodo in cui si svolge, altrimenti mi sembrerebbe di scrivere una favoletta. Per esempio, ho vissuto gli anni del terrorismo e della contestazione. Io ero e sono un pacifista convinto e quando, dopo le prime dimostrazioni, i miei compagni e amici hanno iniziato a scendere in piazza con sassi e spranghe, mi sono ritirato in buon ordine. Sono arrabbiato con di loro, perché con le armi della ragione avremmo potuto fare molto di più: Gandhi insegna. Ho detto questo per spiegare che mi sono dedicato soprattutto a romanzi legati al terrorismo, alla criminalità organizzata e alla mafia. Per esempio il mio primo romanzo, “Father”, che è stato tradotto in nove Paesi e sta per uscire anche in America, è la storia delle origini della mafia».
Domanda - Il suo ultimo romanzo, “Educazione criminale”, è caratterizzato da una cornice storica complessa e molto ben articolata; in quanto tempo si scrive un romanzo che presenti precisi riferimenti storici, rispetto a uno di semplice finzione?
Vito Bruschini - «Questo romanzo è la dimostrazione di quanto le dicevo prima. Dovevo scrivere del clan dei Marsigliesi e ne è uscito un romanzo sugli anni della strategia della tensione, perché i Marsigliesi ebbero una parte importante in quella stagione. Naturalmente la preparazione è molto lunga, ma per me anche la più appassionante. I miei romanzi sono per un po’ anche dei saggi. Ma credo che oggi ogni scrittore imposti il suo lavoro in questo modo, a meno che non affronti un racconto di pura fantasia».
Domanda - Il protagonista del libro, Brando, lungi dall’essere un super eroe, potrebbe essere definito il simbolo di un’umanità “minore”, quella che subisce piuttosto che determinare, gli eventi storici?
Vito Bruschini - «Il mio personaggio è come uno di noi. Ci diamo delle mete, facciamo dei progetti, ma alla fine il destino ci mette lo zampino e ci indirizza dove vuole lui. A seconda della direzione che ci fa prendere, la nostra vita può avere dei risvolti positivi o negativi. Brando ha avuto la sfortuna di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, per questo diventa quello che diventa: un freddo e lucido delinquente, anche se in fondo al suo animo non è così. Riuscirà a far emergere il meglio di sé grazie all’amore per una ragazza».
Domanda - Quanto è utile, per uno scrittore, avere uno “sguardo laterale”, porsi in diverse prospettive, per descrivere gli eventi?
Vito Bruschini - «Diciamo che è fondamentale. È la base del nostro lavoro perché è indispensabile avere la mente aperta a qualsiasi realtà. Non esiste un’unica verità: a seconda dei punti di vista muta in continuazione. Se non si ha questa duttilità mentale, si diventa dispensatori di verità personali, che secondo me, è il contrario dell’essere scrittori. Più si conosce, e più si dubita».
Domanda - È importante, per un artista, essere impegnato socialmente?
Vito Bruschini - «Per quello che mi riguarda è fondamentale. Chi ha la fortuna di esprimere le proprie idee ha una grande responsabilità verso la società in cui vive. Non può vivere distaccato da essa. Per quanto mi riguarda, l’impegno sociale è il motivo stesso di questo mestiere».
Domanda - Ha pensato di poter fare una fiction tv, oppure un film, di questo suo libro?
Vito Bruschini - «Ci sta già lavorando un produttore italiano. Sarà una coproduzione francese, ma ancora è presto per dire di più. Nel cinema oggi si fanno mille progetti, ma pochi arrivano in porto».
Domanda - Ci sarà un seguito alla storia di Brando?
Vito Bruschini - «No. Non sono molto favorevole alle trilogie, ai prequel o ai sequel. Mi piace sviluppare nuove idee e nuove storie. Però non vuol dire che non farei mai un seguito di qualche mia storia, per ora non ci penso».
Domanda - Qual è l’importanza del famigerato clan dei Marsigliesi, negli anni di piombo della nostra storia?
Vito Bruschini - «Alcuni “pezzi” delle nostre istituzioni, negli anni che vanno dal ’64 al ’70, si sono serviti della criminalità organizzata per creare paura e insicurezza nei cittadini. Il clan dei Marsigliesi è stato il primo a essere usato a metà degli anni Sessanta per questo scopo. Perché proprio loro? Perché in quegli anni in Italia non c’erano criminali capaci delle loro gesta clamorose. Alcuni componenti della banda provenivano dalla Legione straniera, quindi erano ex-militari della peggiore specie. Poi vennero i vari Turatello e persino la mafia fu utilizzata per spargere terrore con omicidi eccellenti, sequestri e stragi».
Domanda - Tra le varie attività artistiche cui si dedica - teatro, sceneggiatura, regia, scrittura, giornalismo - in quale si riconosce di più?
Vito Bruschini - «In questo momento sicuramente in quella di scrittore. Anche se la mia passione nascosta rimane il teatro».
Domanda - Se dovesse trascorrere un lungo periodo di isolamento, quale libro (o libri) porterebbe con sé?
Vito Bruschini - «Porterei libri che non mi stancherei mai di leggere, come Manzoni, un po’ di Proust e certamente Dostoevskij. Ogni volta in questi autori scopri una frase, un tratto psicologico che ti erano sfuggiti nelle letture precedenti».
Domanda - Se ha del tempo libero, come lo impiega?
Vito Bruschini - «Coltivo due delle mie passioni: vado al cinema e a teatro».
Domanda - Progetti futuri?
Vito Bruschini - «Ho terminato proprio in questi giorni l’ultimo romanzo che uscirà a Natale, sempre edito dalla Newton Compton. È un romanzo sconvolgente perché spiega, in forma narrativa, da dove proviene veramente la crisi economica, ma anche etica, che stiamo vivendo in questi anni».
Articolo di Alma Daddario, pubblicato su Orizzonti n.43
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