| Davanti a te mi vedo nello specchio che non accetta mutamenti,
né cravatta nuova né la pettinatura così. Lo vedo che è questo
che tu vedi che io sono, il pezzo che si è staccato dal tuo sogno,
la speranza a boccasotto e coperta di vomiti.
Madre, tuo figlio è questo, abbassa gli occhi perché si azzitti
lo specchio e possiamo riconciliare le nostre bocche.
A ogni lato dell’aria parliamo di cose diverse con uguali parole.
Sei una colonna di cenere (io ti ho bruciata), un asciugamano sull’attaccapanni
per le mani che passano e si fregano, un enorme gufo dagli occhi grigi
che spera ancora la mia nomina decorativa, la mia dichiarazione conforme alla giustizia,
alla bontà del buon vicino, alla morale radiotelefonica. Non posso allegarmi, mamma,
non posso essere ciò che ancora vedi in questa faccia. E non posso essere altra cosa in libertà,
perché nel tuo specchio di blando sorriso c’è l’immagine che mi schiaccia, il figlio vero e a misura di madre,
il buon pinguino rosa che va e viene e tanto coraggioso
fino alla fine, la forma che mi hai dato nel tuo desiderio:
onorato, affettuoso, diplomato, pensionabile.
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