| L’ennesimo romanzo-racconto dell’amico Antonio D’agosto (Mazzola) ha come contenuto una storia semplice e quasi inverosimile, dati i tempi in cui viviamo. Considerando il fatto che ogni persona porta nei suoi racconti una parte essenziale del suo background culturale-formativo, ciò che viene narrato nel libro appare stupefacente e inatteso per vari aspetti: per il lettore nuovo che legge per la prima volta lo scritto dell’Autore e per il lettore già aduso alla sua scrittura concisa ed essenziale. E ancora di più per chi, come me, ha condiviso con l’Autore, in una certa misura, esperienze, impegni e vicende pubbliche e private, nel corso degli anni.
Dal primo lavoro (‘La vigna di Peppo’) a questo molta acqua è passata sotto i ponti. E forse in qualche punto essa è straripata, inondando, a sua insaputa, terreni e campi rimessi a nuovo, con tecniche e modalità di coltivazione antiche, perdute nella notte dei tempi.
Che cosa appare subito agli occhi del lettore vecchio e nuovo? Il tentativo audace e sisifico di raccontare problematiche complesse in forme semplici; di raccontare in breve, ed entro poche pagine, processi complessi di vita vissuta, e addirittura ‘conversioni’ religiose e cambiamenti profondi di personalità come fossero delle vicende quotidiane e quasi ordinarie. E cosa c’è di straordinario in questo? Appunto questo termine - ‘straordinario’ - che ci fa da guida: parlare dello straordinario in forma ordinaria, quasi naturale.
Le vicende narrate si svolgono nel continente brasiliano ed hanno per protagonisti gente comune, ma con il proprio destino già segnato. C’è il delinquente che resta delinquente e c’è il delinquente che si redime e alla fine diventa frate. C’è una suora che rimane suora e si comporta da suora per tutto il tempo. Quasi ogni personaggio rispecchia e rispetta ciò che il ‘divino’ o l’Autore ha in serbo per lui.
Tutto ciò che avviene è raccontato al presente, in modo ordinario. Solo i brevi racconti delle vite di ognuno vengono giustamente descritti al passato. Ogni personaggio racconta a qualcun altro la sua storia. Si avverte come un bisogno impellente, per ognuno, di raccontare la propria storia, anche senza esserne richiesto.
A parer mio una necessità vitale per lo stesso Mazzola, quella di raccontare qualcosa a qualcuno, compresi i fatti della propria storia personale e familiare. Eh, già… la nostra ‘storia’, un vero e proprio serbatoio, a volte reale, altre volte fantasmatico, cui attingere. Un calamaio ‘storico’ del passato, nel quale intingere la penna da parte di chi avverte prorompente il bisogno di lasciare tracce scritte del suo passaggio, nonché della sua evoluzione mentale e spirituale.
Il passato e il presente dei personaggi del libro si dipana in forma quasi lineare, già quasi del tutto pre-determinato e archiviato come una specie di dato digitale nell’hard-disk dell’Autore che tesse la trama. Per questo, non c’è alcuno stupore da parte dell’Autore stesso. Egli assiste alle vicende e le narra in modo ‘distaccato’, in una specie di empireo, sorretto, come sembra, da una fede quasi assoluta nel soprannaturale e nel divino, e soprattutto nelle certezze cristiane e nelle ‘verità’ rivelate agli eletti.
Naturalmente il libro, in quanto narrazione di eventi reali e surreali, non è scevro da paradossi, inerenti nella nostra cultura e puntualmente ripresi dalle considerazioni cui l’Autore o i suoi personaggi di volta in volta si lasciano andare.
Da una parte ci sono le considerazioni ecologiche e le lodi sui costumi degli indigeni dell’Amazzonia, che vivono la loro vita nel rispetto della natura e del creato. E qui ci sono le prese di posizione ‘ecologiche’ e le condanne decise sullo sfruttamento delle risorse della foresta amazzonica (anche questo un tema antico e sempre attuale). Abbiamo sempre più bisogno di maggiore equità e giustizia in tante zone della terra, a cominciare dal Brasile, per finire nel nostro paese, nazione o villaggio che sia. Complimenti, amico mio, per la condivisione degli antichi ideali!
Dall’altra parte sono altrettanto nette le discettazioni di Arlindo ‘convertito’ su altri costumi e comportamenti degli stessi indigeni, che vengono valutati con una presunta aria di superiorità e sicuramente di pretesa di conoscenza della verità, da parte sua. A proposito del tentativo da parte dello stregone, oltretutto di aiutare a guarire la suora ferita, a pag. 92-93 si può leggere ciò che Arlindo pensa e testualmente dice alla suora:
«Tra poco verrà lo stregone col suo aiutante, lasciate che compiano i loro riti propiziatori, voi fate finta di non vedere e non sentire. Lui dice che riesce a individuare la sede degli spiriti e interpretare i loro voleri. Noi sappiamo benissimo che non è così…», «Appena guarita, potremo tornare senza problemi tra la nostra gente».
Naturalmente la guarigione fisica è sempre ben accetta, da qualsiasi magia o credo religioso provenga, falso o vero che sia. Poi… «potremo tornare senza problemi tra la nostra gente». Senza problemi… Tra la nostra gente… Non molto edificante! Qui Mazzola interpreta alla perfezione e in modo realistico il pensiero fondamentalista, insito in molte religioni, di chi è convinto della superiorità e dell’infallibilità del suo credo.
La prosa del libro è asciutta, essenziale e non cede a fronzoli. La prosa di un racconto orale, appunto. E credo che questa fosse l’intenzione dell’Autore: una specie di sfida quella di raccontare in forma scritta ciò che può essere tramandato a voce. Al lettore medio sembra quasi uno sconvolgimento dei canoni. E dei ruoli.
Quello che sembra il personaggio principale (Arlindo) diviene secondario e quello di suor Genoveva, che sembra secondario, diventa di primo ordine e dà il titolo a questa prima storia. Ma Arlindo, ahimè, non potrà rifarsi nemmeno nella storia successiva, in quanto il personaggio principale sarà ancora lui ma nelle sue nuove vesti di frate (Fra’ Marcos).
E così alla fine sopravvivono due personaggi, perfettamente inseriti nei contesti di appartenenza religiosa, con una missione imperiosa da compiere: riportare il senso di giustizia e di ecologia nel mondo, magari sradicato nel tempo da persone appartenenti alla stessa fede, e nel nome della presunta superiorità razziale e/o culturale. Sradicato! Sradicato proprio come sta accadendo proprio in questo momento con quest’ennesimo albero che sta stramazzando al suolo, e non solo nella foresta amazzonica. Asportare le radici altrui, di alberi, animali o di popolazioni, è un atto di cui tutti siamo in parte responsabili e di cui tutti patiremo le conseguenze. Aspettando Fra’ Marcos…
Collana "Gli Emersi" - Narrativa
pp.120 €13.00
ISBN 978-88-591-2437-5
Il libro è disponibile anche in versione e-book http://www.alettieditore.it/emersi/2015/d_agosto.html#sthash.c01wZRPn.dpuf
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