| Sul «Mattino» del 3 febbraio, un articolo che parla del libro «Dieci giorni» (Aletti Editore) di Giuseppe Battista: il racconto del dolore di un padre che ha visto morire la propria figlia e l’ha ritrovata nel sorriso di chi ha ricevuto i suoi organi
Tra il 7 e l’8 novembre del 1917, il giornalista John Reed fu testimone dei dieci giorni che sconvolsero il mondo: la Rivoluzione Russa. Il romanzo-diario «Dieci giorni», edito da Aletti, scritto da Giuseppe Battista, salernitano, residente da anni in Svizzera, è la tragica, definitiva sequenza di un dramma familiare. «Per quella Pasqua avevo deciso di sfruttare il lungo weekend per trascorrere qualche giorno in montagna con Alexia e Gioia le mie figlie più piccole. Mia moglie Doris e la mia figlia maggiore Daniela non erano venute con noi, così decisi che saremmo rientrati presto quel Lunedì dell’Angelo, in modo da invitare tutti a cena per festeggiare insieme la Pasqua.» Questo l’incipit , il capito zero, l’introduzione al dramma: era il 12 aprile, lunedì sera a Lugano. Dopo il capitolo introduttivo «Il giorno prima», in cui regna un’atmosfera di festa familiare, che in realtà sarà il prodromo, la vigilia di un incubo senza fine, ogni capitolo racconta un giorno dei dieci di passione e poi morte di Daniela.
Era il 2010. Sono dieci giorni in cui si intrecciano ansia, speranza e un oceano di disperazione senza domani. Poi come una appendice infiammata e incurabile, quattro capitoli raccontano i giorni dopo, il sipario calato sulla vita della ragazzina e la speranza donata a chi ha ricevuto i suoi organi. Il libro cristallizza, come in una goccia d’ambra, tutto il dolore e le domande sulla vita possibili dei genitori adottivi di Daniela: Giuseppe e Doris. Un po’ di mondo compare nel racconto con presenze e dialoghi in altre lingue, francese, inglese, spagnolo. Il fiore non mai maturo di Daniela rivivrà in spazi e corpi lontani, non tra le braccia di chi l’ha saputa amare fino all’ultimo respiro: c’è, oggi, chi vede con i suoi occhi e palpita con il suo cuore e forse nei sogni, a volte, si materializzeranno i volti dei suoi genitori e le carezze di quei cinque anni più dieci drammatici giorni di una rivoluzione che nessuno sperava dalla vita alla morte.
«Quattro anni fa ho perduto mia figlia a causa di un’improvvisa emorragia cerebrale. Avevo adottato Daniela 13 anni prima, quando lei aveva 9 anni»: questo il racconto, il grido di dolore, la preghiera, le speranze, di Giuseppe Battista che descrive i suoi ultimi dieci giorni trascorsi nel reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Cantonale di Lugano. È una storia di immensa disperazione, per la perdita di una figlia, ma anche il rifugio di un infinito amore e la dimostrazione che al dolore si può reagire con la generosità, l’attenzione verso gli altri che soffrono. «Il mio pensiero va alle persone che grazie alla donazione degli organi di mia figlia, possono continuare a vivere ancora e meglio»: l’augurio e l’ancora di speranza dell’autore. Nella storia si intrecciano, inevitabili, i temi, i come e i perché dell’adozione e della donazione degli organi. La protagonista della storia è Daniela, i genitori adottivi sono i testimoni della vicenda e co-protagonisti. Tra i momenti più delicati, oltre alla lettura del “gelido” bollettino sanitario che suona come una condanna definitiva, c’è anche e soprattutto l’angoscia e la decisione di donare gli organi, su richiesta dei medici, mentre il cuore di Daniela batte ancora.
Giuseppe Battista, classe 1961, è nato sa Salerno; dopo la laurea in informatica nella nostra università, si trasferisce per lavoro prima a Roma, poi in Svizzera, dove risiede dal 1989, prima a Lugano e poi a Berna. Dopo le vicende narrate nel libro ha ridotto la sua attività lavorativa per dedicarsi alla famiglia.
Articolo di Marcello Napoli
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