| “En blanc et noir”è un brano pianistico della maturità estrema di Debussy, che associa le due tonalità, comparandone la valenza musicale e l’allure coloristico e perciò intimamente caratteriale connesso alla percezione e al mito delle due tonalità di colore, che sono appunto due tonalità in ambito musicale, più che due colori intensi in senso proprio.
Il romanzo di Cristina Vece à un Bildungsroman, un romanzo di formazione connesso all’esplorazione delle tonalità del carattere e della bellezza come percezione dell’esperienza propria nel rapporto conflittuale tra entità apparentemente opposte all’interno della vita di un carattere.
La protagonista, Alexena, il nome già in sé raccoglie almeno due entità foniche tradizionali del “nome”, vive una esperienza di straniamento da sé e dalla società e passa attraverso la terapia psicoanalitica e il disagio di un disorientamento all’interno della realtà, per approdare attraverso la via dell’esperienza sentimentale alla coscienza che la musica in lei ha il potere suggestivo della missione.
Di questo aspetto si occupa Gianluigi Capitanio, nella sua introduzione al romanzo della Vece – il poeta e critico esplora il motivo forse più importante connesso all’opera: l’aspetto sociale della duplicità e la difficoltà che prova la comunità “profana” nel momento in cui deve rapportarsi alla personalità “bipolare”, con tutte le sue sfumature e la sua ricerca di identità, che può avvenire solo intimamente all’irrisolto entro la sua stessa entità.
Una sintesi dell’opera potrebbe essere che l’individuo vivente nella situazione doppia non può essere capito dalla società, perché la società, in genere almeno, ha fatto della doppia natura dell’uomo un problema fisiologico ed un pericolo da occultare, più che da affrontare e tanto meno da definire.
La passione per la musica e per l’arte in genere della protagonista/autrice risolve il dilemma, spostando il problema dalla sede sociale a quella interiore: il doppio trova un suo motivo solo nella propria massima esplicazione, ossia nell’arte, facendosi assorbire dalla potenza ulteriore di un linguaggio che non congela il suo essere, ma gli permette di definirsi nell’area metafisica dell’estetica – l’uomo è in quanto è dentro sé stesso, come ci insegna Oscar Wilde nel suo saggio “The Soul of Man under Socialism”, che non è un saggio di politica, ma un trattato sulle armi estetiche che possiede lo spirito per migrare dalla regione dell’essere a quell’altra, esoterica, dell’essere “oltre”.
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