| Il libro mostra come l’istituzione della Corte Penale Internazionale rappresenti l’ultimo passo nel quadro dello sviluppo progressivo del diritto internazionale penale, che affianca analoga dinamica registrata nel campo del diritto dei diritti umani, entrambe orientate ad affermare, con sempre maggiore determinazione, l’emersione del rilievo giuridico dell’individuo nel diritto internazionale. Si illustra come, al fine di dare effettività a principi e valori affermatisi nel tempo, la comunità internazionale abbia operato, da un lato, assicurando la punizione dei colpevoli, prima con dei tribunali ad hoc ed ora con una corte permanente, dall’altro utilizzando lo strumento delle missioni di supporto alla pace. Il nobile tentativo di punire gli autori dei crimini più orrendi e di prevenire, con la deterrenza, simili fatti per il futuro, si scontra, però, con molti limiti ed alcune contraddizioni di principio. Tra i limiti v’è la mancanza di ratifica dello Statuto della Corte da parte di molti paesi, il ristretto ambito della competenza ratione materiae ed i stringenti requisiti per l’ammissibilità del caso. Ciò rende estremamente circoscritto il raggio d’azione della Corte ed assolutamente improbabile che essa venga chiamata a sanzionare le condotte dei peacekeepers, anche qualora, malauguratamente, fossero gravissime, con il rischio di trasformare le immunità in potenziali impunità. Si dimostra che l’ostruzionismo della precedente amministrazione USA verso la Corte, volto a schermare i propri peacekeepers, non ha ragion d’essere perché il principio della complementarità, unitamente alla necessità di ricorrere al Consiglio di Sicurezza per poter forzare gli Stati a cooperare, rende invalicabile il muro che, un ordinamento giuridico avanzato di uno Stato membro permanente del Consiglio, può ergere in qualsiasi istante. Si rimarca la posizione assunta dai paesi europei ed africani, alcuni dei quali, però, non hanno ancora adeguato l’ordinamento interno alle previsioni statutarie. Si lamenta infine l’assenza, slavo rare eccezioni, di meccanismi che coordinino attività di indagine dei peacekeeper e corti internazionali. In una prospettiva de jure condendo, si sposa l’idea di adottare una convenzione sulla responsabilità penale dei peacekeepers ed istituire un tribunale internazionale ad hoc per giudicarne i casi di maggior rilievo. Questo pur nella consapevolezza che i tempi, per una tale rinuncia a poteri sovrani, non siano ancora maturi.
Pierpaolo Sinconi è nato a Trieste, figlio di profughi istriani, il 17 settembre 1969. Si è laureato in Economia e Commercio ed in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Trieste ed in Giurisprudenza, in Scienze della Sicurezza ed in Scienze della Sicurezza Interna ed Esterna all’Università di Roma “Tor Vergata”. Ufficiale dell’Arma, è stato schierato nelle missioni in Bosnia Erzegovina, Kosovo ed Iraq. Ha svolto, per conto della Commissione Europea, uno studio sui centri di peacekeeping africani. Ha insegnato presso centri di formazione per il peacekeeping in Africa, America, Asia ed Europa, tra i quali l’International Peace Support Training Center di Nairobi, il Defense Institute of International Legal Studies di Newport, la Scuola NATO di Oberammergau e l’International Institute of Humanitarian Law di Sanremo. È stato conferenziere in numerosi consessi internazionali ed Università italiane. Fa parte del gruppo di esperti in peacekeeping e peacebuilding dei paesi del “G8”. Nel 2011 ha pubblicato “Missioni di Supporto alla Pace e Interventi Umanitari tra Storia e Diritto”. Dal 2006 insegna Diritto Internazionale e Diritto Internazionale Umanitario presso il Centro di Eccellenza per le Stability Police Units di Vicenza.
Collana "Saggistica Aletti"
pp.500
ISBN 978-88-591-1662-2
Il libro è disponibile in versione e-book a €5,49
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