| Al Premio Nazionale 2014, Poesia Edita Leandro Polverini - Anzio, il libro di Valentina Tagliabue "Il pianto segreto delle cose" (Aletti Editore) ha ottenuto l’assegnazione del 1° posto assoluto, con la seguente motivazione: “Il linguaggio sempre limpido e trasparente della poetessa lombarda attraversa la musicalità del verso tramite una ben sedimentata familiarità con la cultura classica. Dall’Autrice scaturisce una lirica intimista ricca di moderna sensibilità per il mondo e la vita, che spesso va oltre la gioiosa contemplazione della natura per divenire riflessione esistenziale. La raccolta riverbera una costante spinta verso spaccati poetici, che ispirano curiosità di vedere e di sentire pienamente i nodi preziosissimi e liquidi del disincanto.”
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La recensione di Tito Cauchi, Presidente del Premio
VALENTINA TAGLIABUE, IL PIANTO SEGRETO DELLE COSE, Aletti Editore, Villanova di Guidonia (RM) 2014, pp. 76, € 12
Valentina Tagliabue, giovane poetessa lombarda, dai molteplici interessi, è nata emettendo stilli, anziché strilli (un gioco di parole ispiratomi dalla lettura della Nostra). La Poetessa ha dato prova di sé ricevendo premi e riconoscimenti. Con la presente raccolta, ha all’attivo quattro pubblicazioni; Il pianto segreto delle cose, riporta in esergo una citazione di Herman Hesse tratta da “Una sequenza di sogni” (1916). Nella prefazione da lei vergata, ricorda un pensiero di Joseph Conrad, sull’attenzione che le parole richiedono per un uso corretto della comunicazione e l’amore che si deve alle stesse, riconoscendone il valore nobile, lontano dalla mercificazione e dai contagi non necessari, perciò chi ne fa uso dovrebbe porsi come difensore del linguaggio. Tutta questa premessa per accompagnare la scelta di un termine (a caso), per esempio ‘piangere’ e spiegare le ragioni del titolo della presente raccolta, facendone seguire il componimento eponimo il cui verso è il leitmotiv ove spiega che “è il primo suono dell’universo,/ carezza unanime del mondo.”
Difatti la raccolta, dal titolo originale, si snoda in sei sezioni, così denominate: Lacrime dei piccoli, Lacrime inorganiche, Lacrime di natura, Lacrime di memoria, Lacrime dell’Io, Lacrime umane. Eppure mi sembra che la parola pianto non sia quella maggiormente usata e al suo posto sono gli elementi della natura tutta (appunto le cose) che ora si sfaldano, ora stridono, ora è roccia che si erode, oppure nebbia; la voce è rauca, grida, canta, tace. Lacrimose sono le “piante prefiche”.
Talvolta è assertiva e contemplativa, fa uso del refrain, nel mandare messaggi da condividere, comunque senza invadenza, così in un apparente ossimoro dilettevole, ha velato con dolcezza un dramma vero dei nostri tempi: “E poi vi è una piccola voce. Nessuno l’ascolta./ Sorge, si indigna e tramonta/ in un’alba sconfitta, in un pianto visivo./ Nessuno gli ha chiesto se fosse disposto/ a rischiare di nascere vivo./ Risparmiategli il sacco di plastica:/ l’onta già copre abbastanza;/ la vostra insolenza trascende ogni appello/ all’umana creanza.”, mentre invece, vuole denunciare un infanticidio, una voce che vuole affermare: ‘Non sono uno sbaglio’ (pag. 19).
Fra le parole che si presentano con una certa frequenza ho notato ‘fondo’, sia nel senso di profondità, sia in quello di basso; come pure ‘sabbia’, sia nel senso di nebbia, sia in quello reale del fondo marino. La Poetessa usa l’espressione lessicale prosastica, con sapienza e gusto estetico delle loro cromature, della loro natura agro-cosmica. Ci aveva avvertito sull’uso delle parole, le quali non devono svuotarsi del loro significato intrinseco.
Valentina Tagliabue paragona il poeta ad una farfalla o a una falena notturna, poiché vive struggendosi o godendo, ore ed ore, dedicandosi all’impulso della scrittura. Nel susseguirsi delle stagioni rileva che nel giardino d’Aprile “Sul pesco, si allunga una muffa o una tela./ La vita è un artista suicida. (31). Così Edgard Allan Poe “l’uomo che ha fatto un tutt’uno di veglia e di sonno./ …// morto da solo.” (47). Si può pescare a piene mani; nondimeno i suoi, sono versi che vanno centellinati. Siamo tutti frammenti di uno stesso universo. La Nostra dichiara di credere nell’uomo “In quelli dal cuore troppo grande/ che affascinano il mondo senza urlare,/ che si cullano fra arcobaleni e stelle” (65), perciò per lei non esiste il ‘mio’ o il ‘tuo’, ma esiste il ‘nostro’. Pertanto conclude: “E a noi rimane solo l’onore/ del far silenzio e dell’eseguire”. Non possiamo non prendere sul serio le sue parole. Ammirevole maturità di sentimenti e di equilibrio in una persona giovane, che riesce a scorgere nell’universo Il pianto segreto delle cose.
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