| Articolo di Sarah Minciotti pubblicato da AGENZIA STAMPA ITALIA
(ASI) Una rivisitazione del pensiero politico di Dante che lo libera dalle pastoie monarchiche ed utopiche della tradizione scolastica. Questo libro di Angelo Ruggeri, ingegnere ritornato agli studi classici, è nato come commento al libro di un autore inglese “Dante in Love” di A. N. Wilson.
Pur apprezzando la vasta cultura dell’autore, il Ruggeri ha voluto correggere le molte inesattezze nel quale egli è incorso, presentando a sua volta col libro “Il Pensiero Politico di Dante” (Aletti Editore) una sua originale e per molti aspetti nuova interpretazione delle idee politiche e religiose del nostro massimo poeta. Con una critica intensa e lucida, Angelo Ruggeri afferma che Wilson, pur dimostrando una buona conoscenza storica della vita di Dante e del periodo in cui egli visse, non ha compreso la vera personalità di Dante, né il suo pensiero, né le ragioni delle sue azioni. Secondo lo scrittore inglese, Dante come poeta è grandissimo, ma come uomo è poco coerente e come filosofo politico è votato all’assurdo: prima guelfo, cioè sostenitore del Papa, poi fanatico ghibellino, profeta di una improbabile Monarchia Universale voluta da Dio, che egli configurò in un’opera latina, intitolata Monarchia, che il Wilson giudica una raccolta di affermazioni illogiche e falsi sillogismi, al di fuori del tempo e della storia. Il comportamento di Dante al tempo della discesa in Italia dell’imperatore Arrigo VII sarebbe innaturale e le sue lettere scritte in quel periodo all’Imperatore, ai fiorentini e ai principi italiani, sembrano scritte da un folle. Anche nei rapporti personali che concernono la sfera dei sentimenti più intimi, a parere del Wilson, Dante è altamente criticabile e non dimostra quell’alto senso morale che gli viene attribuito. Sposò Gemma Donati che gli diede tre o quattro figli, ma in tutte le sue opere non si trova un cenno di lei; celebrò in un poema e in un romanzo poetico autobiografico una donna, morta in giovane età, che egli aveva amato adolescente, ma che sposò un altro uomo. Di lei fece il simbolo della teologia e la scelse come sua guida spirituale nel cammino verso Dio, attraversando con lei i cieli del paradiso, ma nell’inferno e in purgatorio si era fatto guidare dal poeta pagano Virgilio, preso a simbolo della ragione umana, e non da un profeta biblico o un santo cristiano. Parlò con rispetto e ammirazione dei poeti suoi contemporanei, però pose i suoi maestri Brunetto Latini e Guido Guinizzelli, uno all’inferno, l’altro in purgatorio a scontare pene per colpe infamanti: sodomia e sesso deviato. Il suo amico più caro, Guido Cavalcanti, fu lui a mandarlo in esilio, o almeno firmò come priore il decreto che lo mandava nell’esilio di Sarzana dal quale egli tornò moribondo; pose poi il padre di lui nell’inferno tra gli epicurei, accanto a Farinata, l’uno guelfo, l’altro ghibellino nella stessa arca. La cosa interessante è che Wilson, commenta Angelo Ruggeri, apparentemente porta validi argomenti a sostegno delle sue tesi che a noi sembrano così strane: certamente egli si sbaglia nel giudicare incoerente e confusionario un uomo e un poeta che in Italia è portato universalmente come esempio di rigore morale e coerenza ideologica. Dove sta l’errore? Wilson commette l’errore di tutti coloro che giudicano i comportamenti di un uomo senza considerare le circostanze in cui egli si trova a vivere ed operare e pretenderebbero da tutti una coerenza eroica con le stesse idee professate fino a un martirio, che potrebbe essere del tutto inutile. Angelo Ruggeri, fine e profondo conoscitore della cultura classica indaga con saggezza mostrando che il problema era già stato affrontato da Tacito, quando nella vita di Agrippa aveva affermato che perfino sotto le tirannie si può agire per il bene senza ricercare un inutile martirio. Nel suo libro “ Il Pensiero Politico di Dante”, egli esamina le azioni e gli scritti di Dante alla luce della realtà politica della sua Firenze e della filosofia, della religione, della cultura poetica che nutrirono la sua anima fin dall’adolescenza e delle vicende personali e politiche che cambiarono il corso della sua vita. Egli sostiene che Dante è figlio della Repubblica Fiorentina, della quale fu Priore prima che un’ingiusta condanna lo cacciasse dalla sua patria. Quando fu condannato egli era Guelfo di parte Bianca, cioè sostenitore delle libertà comunali, per appartenenza di famiglia e per convinzioni; il colpo di stato che lo rese esule dalla sua città era stato organizzato dai Guelfi di parte Nera, capeggiati da un cugino di sua moglie, i quali avevano avuto l’appoggio del papa Bonifacio VIII e del Re di Francia Filippo il Bello. Cioè fu una fazione della sua stessa parte, quella guelfa, ad organizzare il funesto colpo di stato che lo rese esule. In questo contesto, Angelo Ruggeri respinge l’opinione corrente sulla figura di Dante e sul suo pensiero politico così come furono inquadrati per molti secoli e fino ai nostri giorni dalla cultura dominante. Egli afferma che molti compiono un errore di valutazione nel giudicare questi fatti perché confondono i Guelfi con i sostenitori del Papa contro l’Imperatore: in realtà i guelfi di cui Dante faceva parte erano i sostenitori delle libertà comunali, coloro che al tempo del Barbarossa e poi di Federico II avevano combattuto e vinto gli imperatori. Per un breve periodo essi avevano avuto l’appoggio del Papa ma gli obiettivi del Papa e dei Comuni erano diversi: i papi volevano affermare la loro supremazia sugli imperatori, i Comuni volevano la libertà e l’indipendenza.
Angelo Ruggeri sostiene con forza che i Guelfi Bianchi di cui Dante faceva parte fossero in realtà i repubblicani. I filosofi a cui Dante dice di ispirarsi in tutte le sue opere sono Aristotele, Cicerone e Severino Boezio, tutti repubblicani e vittime di monarchi o aspiranti tali. In una Italia preda di violenze e guerre, dove non c’era posto per chi rimaneva neutrale, Dante, cacciato dai Guelfi Neri, fu costretto per sopravvivere ad appoggiarsi ai ghibellini, i partigiani degli imperatori d’occidente, ai quali si erano uniti anche molti dei Guelfi Bianchi fuggitivi, ed in questo suo comportamento egli seguì le orme del suo Maestro Virgilio che, dopo essere stato espropriato della terra avita e costretto ad emigrare dalla sua città dalle truppe di Antonio e Ottaviano, dovette rassegnarsi ad accettare la protezione di costui, divenuto Augusto. Dante agì in modo simile : il suo passaggio nel campo dei ghibellini, non fu l’effetto di una conversione interiore, ma fu imposto da “cause di forza maggiore”, egli seguì l’esempio del suo amato maestro e di moltissimi altri prima e dopo di lui. Scacciato come ladro dalla propria città e minacciato da una accusa di eresia, egli rischiava il rogo oltre che il taglio della mano e fu necessità per lui accogliere l’aiuto che gli veniva offerto dalla parte avversa, anche perché come esule politico poteva aspettarsi migliore accoglienza che non come “ladro fuggitivo”. Nelle scuole italiane questo fatto non è messo nella giusta evidenza, conclude il Ruggeri.
Nell’esilio Dante scrisse il suo poema (ma si dice che i primi sette Canti fossero già stati scritti in Firenze) e lo chiamò “Commedia”, cui fu aggiunto l’aggettivo “Divina”, sia per la sua bellezza che per gli argomenti di cui trattava e la commedia è un genere letterario che a differenza della tragedia e dell’epica ammette una rappresentazione realistica ed ironica dei fatti narrati. Il poeta Orazio ci insegna che i personaggi sia della tragedia che della commedia devono agire e parlare coerentemente con ciò che fecero in vita o con i caratteri che la tradizione ci ha tramandato di loro, ma attenzione! Nella commedia, come anche nella tragedia, non ci si deve aspettare quel rigore sulla verità dei fatti narrati che si deve o si dovrebbe pretendere dallo storico: senza scrivere il falso, il poeta può illuminare con luce più viva uno o un altro aspetto dei fatti narrati, scorgere in essi significati simbolici, trasformare i personaggi da individui storicamente determinati in eroi quasi mitici che assumono valenza universale, come gli eroi di Omero o Virgilio. Nel suo viaggio ultraterreno, che comincia nell’Inferno e attraversato il Purgatorio termina in Paradiso, Dante incontra molti personaggi celebri, alcuni storici, altri mitici e fra questi alcuni presi dalla Bibbia ed altri dalla tradizione pagana. Con essi Dante parla di svariati argomenti: dice il Ruggeri che molti letterati commettono errori grossolani quando attribuiscono a Dante idee e pensieri che non sono i suoi, ma appartengono ai personaggi che li affermano nei loro discorsi. Quando, per esempio, Giustiniano fa il suo celebre excursus di storia romana, egli parla per sé, a difesa della legittimità dell’Impero d’Oriente, contro le pretese dei Ghibellini schierati con l’Impero d’Occidente, le cui ragioni sono difese da Marco Lombardo; Farinata parla per i ghibellini di Toscana e ci fa sapere senza ombra di dubbio l’appartenenza della famiglia di Dante alla parte guelfa. Ugualmente sul fronte religioso ed anche in quello artistico letterario, i tanti Santi incontrati ci rivelano ciascuno le varie tendenze presenti nella Chiesa e così i poeti e gli artisti ci danno un quadro vivace dell’arte e della poesia di allora. Proprio ciò rende grande il poema di Dante: tutto il mondo vi è rappresentato e grazie al suo genio poetico i suoi personaggi assumono rilievo epico ed universale.
Ma non bisogna compiere l’errore di attribuire a Dante le idee manifestate dai personaggi che egli incontra.
Angelo Ruggeri cita un esempio eclatante degli errori che molti commettono nel giudicare i sentimenti di Dante nei confronti dei personaggi che egli incontra nel suo viaggio. Molti sono convinti che nei confronti di Ulisse Dante provi rispetto e ammirazione, tanto che proprio sulla base del racconto dantesco Ulisse è stato fatto diventare il simbolo del coraggio dell’uomo nella ricerca di nuove vie. Ma una lettura più attenta dell’episodio dimostra che non ci può essere ammirazione in Dante per questo eroe pagano. Quando si pensa all’Ulisse dantesco subito vengono in mente i versi: “Fatti non fummo a viver come bruti…”, per merito dei quali Ulisse nell’immaginazione collettiva è diventato eroe e martire della conoscenza. Tutti dimenticano i versi di Dante che introducono l’episodio e tutti dimenticano che Ulisse sta in uno dei gironi più profondi dell’Inferno tra i bugiardi e i consiglieri fraudolenti e che i versi citati esprimono un concetto di Aristotele, ripreso da Cicerone, i quali però negano che possa chiamarsi virtù quello che non è rivolto al bene. Angelo Ruggeri conclude che il canto di Ulisse si debba interpretare in senso opposto a quello corrente : non già ammirazione per il coraggio e l’ingegno umani, ma avvertimento a scienziati e intellettuali a non usare il loro sapere per fare il male. La sua interpretazione è confermata anche da quanto Dante scrive nel Canto XXXI ai giganti. In sostanza, col suo saggio storico-morale-letterario, Angelo Ruggeri ci dà modo di conoscere un Dante nuovo ed originale, ricco di contenuti e contrasti, molto diverso da quello che ci è stato presentato dalla scuola, un Dante ribelle e repubblicano che non ha nulla a che fare col sostenitore di un morto impero utopico e mai esistito. Potrebbe essere l’inizio per un nuovo dibattito del XXI secolo attorno alla figura monumentale del nostro grande Poeta osservandolo sotto una luce più appropriata e più moderna che lo fa anticipatore del mondo contemporaneo. Chi indaga trova sempre una Verità, attraverso un sentiero probabile e provabile…
Sarah Minciotti – Agenzia Stampa Italia
Nella foto: Angelo Ruggeri al Festival Poetico Il Federiciano 2014
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