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Info sull'Opera
Autore:
Rassegna Stampa
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

I dě d’infinito nel canto della poesia – Intervista a Giuseppe Cappello

di Rassegna Stampa

Domanda - Quando hai cominciato a scrivere poesie e da dove hai tratto l’ispirazione originaria?

Giuseppe Cappello - Ho cominciato a scrivere poesie intorno ai venti anni e, in particolare, i primi versi si sono dispiegati sul rapporto con la figura femminile. Sennonché, in questi versi, il sentimento già intrecciava coordinate di carattere filosofico. Nel mio primo libro, “Le danze dell’anima” (che costituisce ora la prima parte della silloge, “Dì d’infinito”, in cui sono confluiti dopo un’opera di rielaborazione tutti i miei lavori), il rapporto con la figura femminile fu sia l’occasione per celebrarne la bellezza, l’intelligenza e l’amore per l’altro, ma anche lo spunto per prendere coscienza di come questi valori, colti originariamente su un volto, in un discorso o in una storia, possono essere i cromatismi di un ‘tu’ intanto perché ognuno di noi li porta e li ha coltivati nel proprio ‘io’; fino alla scoperta che qualsiasi valore si dispiega nel ‘tu’ e nell’ ‘io’ solo in virtù della relazione generatrice e inverante del ‘noi’ . In questo senso vorrei leggere ai lettori di Aspasia, che, insieme a te, ringrazio per l’ospitalità, tre poesie che costituiscono quasi una trilogia:

Il valzer della simbiosi

Bellezza
La danza delle linee con i colori
Il tuo sguardo il mio
Intelligenza
La danza delle parole con i silenzi
Il tuo gioco il mio
Simpatia
La danza della gioia con il dolore
Il tuo brivido il mio
Tu ed io
Vita con vita nel valzer della simbiosi
In tre quarti circoli d’infinito

***

Le iridescenze dell’anima

Bellezza,
l’ho vista fiorire su di un volto
Intelligenza,
l’ho ascoltata incastonata in un discorso
Carità,
ho fatto il bagno nell’inquietudine di una storia
Bellezza, Intelligenza, Carità
Le iridescenze invece della mia anima
Senza di essa grigio il vostro volto
Grigia la vostra intelligenza
Grigia la vostra storia

***

Fanciullo dell’Acropoli

Fanciullo dell’Acropoli mi inviò il dio nell’agorà
Parole, gesti e fatti che dovevo conoscere
Ho rischiato di impararli
Il compito dello sguardo agli abiti del mercato
Ho rischiato di indossarli
La paura di mostrarsi nudi a chi non vede il manto del tempio
Sulla mia pelle il freddo
Brividi a segnare il mio corpo dei caratteri della bestemmia
Le metastasi a minacciare l’anima
Ma la dea ascoltava la sinfonia dei miei canti sull’Acropoli
Lì dove sensibilità, intelligenza e amore scandiscono il suono delle preghiere
Fu l’incontro degli sguardi con la fanciulla nella piazza
Negli occhi si specchiavano vicendevolmente i manti
Rifilavano per le carezze i panneggi sui nostri corpi
Il calore dei primi passi a risalire la via Panatenaica

Domanda - A leggere le tue raccolte (dopo Le danze dell’anima sono seguite Il canto del tempo, Il gioco del cosmo e Scuola) uno dei temi centrali è sempre “la relazione”, con gli allievi, con la musica, con l’Universo. Cosa ne pensi?

Giuseppe Cappello - Credo in effetti che sia corretto e, almeno, lo spero. In fondo questo, ritengo, sia il nostro compito di essere umani: prendere consapevolezza, coltivare e inverare quello che noi siamo, ovvero, relazione in un tutto. Più procediamo verso gli altri e più procediamo, oltre che verso noi stessi, nella scoperta dell’affascinante mondo che ci circonda. Nella mia idea, poi, il tutto è un tutto completamente immanente ed è per questo che ho deciso di intitolare “Dì d’infinito” (Aletti Editore) l’opera che raccoglie tutte le poesie che ho scritto finora. I nostri giorni, “qualora un dio li attraversi” (come scrive Pindaro), sono momenti dell’eternità come noi (come insegna Spinoza) siamo natura che continuamente si fa nella natura ingenerata e imperitura, naturante e sempiterna. E il dio di Pindaro io lo intendo proprio come relazione, un concetto che ti ringrazio di aver colto come centrale nella mia poesia. Qualora ci concediamo generosamente alla relazione la relazione genera a sua volta in noi. Genera vita e ci rigenera nella vita. Cosicché ‘il dio’ si rinnova continuamente in diverse relazioni e noi in esse appunto. È in questo orizzonte che nasce per esempio la mia poesia La danza dei cristalli; quando il dio avanza dalla relazione più propriamente sentimentale a quella dell’insegnamento. Una relazione veramente privilegiata in cui il docente si trova ‘tra due fuochi’, quello dei giovani e quello di quegli antichi mai antiquati. Due fuochi vivi. Ma, se mi concedi, vorrei lasciare ancora una volta la parola alla poesia e leggerti qui di seguito proprio “La danza dei cristalli:”

La danza dei cristalli

Su di un volto il dio
Inseguendo il bagliore dell’iride risalì poi fino alle sorgenti dell’anima
Lì dove l’intelligenza intesse il soffio vitale delle geometrie del discorso
Lo ascoltai, il dio, fra i toni di una voce
Fino a inseguire il suo volto nei lineamenti delle cicatrici dello spirito
Ora dimora nella classe il dio
Lì dove fende l’aria il fascio della luce del mattino
Fra i banchi e la cattedra
Fra i banchi e la cattedra si incontrano voci, movenze e sguardi
Danza di cristalli fra i cristalli
Del concetto che rapisce i cuori che battono nel ritmo degli IPod
Della pulsazione della fanciullezza nel concetto
Dell’attenzione a una prima timida parola
Della fiducia che si schiude nelle inquietudini dell’ultima fila
Della penna del primo banco che incide il quaderno per non perdere niente
Della riflessione con l’ironia
Delle menti e delle idee nei vortici del pulviscolo della luce del mattino
Scintilla di una lunga convivenza in cui nasce la letizia
Nutrimento delle anime con il sapore dell’eterno

Domanda - Nelle tue poesie si nota una grande ricerca linguistica e lessicale; che ruolo giocano l’immediatezza e la riflessione nel tuo modo di scrivere?

Giuseppe Cappello - Ti ringrazio, caro Fabrizio, perché con poche domande mi stai dando l’occasione di dire tutto quello che credo io possa dire di interessante sulla mia poesia. Quando si inizia a scrivere spesso è lo slancio emotivo che avvolge la stessa scrittura e può lasciare in essa la ‘confusione’ dell’ispirazione. È chiaro che, invece, l’impeto lirico, perché si possa parlare di poesia, deve sempre trasfigurarsi attraverso una struttura formale che organizzi appunto il materiale poetico. In questo senso c’è molto lavoro per chi scrive. Si tratta di lavorare alacremente sul linguaggio e sulla sintassi affinché l’immagine, non perdendo la componente emotiva, si presenti in una trasfigurazione formale cristallina . E, se per quanto riguarda la gestazione delle mie prime poesie il momento dell’ispirazione ha sicuramente anticipato il secondo momento della organizzazione, con il tempo, c’è stata una dinamica più omogenea. Probabilmente, la consapevolezza dell’importanza del linguaggio e della rifinitura formale delle immagini ha incalzato molto più da vicino la stessa ispirazione. Ciò non toglie comunque che sul foglio bisogna sempre lavorare molto. Lavorare anche perché non si cada nell’errore contrario a quello del puro abbandono all’ispirazione. Se l’immagine deve essere intessuta da una tessitura formale che la illumini è anche vero che tale tessitura formale deve trovare il limite in cui la luce può diventare abbagliante. Chi scrive, a mio avviso, ha sempre a che fare con la ricerca di un equilibrio: non lasciare incolto il terreno delle emozioni e, allo stesso tempo, non irrigidire e sclerotizzare il loro germoglio in una struttura formale asettica.

Domanda - Quali poeti credi abbiano influenzato il tuo modo di scrivere?

Giuseppe Cappello - A questa domanda non ti saprei propriamente rispondere. Posso dirti sicuramente che il mio rapporto privilegiato, non solo di lettura ma, torniamo ad usare il termine che tu molto acutamente hai gettato nella discussione, di una vera e propria relazione personificata, è quello con i classici. I classici antichi e quelli moderni. In questo senso non sono uno che va troppo alla ricerca. Persuaso forse del fatto che, nelle letture della nostra vita, i libri non si contano quanto piuttosto si pesano. Un po’ come per un’altra importante relazione che i maestri ellenici della letteratura e della filosofia ci hanno esortato a coltivare, quella dell’amicizia. In fondo, se ai lettori di Aspasia avrà fatto piacere seguirci nelle domande che tu hai posto e nelle risposte che io ho cercato di dare, il merito è proprio di quel dio che ha avuto la sua gestazione lungo quei giorni in cui abbiamo consumato insieme l’adeguata aristotelica quantità di sale. In giorni in cui, per stare al tuo De Gregori, il pane lo abbiamo diviso. Così, dal tuo De Gregori al mio Sting, l’ultima mia poesia. Per non lasciare chi ci ha seguito fin qui nella semplice parola che invece suoni pure in quella musica che dovevano essere all’orecchio dei cittadini ateniesi i discorsi di Aspasia.

Trasfigurazione di un bagliore del Nord

Ferro su ferro la pulsazione della città
E’ seduto sulla banchina del porto
Lo tocca un bagliore di un tramonto del Nord
Nell’anima la magia dell’idea
Scende per le sculture dei polpastrelli
Lungo il ferro lo scalpello del suono
Nelle quattro corde l’ordito
Cromatismi aurorali dal mare del Nord

Grazie per la bella chiacchierata e per chi volesse leggere qualche altra poesia di Giuseppe Cappello sfogli la Sezione Poesie di http://www.giuseppecappello.it


Articolo di Fabrizio Fratini, per ASPASIA “Oltre le parole e le cose”

Link diretto dell’articolo:
http://aspasiarivista.wordpress.com/2014/03/19/giuseppe-cappelo-i-di-dinfinito-nel-canto-della-poesia/


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