| «Talvolta, un oggetto o un episodio, apparentemente banale, custodisce per anni la sorte di una o più persone. Come il lembo di un tessuto che si è sempre guardato nella sua quotidiana staticità; se accade che il vento lo giri, di scopre tutto l’intricato sistema dei fili: solo toccandoli, si ha modo di capire che è la trama della propria vita!». Così scrive Ermelinda Ricci nel suo appassionato romanzo d’esordio “Prima che faccia buio” (Aletti Editore, 2012), per raccontare la storia di una donna e di un uomo che, in un’età ormai matura della vita, quella del mese di settembre quando la bella stagione è ormai alle spalle, decidono, insieme, di afferrare l’ultimo scampolo della loro ritrovata estate. Prima che faccia buio. E prima che Lilly, la protagonista, abbia elaborato il dolore di un divorzio, schiudendo, così, la “botola di ghisa” nella quale, fino ad allora, si era trincerata e domando il duello interiore tra i suoi due “schieramenti opposti”.
La libertà e il coraggio, da una parte. La paura di scegliere e di tornare a soffrire, dall’altra. Ma il simbolismo di certi sogni premonitori, l’arbitrio del fato e la complicità di un fortunato déjà vu “scoprono l’intricato sistema dei fili”: la trama e l’ordito delle vite di Lilly e Marco si svelano, così, intrecciate, in una vecchia fotografia da sistemare in una cornice importante e dalla quale ripartire. “Prima che faccia buio” è il libro del “carpe diem”, del “qui ed ora”, liberatorio della paura, dell’angoscia, della sofferenza che, come in una sintesi clorofilliana, alla fine, si trasformano in linfa vitale. E che a Lilly e Marco come, come recitano i versi di una bellissima poesia di Orazio, “fanno cogliere la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai vola e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà”.
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